In questa triste epoca di donne che muoiono come cavallette ci sono alcune morti che sembrano valere meno di altre e che subiscono l’onta del silenzio più totale.
Ultimamente sono morte due ragazze nell’ambiente del porno, ma cercando informazioni ho scoperto che ne sono ben cinque nel giro di pochi mesi e tutte in circostanze poco chiare. É successo a Olivia Nova, poi a Yuri Luv, entrambe morte per overdose. August Ames si è uccisa, e poi Shyla Stirez, Olivia Lua, e il numero aumenta spaventosamente andando a ritroso nel tempo. In comune hanno solo una cosa: sono morte giovani e nessuna per cause naturali.
August Ames di anni ne aveva solo 23 quando è stata trovata impiccata nell’appartamento californiano nel quale si era trasferita dal Canada. Nonostante la giovane età aveva già girato 270 film hard. Su di lei si era riversata un’ondata di odio social e l’accusa di omofobia per essersi rifiutata di girare un film senza protezione con un attore che aveva recitato in pellicole gay.
Yuri Luv, nome d’arte di Yurizan Beltran, era californiana e aveva da poco compiuto 30 anni quando è morta di overdose. Secondo alcune testimonianze Yuri soffriva di dismorfia corporea, una malattia che l’ha condotta verso una depressione, aggravata dall’uso costante di droghe pesanti e farmaci ai quali ricorreva per affrontare le scene più hard.
La giovanissima Olivia Nova, arrivata negli States dall’Inghilterra, è stata ritrovata senza vita in un hotel di Las Vegas. Aveva 20 anni ed era entrata nel circuito porno da alcuni mesi, convinta da un agente. Lo stesso che le riforniva droga per renderla più trasgressiva. Il suo corpo è stato trovato coperto di lividi dovuti alle scene di sesso estremo appena girate. Aveva raccontato ai suoi fans della sua solitudine, che l’aveva spinta a trascorrere le ultime feste natalizie da sola chiusa in casa.
Anche Olivia Lua era giovanissima, 23 anni, eppure aveva già le idee chiare: uscire dal giro della pornografia. Ma è stata rinvenuta morta prima di iniziare il percorso di disintossicazione. Uccisa anche lei da un mix letale di alcol e farmaci.
La morte prematura della canadese Shyla Stylez, a 35 anni, è stata velocemente archiviata come “ignota” ma è giunta propiziamente all’indomani di uno scandalo che coinvolgeva un importante funzionario di polizia.
Per ora mi fermo qui, nonostante l’elenco sarebbe lungo.
C’è un’ipocrisia di fondo quando si parla di certe questioni, specie se riguardano il mondo del porno e della prostituzione che viene sottolineata sovente dal cinismo di certe frasi:
“È il mestiere più antico del mondo”
In realtà la prostituzione ha avuto origine dal patriarcato e dal sessismo, da regole sociali che abbiamo tentato di contrastare in tutti i modi. Perché non facciamo lo stesso con la prostituzione? Il fatto che sia antica – e per carità si smetta di chiamarla mestiere – non ne sminuisce la gravità. Che sia nelle strade, in una casa o su di un set, la prostituzione è una istituzione creata per sfruttare il corpo della donna.
“Tra adulti consenzienti ognuno è libero di fare ciò che vuole”
È indubbio che il sesso sia una componente femminile importante, ma questo non contempla la costrizione o la sottomissione. Il fatto che due persone siano adulte non giustifica la sopraffazione. Laddove vi siano uno sfruttatore e una parte sfruttata, parlare di rapporto consenziente o esprimere concetti di libertà è fuorviante. La dinamica dei femminicidi può essere un esempio lampante dell’oppressione in quanto, pur essendo entrambi adulti, uno dei due usa la violenza.
“A certe donne piace”
È probabilmente la frase più fasulla. Da un bel po’ di anni i media ci propinano la favola della prostituta felice, complici una manciata di donne consenzienti a raccontare questa balla, che sfilano in tv vestite da red carpet sventolando con fierezza la propria indipendenza. Questa narrazione imbellettata si scontra con ciò che da sempre è stato combattuto dal femminismo, individuando altrove ciò che potrebbe rendere una donna davvero libera e emancipata.
Si preferisce far parlare le solite due/tre pornostar “privilegiate”, che smistano i partner nei camerini di attori e calciatori, pagate profumatamente e indottrinate dal magnaccia-produttore di turno per sorridere in tv ed esporre la falsa storia di quanto se la godono, di quanto sia addirittura un diritto conquistato. Ma a tutte le altre, a quelle che non possono scegliere, a quelle costrette, a quelle ridotte in schiavitù, a quelle spinte al sesso ancora minorenni o che versano in situazioni economiche estreme, non lo chiedono se è bello (l’intervistatore ne interroga una e sembra abbiano parlato tutte, quando invece ce ne sono tante che vorrebbero farlo ma vengono zittite a suon di botte). Lo stesso avviene con le persone transessuali.
C’è una lobby maschile che non ha alcun interesse a fermare lo sfruttamento del corpo femminile, che, per un sostanzioso tornaconto economico insiste nel dipingere le prostitute e le pornostar libere e autodeterminate. Sono gli stessi papponi e pro-prostituzione che inneggiano al ritorno delle case chiuse, dove “tutto è concesso” (al cliente ovviamente)”: sesso non protetto, pratiche pericolose e svilenti, abuso su minorenni.
Molti decantano i bordelli come baluardo di emancipazione, ma chiuderci le donne significa fare un favore agli sfruttatori, permettere ai clienti di proseguire nella mercificazione al chiuso tutelando la loro privacy. Nessuna prostituta è libera, nessuna può scegliere, ribellarsi è quasi impossibile, lo squilibrio viene creato dall’atto in sé del pagare (siccome quello paga ha diritto di fare qualunque cosa).
Nella prostituzione e nel cinema hard la violenza è una costante: si pretende da una donna ciò che a qualunque altra non si sognerebbe di chiedere, e se le altre si rifiutano un motivo ci sarà. Nel porno le pose del sesso sono quasi tutte scomode, denigranti, molto lontane dal piacere femminile.
Il sistema della prostituzione nel porno sottopone ragazze molto giovani a prestazioni fuori dall’usuale, e per farlo le spinge ad assumere droghe e farmaci che anestetizzano parti del corpo per sopportare il dolore, come nel sesso anale. Si arriva a pagare il doppio per fare sesso senza precauzioni, perché la vita di chi si prostituisce vale poco, e c’è sempre chi è pronto a dire che se una si ammala se l’è cercata per la vita che fa.
La maggior parte delle ragazze ha dichiarato almeno un abuso prima di finire nell’ambiente prostituente; altre hanno ammesso di aver avuto il loro primo approccio al sesso in modo violento.
C’è chi ha dichiarato di essersi allontanata da una famiglia problematica e di essersi trovata sfruttabile in quanto senza punti di riferimento, e chi nel porno ci arriva proprio per pagarsi la droga, come dichiarò la nostra Lilli Carati, che aveva debuttato nella commedia sexy.
Tutti questi punti dovrebbero aiutarci a riflettere su quali siano le vere ragioni che spingono una donna a entrare nel sistema pornografico e della prostituzione.
Poi ci sono gli stupri. Come quello denunciato dalla statunitense Amber Rayne (prima di morire anche lei di overdose) e da altre 5 colleghe contro l’attore porno James Deen, accusato durante alcune scene di averle picchiate per poterle violentemente abusare. Deen nonostante le accuse venne candidato agli oscar del porno.
Quello di Deen non è un caso isolato, ma la parola stupro in certi ambienti genera reazioni di scherno e protesta. Eppure cosa sono la pornografia e la prostituzione se non stupri legalizzati dal denaro? Il fatto di pagare una donna non significa poterne abusare o sfogare su di lei i peggiori istinti.
Nessun Paese al mondo ha mai intrapreso un programma serio di aiuto e prevenzione, e quando una giovane muore sono in pochi a mostrare solidarietà e sdegno, come se – con la vita che fa – se lo fosse cercata.
(di Agatha Orrico)