(voce di SopraPensiero)

Tredici brevi novelle dove l’impronta principale è quella del pessimismo e dell’amarezza che ammanta storie all’apparenza banali e ordinarie. Non ancora giunta, letterariamente, al sostegno di una fede profonda, che caratterizza invece gli atteggiamenti e i comportamenti dei personaggi di Quelli che vennero prima, in questi racconti l’autrice prosegue a tratteggiare, con la consueta scrittura delicata ed efficace, la delusione dei sogni di felicità e di amore che già emergeva dai romanzi Aurora l’amata e Le meraviglie crescono nell’orto.

Nel mondo che Maria Borgese raffigura in questa sua opera l’intonazione grigia e la miseria fisica e morale prevale nettamente fornendoci la rappresentazione di destini ai quali ci si abbandona come fili d’erba al vento. Questo sia che si tratti di una povera contadina a servizio di una famiglia cittadina, che di una nobildonna travagliata da costrizioni sociali e disillusioni sentimentali. La vera amicizia la troviamo invece tra due cani, uno di famiglia ricca e agiata e l’altro, affamatissimo, di un contadino. Ma anche questa amicizia per svilupparsi deve attraversare la disavventura e la cattiveria più triste.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Quando Paola si sentì proprio morire, dopo sei mesi d’infermità, chiamò la sorella Emilia e le disse:
— Se vuoi che me ne vada tranquilla mi devi promettere che sposerai Michele.
Emilia si chinò sulla malata portando la mano all’orecchio per capire meglio perchè era un po’ sorda e Paola parlava con un filo di voce.
— Sposare Michele? – chiese stupefatta.
— Sì, l’ho già detto anche a lui; mi dovete dare questa consolazione.
Emilia voleva dire qualcosa, ma la malata non le dette tempo; alzò la mano per farle cenno di tacere e continuò:
— So, so quello che mi vorresti dire, lo so bene: che ti vuoi far monaca, che hai ventiquattr’anni, e che Michele ne ha quasi cinquanta, che tu non lo ami, anzi ne hai soggezione. È di poche parole, burbero, ma con un cuore grande così; davvero, te lo posso dire in coscienza. Lavoratore poi! È senza vizi; alla famiglia non fa mancare nulla, e di pretese ne ha poche. La domenica mattina la biancheria pulita e il vestito smacchiato e tutti i giorni che Dio mette in terra, a mezzogiorno e un quarto e alle sette e un quarto, la minestra in tavola. Su questo non transige. Vuole anche che i ragazzi siano puliti e in ordine e che le calze non abbiano le nocciuole, come dice lui, cioè le vuole rammendate bene. Ed è tutto qui.
Anche io, quando lo sposai, non ero certo innamorata. Poi, gli ho voluto bene, e ora mi dispiace a lasciarlo, povero Michele. Dopo tutto, il matrimonio è una cosa e l’amore è un’altra. Ma questo, tu non lo puoi capire.

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