Grazie ai volontari del Progetto Griffo è online (disponibile per il download gratuito) l’ePub Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio di Niccolò Machiavelli.
I Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio sono un’opera di Niccolò Machiavelli, frutto di una lunga elaborazione durata dal 1513 al 1519, anno di morte di uno dei due dedicatari dell’opera; in ogni caso, non si può escludere che una prima idea dell’opera possa risalire anche agli anni della segreteria a Firenze.
L’opera è dedicata a Zanobi Buondelmonti e a Cosimo Rucellai, due tra i maggiori esponenti degli Orti Oricellari a Firenze, dove si riunivano giovani aristocratici per discutere di politica, arte e letteratura. Come molte altre opere di Machiavelli i Discorsi furono di pubblicazione postuma, avvenuta nel 1531 a opera del tipografo fiorentino Bernardo Giunti.
I Discorsi non hanno una struttura unitaria, ma già nel titolo suggeriscono l’idea di una serie di divagazioni condotte a partire da un testo-base: la prima Deca della storia di Roma del grande storico latino Tito Livio. Non si tratta dunque di un commento vero e proprio, ma di una serie di riflessioni e appunti che vorrebbero costituire i fondamenti di una moderna teoria politica basata sugli insegnamenti della storia della Roma antica.
Note tratte e riassunte da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Discorsi_sopra_la_prima_Deca_di_Tito_Livio.
Dall’incipit del libro:
Ancora che, per la invida natura degli uomini, sia sempre suto non altrimenti periculoso trovare modi ed ordini nuovi, che si fusse cercare acque e terre incognite, per essere quelli più pronti a biasimare che a laudare le azioni d’altri; nondimanco, spinto da quel naturale desiderio che fu sempre in me di operare, sanza alcuno respetto, quelle cose che io creda rechino comune benefizio a ciascuno, ho deliberato entrare per una via, la quale, non essendo suta ancora da alcuno trita, se la mi arrecherà fastidio e difficultà, mi potrebbe ancora arrecare premio, mediante quelli che umanamente di queste mie fatiche il fine considerassino. E se lo ingegno povero, la poca esperienzia delle cose presenti e la debole notizia delle antique faranno questo mio conato difettivo e di non molta utilità; daranno almeno la via ad alcuno che, con più virtù, più discorso e iudizio, potrà a questa mia intenzione satisfare: il che, se non mi arrecherà laude, non mi doverebbe partorire biasimo.
Considerando adunque quanto onore si attribuisca all’antiquità, e come molte volte, lasciando andare infiniti altri esempli, un frammento d’una antiqua statua sia suto comperato gran prezzo, per averlo appresso di sé, onorarne la sua casa e poterlo fare imitare a coloro che di quella arte si dilettono; e come quegli dipoi con ogni industria si sforzono in tutte le loro opere rappresentarlo; e veggiendo, da l’altro canto, le virtuosissime operazioni che le storie ci mostrono, che sono state operate da regni e republiche antique, dai re, capitani, cittadini, latori di leggi, ed altri che si sono per la loro patria affaticati, essere più presto ammirate che imitate; anzi, in tanto da ciascuno in ogni minima cosa fuggite, che di quella antiqua virtù non ci è rimasto alcun segno; non posso fare che insieme non me ne maravigli e dolga.
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