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«Sono nato a Imperia nel 1977, l’anno del punk e di Guerre Stellari. E di qualche altra faccenda un po’ meno pulita del nostro paese. Sono Europeo, come un gatto bastardo. Mi trovate spesso a Torino, a mettere i dischi in club fumosi, o in ogni qualsiasi altra città presa a caso sulla mappa geografica. Randagio. Sono membro fondatore di ToriNoir. I miei ultimi romanzi sono Ultimi fuochi per Paludi, Sushi sotto la Mole, Giorgio Paludi, 44 anni il giorno dei santi e Via del Campo, tutti editi da Fratelli Frilli. Purtroppo per voi, ne sto scrivendo di nuovi». Così si presenta Fabio Beccacini, del cui ultimo romanzo, Mentre Torino Dorme (anch’esso edito da Frilli), si sta parlando molto in questi giorni. Forse in maniera un po’ insolita…
L’espressione «dare scandalo» ci sembrava cosa d’altri tempi. Eppure il tuo ultimo romanzo giallo, Mentre Torino dorme, è stato accusato di ledere «il buon costume e la cultura italiana». Che sta succedendo?
Bisognerebbe chiederlo a chi lo ha affermato. In ogni caso è abbastanza triste constatare che un lettore, nel 2016, possa pensare che se un romanzo non incontra i suoi canoni «morali», debba essere ritirato dal commercio. Rispetto ogni opinione, anche e soprattutto se diversa dalla mia. Ma qui non posso che rattristarmi.
Di cosa parla il tuo noir?
Di una città che sta cambiando. Immersa in una mappa geografica globale in cui quello che succede a centinaia, a migliaia, e a decine di migliaia di chilometri di distanza, ha delle ricadute inevitabili sulle strade in cui abitiamo. Bisogna iniziare a prenderne atto.
Da cosa pensi che tragga origine l’accusa di «istigazione alla devianza», che ti è stata rivolta? Cosa rende il tuo libro tanto diverso dagli altri […] da attirare un simile strale?
I libri sono libri, non istigano nulla. E il mio esattamente come gli altri. «I moralisti sono quelli che chiudono i propri cadaveri negli armadi degli altri»: non ricordo chi lo disse, ma sicuramente aveva colto nel segno.
Hai detto che il vero crimine sarebbe, dopo aver visto il male con i propri occhi, «sciacquarsi la bocca prima di raccontarlo». Cosa significa?
Significa che bisogna usare le parole, e lo stile giusto, per raccontare un crimine. La «cifra» giusta. Quella che ci può consentire di svelare le trame che sovraintendono al potere delle città contemporanee. Edulcorare questo racconto, metterci tanto zucchero, per farlo digerire ai più, è un metodo che non mi piace utilizzare.
Come sono le notti torinesi che per motivi professionali conosci bene e che hai descritto qui?
Sono un palcoscenico privilegiato da cui guardare la città. C’è chi la notte la vive, per lavoro, o per ossessione. Ma tutti in un modo o nell’altro la frequentano e ne sono in qualche modo attratti, o respinti. Di notte cadono molte barriere, I desideri si fanno più intensi, pericolosi. Sconfinano nell’ombra. È facile sbagliare strada, a un incrocio, trovarsi al buio. È lì che inizia il noir. Ci vuole poco. Poco per sbagliare, per perdere. Per vincere o fallire.
Negli ultimi otto anni hai scritto molti altri gialli: perché, a tuo avviso, la polemica nasce proprio oggi?
Mi auguro che non sia la spia di una regressione civile. Una chiusura mentale che derivi da altre chiusure che tanti auspicano nei confronti del diverso. E il diverso può essere la famiglia di coppie dello stesso sesso, così come il migrante che scappa da un paese in guerra e bussa alle nostre frontiere.
La censura proposta dal lettore, secondo te, ha un senso? Che utilità potrebbe avere? E come dovrebbe porsi l’autore nei confronti di una simile richiesta?
Certamente la censura non ha nessun senso. Il confronto, ha un senso. La discussione, anche. Lo scambio di opinioni, non arroccarsi su convinzioni personali pretendendo che siano la regola. È una convinzione che sa di olio di ricino.
Hai paragonato il tuo commissario Paludi al Lamberti di Scerbanenco: non ti sembra un po’ – come dire: – «pretenzioso»?
Veramente non l’ho mai fatto. Ho detto che il commissario Paludì è «come» Duca Lamberti, nel senso che è mosso dalla stessa spinta morale, sa che il suo lavoro è acciuffare dei criminali anche se potrebbe non servire mai a niente. Diverso sarebbe dire che la qualità letteraria del mio lavoro è paragonabile a quella di Scerbanenco. Ma non mi sognerei mai di dirlo!
Di cosa parlerà il tuo prossimo romanzo? Ci daresti un’anteprima esclusiva per i lettori di «Pagina3»?
Sarà un giallo «mediterraneo». Ambientato in un piccolo paese dell’entroterra ligure, con un nuovo personaggio, un medico di famiglia mezzo matto con una vecchia due cavalli bordeaux che si perde volentieri a passeggiare tra gli olivi. Solo che tra gli olivi, un giorno, ci trova un bel cadavere.