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(voce di SopraPensiero)
Farinelli, ormai settantacinquenne, riflette sulla sua esperienza di insegnamento universitario dal primo incarico a Innsbruck, quando le istanze irredentiste dividevano con forza gli studenti austriaci e italiani, fino alla trentennale attività di docenza a Torino. Docenza sempre supportata dal suo entusiasmo per la conoscenza, al di fuori degli schemi e dei programmi prestabiliti che sono di ostacolo al radicarsi del desiderio di ampliare il proprio sapere da parte dei giovani. I “precetti della pedagogia più progredita” sono causa prima “dell’inaridire dei cervelli e il disseccare nell’anima delle fonti più fresche di vita”. Osteggiato dall’apparato conservatore dell’università di allora, riesce pur sempre, in queste poche pagine di riflessione e di ricordo, a stilare un’efficace sintesi delle esigenze della libertà di insegnamento.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Narrai in un frammento dei miei Ricordi di gioventù come io giunsi ad essere maestro in una Università, dopo un vagabondeggiare doloroso, un oscillare fra una carriera e l’altra, il sovrapporsi degli studi di filosofia e di lettere a quelli di ingegneria, e l’insegnamento di lingue in una Scuola di commercio a Innsbruck. Avrei dovuto costruire macchine, provvedere ai congegni di molini e di fabbriche, e il destino mi spingeva ad avere scuola, ad associarmi a discepoli, ad addestrare altre menti e a tentare di foggiare caratteri e coscienze. Era vocazione? Bisogno irresistibile dell’anima, smania di mettermi in cattedra, di pormi risoluto innanzi a uno stuolo di giovani e circondarmi di un’aureola di gloria?
Non credo che nell’uno o nell’altro periodo della mia vita vincesse in me l’immodestia, l’orgoglio di primeggiare, di pormi tra gli eletti. Ero portato agli umili per inclinazione di natura. E sempre mi ha indispettito e incollerito il fare arrogante e despotico di chi dall’alto giudica e commisera gli uomini e amministra la scienza, della quale ha l’esclusivo privilegio e il monopolio. Era vangelo, radicato nel cuore negli anni ancor verdi, la fratellanza degli uomini, posti a sperare e a dolorare sotto un sol cielo; e livellavo le schiatte, distinte in superiori e inferiori, purchè avessero coltura, disprezzo alla barbarie e alla selvaggeria degli istinti. M’era sacra la vita nel suo sviluppo decisivo, e soffrivo di vederla sovente straziata e guasta da storte imposizioni e fallaci direttive, gli insegnamenti vani, il disperato fardello dei doveri imposti. Le scuole irrigidivano; non alleviavano le coscienze e non facevano svelti e robusti gli intelletti. E più greve era l’oppressione per chi più sete aveva di libertà e di indipendenza. Per uomini dovevano crearsi fantocci?
Scarica gratis: Il mio insegnamento universitario di Arturo Farinelli.