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Questo testo del 1919 coagula l’esperienza che Timpanaro sviluppò nei quattro anni trascorsi a Napoli e viene infatti pubblicato nella Libreria della Diana, editrice della omonima rivista fondata da Gherardo Marone. Una parte degli scritti presenti in questa antologia provengono dalla prima serie de «L’Arduo», fondata e diretta da Timpanaro, che fu data alle stampe nel 1914.
Sono scritti di argomento vario, – letterario, filosofico e scientifico – dove il liberismo del titolo si dipana in forma decisamente antagonista rispetto ad altre riviste, pur contestatarie, dell’epoca. Si possono certamente trovare sfumature di pensiero riconducibili a Gentile, che fu importante per la formazione dell’autore, ma quello che risalta è il tentativo di porre in essere l’esercizio del pensare, del riflettere ed usare questo come strumento di caratterizzazione della modernità.
Credo che queste parole di Timpanaro stesso, espunte da un suo articolo firmato “Etna” e intitolato Gli eroi silenziosi comparso su «L’arduo» del 4 aprile 1914, siano esempio caratterizzante di quello che l’autore voleva che fosse la specifica peculiarità della sua attività di critica di quel periodo. «Un organo liberista, o ch’è lo stesso di pensiero, se si prescinde da questo nostro minuscolo Arduo in Italia non c’è. Abbiamo giornali socialisti, giornali liberali, giornali massoni, giornali cattolici, giornali futuristi e antifuturisti, giornali idealisti eghelieggianti e militanti e soprattutto giornali grammaticali […] ma giornali di pensiero non ce ne sono. Non si capisce nemmeno cosa significhino non essendocene nemmeno mai stati […] Si crede che il giornale di pensiero sia indifferente alle affermazioni e che ami, letterariamente, la ricerca che non vuole concludere; ma il pensiero è attività, è lotta, è moto.»
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Nel 1905, quando gli studenti torinesi rumoreggiarono il professor Billia perchè nella sua prolusione aveva osato parlare di cristianesimo, Giuseppe Prezzolini scrisse nel Leonardo così: «Capirei una dimostrazione di studenti se i teatri rialzassero i prezzi, i sigari costassero di più e i posti governativi diminuissero; ma, in fatto d’idee, che c’entrano questi candidati al filisteismo? Quando hanno avuto i loro diplomi coi quali lo Stato li autorizza a squartare, strozzare, avvelenare uomini e bestie, a ingannare destramente o scioccamente, ad annerire carta bollata – cosa chiedono di più? Del vino per fingere la giovinezza che non hanno, qualche donnetta non troppo costosa per fingere l’amore che ignorano, qualche strappo ben rattoppato alle vesti per fingere la bohème che non vivono. E poi mi pare che basti. Per le idee, quando han speso cinque centesimi per un giornale politico, ne hanno in serbo per un pezzo e adatte a loro».
Queste parole del Prezzolini son vere ancora. Noi studenti siamo ancora dei pagliacci senza coltura e senza ideali, ma la colpa è tutta quanta di quel mostruoso istituto d’erudizione coercitiva che è la scuola.
La scuola addormenta, corrompe, schiaccia.
Per tutti i giovani dall’anima vulcanica, la vita scolastica è una continua tormentosa rinunzia agli ideali davanti alla quale la rinunzia che il Carducci, arriso dal suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana.
Scarica gratis: Scritti liberisti di Sebastiano Timpanaro.