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(voce di SopraPensiero)
I Dialoghi (Lun Yü) scritti tra il V e il III secolo A.C. (ma la redazione attuale è del II secolo d.C.) sono tutt’oggi opera che grandemente influenza la cultura cinese e dell’Asia orientale. Questa prima traduzione italiana, corredata di ampia introduzione e di note che rendono comprensibili le parti del testo che oggi risulterebbero più oscure al lettore occidentale contemporaneo, è opera di Alberto Castellani (1884-1932) sinologo tra i più importanti a livello europeo che prosegue la tradizione italiana di studi sul pensiero cinese che ebbe il suo culmine con Puini.
Non manca il Castellani di riproporre se pur velatamente, il suo confronto tra Confucio e Lao-Tse, più volte proposto nei suoi saggi pubblicati su «Il Marzocco», dove ricorda che Confucio è uomo di stato e inserito nella vita pubblica, che Lao Tse invece rifugge per cercare l’innocenza pura e lo stato di natura. Castellani dedicò poi, tre anni dopo la traduzione di questi Dialoghi, alla dottrina del Tao il testo La dottrina del Tao ricostruita sui testi ed esposta integralmente evidenziando quindi ancor più le sue convinzioni sull’argomento.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Maestoso della persona; pieno di dignità nel portamento; di una compostezza un po’ rigida; una fronte rugata di scontento; una certa caparbia tenacia nel capo leggermente inclinato in avanti; una specie di pudibonda gelosia nelle mani posate l’una nell’altra e tenute all’altezza del petto, ricco di senno; un non so che di schifiltoso riserbo nell’ampia tunica circospetta: tale ci appare K’ung Fu Tsŭ (Confucius) nelle figurazioni grafiche, nei bronzi e nei testi, ove i posteri presunsero forse di raggiungere il più perfetto accordo fra i tratti fisici e le attitudini morali del Maestro. Difatti, così com’è, qualche cosa ci dice: l’occhio, rivolto verso l’interno, non ha tentato mai d’incontrarsi con quello della folla; da quella attitudine gelidamente statuaria, di sotto alla infagottatura del paludamento ufficiale, non può esser mai scattato fuori il gesto che sa tenere sospeso il respiro delle moltitudini; la bocca ermetica, dispregiatrice del molto dire1 e maestra di reticenze, si deve essere più volentieri imbronciata che non dischiusa; le tenui mani curiali, munite di unghie inverosimili, simbolo di non lavoro manuale, pronte a naufragare nelle lunghe maniche auliche, non han nulla a che fare con la nocchiuta frenesia di quelle dei profeti biblici; i suoi piedi timidi son fatti più per l’austerità del tempio e della corte, che non per il via vai sconcertante della strada e della piazza. Noi ci chiediamo, a prima vista, che cosa rappresenti un uomo chiuso da tanto incrostamento estatico.
Scarica gratis: I dialoghi di Confucius.