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(voce di SopraPensiero)Pubblicato Ragazzi ciechi di Augusto Romagnoli.
Il libro narra l’esperienza dell’autore, nel 1912, come educatore di fanciulle non vedenti presso l’Ospizio Margherita di Roma. In queste esperienze vengono messe in pratica le idee maturate dal Romagnoli, che amava realizzare nella pratica i programmi che andava elaborando.
In questi programmi era compresa anche la diffusione fra i vedenti delle idee per una educazione nuova, fondata su un’esperienza fisica capace di giungere alla realizzazione di obiettivi spirituali attraverso l’orientamento, l’esplorazione, il gioco e, quindi, la capacità di costruire, plasmare. In sostanza Romagnoli lascia comprendere che si tratta della stessa didattica che vale per i vedenti, che si fonda più sull’esperienza di vita che sulla scuola e, come dice Lombardo Radice nella sua introduzione «organizza la scuola come esperienza di vita». L’attualità di questo scritto è bene espressa dalla moglie nell’introduzione all’edizione del 1973: «Il non fermarsi al contingente lo porta a rivolgersi verso il futuro, a stimolare sempre più avanti l’intuito e la meditazione prevedendo l’evolversi nel tempo di concetti e di attività educative che fanno di lui un precursore della nuova educazione«.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Quando nel 1906, pubblicata dallo Zanichelli, uscì la mia Introduzione all’educazione dei ciechi, l’accoglienza che trovò non mi inorgoglì, ma mi colmò di maraviglia. Nella prefazione a quell’opuscolo avevo scritto sinceramente:
«Troppo si scrive oggi, e i lettori non sono sufficienti; onde io, educato alla voluttà del sacrificio, vagheggiai sempre con soave compiacenza, sino da giovinetto, il proposito di restare perpetuo lettore, serbando il voto, per amore del prossimo e delle lettere, del mio pensoso silenzio, anche se mi sembrasse avere qualche cosa di buono da dire. Tanto, le idee sono nell’aria, e qualcheduno le manifesta sempre. Ma i ciechi reclamano che si parli di loro, affinché quelli che veggono li conoscano e li aiutino con discernimento e frutto pari alla benevolenza e alla pietà che nutrono per loro; e quelli che veggono pure si mostrano curiosi e avidissimi di sapere intorno a questa materia, come ogni giorno ho da me stesso occasione di sperimentare.
Banditore dunque, non autore, di pubblica materia, io la do fuori greggia; così, come per varie circostanze di natura e di fortuna mi è avvenuto di trovarla; e la mia consolazione sarà se a qualche cosa di buono possa essere adoperata. Ne ho dell’altra ancora in magazzino, la seconda parte, a compimento del presente lavoro; ma la terrò un altro poco in serbo, per aspettare prima l’accoglienza che sarà fatta a questa».