ROBERTO GABELLINI, L’ultima marcia del tenente Péguy, con un saggio di Pigi Colognesi, Edizioni Ares, Milano 2014, pp. 168, euro 14,00, ISBN: 9788881556250
Charles Péguy, tenente della riserva, morì il 5 settembre 1914, nei dintorni di Villeroy, fulminato da un proiettile in fronte, mentre era al comando della sua compagnia. Cominciava la battaglia della Marna. Si concludeva così, a soli 41 anni, l’esperienza dell’indomito direttore dei «Cahiers de la Quinzaine», affascinato da Giovanna d’Arco, il socialista tornato al cattolicesimo senza rinnegare il suo passato. Poeta tra i grandi del Novecento, frequentato meno del dovuto, eppure dal fascino magnetico, Péguy è una figura ardente e «irregolare».
A cento anni dalla morte (e dall’inizio di quella tragedia che fu la prima Guerra mondiale), Roberto Gabellini compie un’operazione coraggiosa: non l’ennesimo saggio ma un poema, ed emozionante. Giorno per giorno, dal 1 agosto (mobilitazione generale dell’esercito francese) al 5 settembre, Gabellini rievoca l’itinerario spirituale dei giorni estremi del tenente Péguy: dai treni imbandierati che lasciavano Parigi per il fronte, alle marce martoriate dalla stanchezza e dalla sete, sino al fatale incontro con il nemico.
Sappiamo parecchio di quei giorni, grazie alla testimonianza che Victor Boundon, un commilitone sopravvissuto, pubblicò nel 1916. Gabellini entra a fondo nella storia e nella vita interiore del poeta, nella trama dei suoi versi si scorgono i fili delle parole di Péguy. L’ultima marcia del tenente Péguy è uno scavo sul senso della vita e sul mistero del dolore, che, come insegnava l’autore di Véronique, può essere capovolto dalla forza spiazzante della Grazia: «Lascia che sia la grazia a darsi da fare,/ se vuole; lei che è insidiosa, è scaltra,/ che è sempre inattesa, è ostinata;/ che se non viene diritta, certo,// trova sempre un qualche modo,/ per quanto strano, d’arrivare alla meta» (p. 21).
Nei versi di Gabellini, Péguy è visto con gli occhi dei suoi soldati; essi stessi membri della riserva, osservano con stupore e tenerezza questo anziano tenente, padre di tre figli, famoso polemista, che va alla guerra con una serietà e una levità sorprendenti. Prima della partenza era andato, di porta in porta, a riconciliarsi con tutti coloro che la sua vis polemica aveva contrastato. E ora, con l’animo leggero, rifatto, sa di andare a morire, ma anche che in ballo c’è una salvezza più grande: «Se vinceremo la guerra, dici,/ sarà per ogni singolo gesto// che avremo fatto, se sarà buono,/ onesto; se noi lo saremo. Noi/ non siamo qui per vincere a ogni costo,/ ma per mantenere, per riuscire a preservare// il piccolo senso delle cose, la loro nobiltà./ Chi salverà il mondo?/ I vincitori o i puri di cuore?» (p. 111).
Come scrive Alessandro Rivali nell’Invito alla lettura: «L’ultima marcia del tenente Péguy è il bilancio di una vita letto nella prospettiva di un conto alla rovescia verso la morte ed è anche la storia di una vocazione. Singolare, personalissima, unica, come ogni vocazione. Proprio nel Mistero della carità di Giovanna d’Arco Péguy aveva riflettuto sul tema della chiamata: «Se Dio ha delle intenzioni su di te, tu non troverai mai riposo, il pane quotidiano del riposo, il riposo come gli altri, il riposo di tutti, il riposo su questa terra. Dio non ha idee come tutti. Ha delle invenzioni incredibili, e precisamente quelle che non ci si aspetta. Ascolta dunque. Se Dio ti chiama, tu non resisterai a Dio»» (p. 7).
Preziosi, al termine, la scheda biografica, la cronologia dei 35 giorni di guerra e il saggio di Pigi Colognesi, che è autore di La fede che preferisco è la speranza – Vita di Charles Péguy, a oggi l’unica biografia italiana.