Nell’ottobre del 1911, ebbe inizio la spedizione italiana in Libia che avrebbe sottomesso a colonia per i successivi 32 anni. I primi movimenti dei soldati italiani agli ordini del generale Carlo Caneva sembrano una passeggiata e in meno di dieci giorni Tripoli e Tobruk vengono occupate.
Ma il 23 ottobre un’insurrezione che vede uniti i soldati turchi (che occupavano la Libia e contro i quali era, almeno formalmente, diretto l’intervento italiano), truppe arabe e cavalieri berberi abitanti l’oasi di Sciara Sciat infligge dure perdite alle truppe italiane: 21 ufficiali e 482 soldati perdono la vita spesso in modo atroce. Gli storici si soffermano in genere su questo eccidio, ma tacciono sulla disumana rappresaglia, diretta ai danni della popolazione civile locale. Di questa rappresaglia parla Valera, col suo inconfondibile stile, capace con pochi e ruvidi tratti di evocare l’orrore delle armi e la bestiale crudeltà. Che il giornalismo italiano dell’epoca non abbia avuto in pratica altre voci dissonanti viene dimostrato dalla recente antologia curata da Schiavulli nel 2007 (La guerra lirica: il dibattito dei letterati italiani sull’impresa di Libia) che ospita quasi integralmente, tra gli altri, anche questo scritto di Valera. E successivamente il solo storico che pone l’accento sulle pesanti responsabilità delle truppe italiane comandate da Caneva è stato Angelo Del Boca.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Il conflitto di conquista non c’entra. Qui non ci occupiamo se hanno torto o ragione gli oppressori turchi o gli oppressori italiani. Il giogo è sempre giogo. La guerra è sempre guerra. Nel furore delle battaglie chi piglia piglia. I proiettili non hanno occhi. Più la strage è inaudita e più gloria è cosparsa sugli uccisori. È la civiltà nazionalista che impera nel mondo. I decimatori di nemici sono eroi. È legge marziale. A fianco delle cataste umane si accendono i fuochi di gioia. Celebrate. Noi non vogliamo amareggiarvi le vittorie. Godete. Il sangue è vostro. Ciò che noi vi contendiamo non è la fatalità storica. È il massacro degli innocenti. È l’uccisione in massa della popolazione rimasta neutra nella zona del teatro della guerra. Questa è la nostra indignazione. Indignazione che non raggiunge i soldati. Essi non sono volontari come i Tommies, come gli arabi accorsi sotto la bandiera della guerra santa per difendere l’indipendenza dai nuovi invasori. I soldati italiani non c’entrano. Per noi non sono che strumenti. Devono ubbidire. Si dà loro il fucile e si ordina loro di sparare. È il regolamento militare. La disubbidienza è sentenza di morte. O uccidere o lasciarsi uccidere. I responsabili sono gli autori della “fatalità storica”. Sono gli iniziatori della “passeggiata militare”. Sono i direttori della guerra. Il re non c’entra. È persona sacra.
Scarica gratis: Le giornate di Sciarasciat fotografate di Paolo Valera.