Propongo un’altro romanzo ascoltato grazie a Liber Liber, poter ascoltare audiolibri gratuitamente è un vero regalo. Durante i pomeriggi di pittura ho scoperto che l’ascolto di una buona lettura mi facilità maggiormente la concentrazione, molto più della musica, leggere con le orecchie e dipingere si associano in modo perfetto e riesco a stare calata nel quadro e nella storia allo stesso tempo.
Un’invettiva
Una lettura il cui valore più che letterario è morale e politico. La storia è un po’ strappalacrime stile Heidi ed il modo di raccontarla è stilisticamente arcaico, con un uso dei verbi decisamente fantasioso per i giorni nostri; sicuramente leggendo questo libro e leggendone alcuni contemporanei è facile notare come la grammatica, nel corso degli anni, si modifichi e sia davvero un’opinione […]
Non posso dire che il romanzo mi sia piaciuto, ma sicuramente per l’epoca in cui è stato scritto ha rappresentato un duro attacco alla falsa moralità e alla legalizzazione della prostituzione e delle case di tolleranza mediante il «Regolamento Cavour». Forse oggi ci fa sorridere la ritrosia della protagonista, ma nel 1878 questa storia suscitò uno scandalo che arrivò fino al Parlamento italiano a causa della visione femminista dell’autrice ispirata dalla figura di Anna Maria Mozzoni ,una giornalista, attivista dei diritti civili e pioniera del femminismo in Italia.
Un ringraziamento a Liber Liber e a Silvia Cecchini per le sue letture, probabilmente se non avessi potuto ascoltare la storia tramite la sua voce non avrei letto questo libro.
Il «progetto Manuzio» è una iniziativa dell’associazione culturale Liber Liber.
Aperto a chiunque voglia collaborare, si pone come scopo la pubblicazione e la diffusione gratuita di opere letterarie in formato elettronico. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito Internet: https://www.liberliber.it/
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Riporto solo alcune citazioni significative:
Perché questi enti morali, specialisti filantropici di malattie morali, non sono noti al popolino come l’oculista, il cavadenti, il professore di medicina che si è acquistato un nome nella cura speciale di una malattia?
Era una cordialità selvaggia; una cordialità mista ad un desiderio maligno di far fare ad un’altra ciò che facevano loro, di metterla al medesimo livello. Quell’istinto d’assorbire, d’assimilarsi e d’affratellarsi che nasce sempre negli animi traviati, nei colpevoli e nei tristi. Il bisogno di crescere di numero e di formare una maggioranza; di sostituire alla qualità la quantità.
Istinto d’assorbimento morale, istinto potente, che possediamo tutti; legge d’attrazione intorno alla quale gravita tutto il mondo intellettuale, che ora chiamasi proselitismo, ora fanatismo, ora corruzione, e ora, quando sia forte e s’incarni gagliardamente in uno solo, chiamasi anche despotismo.
Era una delle maggiori e più ripugnanti miserie della società, quella che chiacchierava e rideva in quell’ora, eccitata e nervosa, intorno alla tavola ove sedeva la Barberina.
Era una miseria avida di vivere, pigra e oziosa, eppur sempre trafelata e ansante, che non ha tempo da perdere, eppure non lavora mai; e che nella furia di vivere spende tutte le sue forze. Miseria che ha paura e che vende la sua paura; miseria che soffre di febbre e vende le sue febbri; miseria che è sfacciata e vende la sua sfacciataggine; miseria che talvolta sa fingere vergogna per vendere anche quella. E in quella furia di dare per vivere, di farsi a brani per dividersi e suddividersi e darsi a tutti, in quel molteplice suicidio morale che la società compra a caro prezzo, si consuma con rapidità vertiginosa tutta quella misera gioventù. Ma la sciagura non finisce mai. In quelle vecchie vesti entrano, sempre vive e belle, nuove bambine e nuove donne.
La società ne ha bisogno, le vuole.
Sono vittime che la civiltà richiede. La loro bellezza e la loro gioventù sono una garanzia di ordine e di tranquillità.
La società soffre di un male incurabile, e ha cercato in esse il suo rimedio.
E le donne per bene, passando dinanzi ad esso, dopo aver guardato in su e dopo aver letto quella parola, volgevano la testa dall’altro lato, ora con disgusto, ora con malizia, talvolta con ira.
Era una prostituta.
Esse invece erano libere, mentre quella disgraziata era una schiava; e la sua giovinezza non la poteva scusare, ma l’accusava anzi maggiormente; il suo male non era per esse se non altro che una prova degli eccessi commessi nella colpa stessa, e per questa ragione nessuna, passando, si fermava presso al suo letto.
Donne galanti, mogli adultere, giovanette viziose, tutte passavano, guardandola con disprezzo.
Era una prostituta.
Non aveva più nulla in comune con le altre, non era più donna come loro, ma era soltanto una femmina; e la sua esistenza gravitava oramai inesorabilmente nella cerchia ributtante della propria femminilità.
Abbiezione irrevocabile, che agli occhi di tutti non appare come una disgrazia ancor maggiore per la sua irrevocabilità, ma anzi sembra più abbietta perché senza rimedio, e trae dalla stessa sua disperata condizione un obbrobrio sempre crescente, come ai tempi della schiavitù il non essere libero imponeva un marchio d’inferiorità crudele e assurdo.
Portarono quest’onta gli schiavi; la portano tuttora le prostitute, e la condividono tutti quei miserabili che soffrendo d’un’ingiustizia sociale, e non potendo punirla, la subiscono
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Limmagine in evidenza è un particolare diDollSamalugi Turquoise, 70×120 mixed media on canvas 2016