Pubblicato nel 1911, è l’ultimo romanzo di Camille Lemonnier. È la storia di due sorelle, Elsa e Luce – quest’ultima nata cieca – , il cui padre abbandona la famiglia dopo aver dissipato quasi totalmente in investimenti scriteriati l’ingente patrimonio della ricca moglie.

Quando le peregrinazioni all’inseguimento di qualche geniale trovata del capofamiglia terminano con il suo allontanamento definitivo, la madre torna alla casa paterna in Bruges – sottratta, almeno questa, allo sperpero del marito – insieme alle due figliole, la loro nonna paterna e un’anziana fantesca. Elsa riuscirà a sviluppare le sue eccezionali doti artistiche ottenendo successo con un ricamo raffigurante San Giorgio e impiantando poi una scuola di ricamo che potrà condurre assieme a sua madre con uno spirito finalmente e parzialmente ritrovato.

Sia il traduttore Lazzeri, nella sua introduzione, che ancora recentemente Donald Flanell Friedmann nel suo saggio in appendice al volume di scritti critici di Georges Rodenbach (Mosley 1996) sottolinea il parallelo tra Bruges la Morte, appunto di Rodenbach, e questa Chanson du Carillon.
Certamente appare ispirata all’evocazione di Rodenbach del Reliquiario di Sant’Orsola di Hans Memling in Bruges la Morte la prima uscita da sola di Elsa per Bruges, appositamente per andare a vedere le opere d’arte di Memling.

È in questa fase del romanzo che Lemonnier introduce la metafora globale della città morta, reliquiario architettonico della sua grandezza passata, attraverso immagini particolarmente espressive che raffigurano la beatitudine di una vita che appare sospesa. La calma accettazione con la quale Orsola riceve le frecce dei suoi aggressori conduce a uno spazio cedevole, femminile, attraverso immagini morbide quasi alla deriva. L’evocazione della visione del martirio di Orsola raffigurato dal maestro fiammingo offre una visione sensuale della morte nella quale Orsola e il suo entourage sono fiori incontaminati.

È attraverso questo filtro interiore che Lemonnier trasforma la sua Bruges producendo una fusione tra quella della fine del XIX secolo e la visione artistica che sopravvive dalla fine del XVII secolo, sfumata sia attraverso le nebbie novembrine che le foschie di una mite estate. Ne risulta una Bruges quasi diafana, inconsistente, dematerializzata. La città e la persona che in essa si muove sembrano alleggerite del peso dell’essere; Elsa sembra attanagliata dal piacere di non essere pienamente viva in questa sospensione quasi ipnotica creata dalla sovrapposizione del passato al visionario presente.

Omogeneamente a questa paradisiaca sensazione, il passare del tempo è rallentato ed estetizzato, scandito dalla evanescente musica dei carillon. Coerentemente con il motivo artistico di Memling, il carillon rappresenta il reliquiario del tempo nel quale le ore invece di trascorrere si congelano in una eterna aspettativa di momenti preziosi. Così il ritorno del babbo viene atteso per tutta la durata della narrazione, attraverso brevi amori simbolici, e viene lasciato in sospeso nelle ultime pagine con l’arrivo di una lettera nella quale viene preannunciato un indeterminato rientro in famiglia.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Quale chimerica immaginazione possedevamo, insieme, noi due! Avevamo una sorta d’anima fatta di fiabe, nelle quali riapparivano forse le fantasticherie di tutte le antiche fanciulle della famiglia. Ci avevano, del resto, narrato tanti racconti di fate, che s’era finito a vivere in una specie di piccolo mondo incantato con le principesse e i principi Gentili, mondo che non avrebbe potuto certamente insegnarci il senso pratico della vita. Si aggiunga che avevo acquistato una vista singolare, per mezzo della quale quel che può vedere con l’occhio interiore una povera piccola cieca come Luce diventava quel che io stessa, con i grossi occhi grigi, vedevo, benché, molto spesso, non esistesse se non come illusioni ed apparenze…
A nove anni compiuti, soltanto, avevo incominciato a leggere, ma con tanta poca inclinazione che, per incoraggiarmi, la signorina Pinsonnet, la governante francese che allora avevamo, mi fece leggere, o, piuttosto, sillabare tutto quel che poté trovare di racconti meravigliosi. Ignorai, così, scrupolosamente, la grammatica, l’aritmetica e la geografia; ma, in compenso, avevo già fatto il giro di tutti i reami abitati da prìncipi Amati, da prìncipi Arguti, da prìncipi Fatali e Fortunati, senza contare le Belle dormenti nel bosco, le Belle chiomadoro, la principessa Fior di pisello e tante altre, ch’erano le più belle principesse del mondo.

Scarica gratis: Canzone di campane di Camille Lemonnier.