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«Il volumetto che il Signor Egisto Roggero ha voluto intitolare I racconti della quiete, come se mancanza di movimento, di organismo narrativo, di rappresentazione dei casi accennati negli otto raccontini ond’è composto, volesse e potesse trovar sostegno di ragione e di scusa nel titolo, par fatto apposta per piacere a coloro che, arrivati con ritardo in questo mondo così vecchio, dedicandosi all’arte già così antica, non han saputo apportarvi altre novità all’infuori di un titolo specioso su la copertina dei loro libri e di quattro o cinque smorfie tipografiche nel testo.»
Queste le parole di Pirandello a proposito di questa raccolta di racconti, per lo più già comparsi sulle riviste alle quali Roggero collaborava, e che sono l’espressione, probabilmente ingenua, della sensibilità che l’autore genovese andava sviluppando e all’interno della quale le tematiche del misterioso e del meraviglioso avrebbe espresso meglio nei successivi Racconti meravigliosi. Antichi castelli, segreti di famiglia, il riproporsi di amori irrealizzabili sono in realtà propedeutici a una maggiore efficacia narrativa che collocherà Roggero tra i precursori e tra i più interessanti interpreti del genere fantastico-orrorifico italiano.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Io ripenso alla mia prima giovinezza severa e malinconica, trascorsa presso mio zio Sergio, nella nostra villa di Santa Galatea, la vecchia villa piena di memorie che vide nascere mia madre. Povera madre! Troppo presto ella è morta, per la mia giovinezza fantastica. Quando il turbine della vita ha gelato il mio cuore e la tristezza ha abbattuto la mia fronte, ho sognato le bianche mani di mia madre ed ho anelato, con un brivido di passione e di sconforto, d’averle sul capo, le bianche mani benedette; sul capo, nell’amoroso atto alleviatore….
Fui condotto a Villa Galatea dodicenne, alla morte appunto di mia madre, morte tragica e improvvisa, che empiè il mio cuore giovanetto di terrore e di tenebre. Era una giornata di marzo, una irosa giornata di vento e di tempesta: la pioggia diaccia sferzava i vetri della carrozza che mi portava, smarrito e tremante, lontano dalla casa ove mia madre, cerea ne’ fiori e nella candida ultima vesta, più non rispondeva a’ miei richiami dolorosi…. Ed io, nella triste carrozza sbattuta dal vento e dalla pioggia, chiudeva gli occhi per non vedere, per non sentire più nulla. Quando la carrozza si fermò dinanzi al cancello della Villa e la grande massa della porta m’apparve nel tragico grigiore del crepuscolo, sopra il tenebroso sfondo de’ grandissimi alberi del parco, n’ebbi come un secreto terrore.
Scarica gratis: I racconti della quiete di Egisto Roggero.