L’acerbo chitarrista blues John Kay (al secolo Joachim Fritz Krauledat), giunto a Toronto dalla nativa Germania, ha in mente grandi progetti per lui e la sua chitarra ritmica. E’ stufo di suonare nei pub di Toronto per pochi ubriaconi che, mentre suona, gli urlava di togliersi gli occhiali scuri. Il suo non è un vezzo: soffre di acromatismo, un fastidioso disturbo alla vista che lo rende insofferente alle luci troppo intense restituendogli un mondo in bianco e nero.
Kay è profondamente afflitto nel proprio orgoglio, tant’è che tenta in tutti i modi di convincere il resto della band a trasferirsi altrove in cerca di fortuna. Ci riesce e decide di recarsi a San Francisco, seguito dal batterista Jerry Edmonton, dal chitarrista Michael Monarch, il tastierista Goldy McJohn ed il bassista Rushton Moreve.
Giunto nella vivace San Francisco, patria dei figli dei fiori, Kay ci mette poco ad entrare nelle grazie del produttore discografico della Dunhill Records Gabriel Mekler. Musicista a sua volta, già rodato dalla collaborazione con Janis Joplin, Mekler diventa la figura decisiva per far decollare la carriera del gruppo. Contribuisce ad aprirne il sound grezzo usando toni più aggressivi e incalzanti, vicini all’hard rock e suggerisce ai cinque canadesi il nome di Steppenwolf, ispirato dalla lettura appena terminata del romanzo di Herman Hesse “Il lupo della steppa” (un tragico destino porrà fine alla sua esistenza poco tempo dopo quando, appena trentacinquenne, verrà disarcionato dalla sua moto).
Abbracciando gli umori della contestazione hippy gli Steppenwolf diventano nel giro di pochi anni, insieme ai colleghi di palco Grateful Dead, coloro che meglio impersonano lo spirito libero dei giovani contestatori. Nel 1968 viene pubblicato l’album omonimo che consegna la band all’immortalità. Due i brani di punta: “Born to be wild”, destinato a divenire l’inno dei motociclisti di tutto il mondo e “The Pusher” (scritto dal cantante folk Hoyt Axton), spietata denuncia nei confronti dei trafficanti di droga. Il successo venne amplificato dall’inserimento delle due tracce nella colonna sonora del film Easy Rider, road movie anch’esso destinato a divenire un cult generazionale.
Il riff di “The Pusher”, splendida ballata blues rock, anticipa senza ombra di dubbio le tendenze sonore future, mentre le schitarrate distorte di “Born to be wild” gettano le basi del nascente heavy metal, coniandone la definizione. Scrive infatti Kay: “I like smoke and lightning, heavy metal thunder, racin with the wind”, cioè “Mi piacciono il fumo e il lampo, il tuono del metallo pesante, correre con il vento”, riferendosi alla marmitta della sua moto (la presunta paternità del termine attribuita a Burroughs, scrittore esponente della controcultura americana, è un’altra storia, dato che la citazione veniva usata come sinonimo di sostanze stupefacenti, delle quali Burroughs faceva largo uso).
L’album “Steppenwolf” è da segnalare anche per il brano ‘ecologista’ “The Ostrich”, lucida denuncia alla corruzione del sistema e a coloro che, come lo struzzo (traduzione di ostrich) nascondono la testa sotto la sabbia per non vedere il marcio che li circonda.
E’ il tastierista Goldy McJohn (quello dall’assurda chioma very wild, guardatevi la foto in apertura) ad inserire per la prima volta un organo all’interno di un tessuto rock, conferendo al suono quel piglio innovativo che sarebbe stato poi ripreso da altre band di lì a venire (non ultimi i Doors); purtroppo, nonostante l’innegabile talento, Goldy si fa prendere la mano da fantasmi esistenziali che lo conducono in una realtà parallela fatta di droga e comportamenti violenti; implicazioni che portano gli altri componenti ad estrometterlo dalla formazione.
I Nostri riescono comunque a traghettare la musica di quegli anni dalla psichedelia imperante verso un universo più rockettaro. John Kay, aiutato da un timbro incredibilmente elegante e graffiato e da eccellenti doti interpretative, si fa inconsapevolmente portavoce degli anni della contestazione, polemizzando contro l’atteggiamento militaresco dei politici americani.
Ed è proprio Kay tra i primi a sposare moda e modi da biker: giubbotti in pelle nera, occhiali scuri, borchie. E l’immancabile moto feticcio: la Harley Davidson.
Il 14 febbraio del ’72, dopo una manciata di album meno fortunati, gli Steppenwolf si sciolgono. Una breve apparizione li vede tornare on stage nel 1974, ma l’alchimia degli esordi è ormai svanita: l’esclusione di McJohn, l’allontanamento di Monarch a causa dei continui alterchi con Key e la successiva scomparsa di Moreve a causa -anche lui – di un incidente stradale, vedono sfumare qualunque successivo tentativo di reunion.
Il frontleader da qualche anno è tornato nei pub con il progetto “John Kay and Steppenwolf” tagliando i ponti con i colleghi e continuando ad esibirsi in favore dei fans più nostalgici.
(di Agatha Orrico)
Testo e traduzione di “Born to be wild”
Get your motor runnin’– Fai correre il tuo motore
Head out on the highway – A testa bassa sull’autostrada
Lookin’ for adventure – cercando l’avventura
And whatever comes our way – E qualunque cosa capiti sulla nostra strada
Yeah Darlin’ go make it happen – Sì Cara fai che succeda
Take the world in a love embrace – Prendi il mondo in un abbraccio d’amore
Fire all of your guns at once – Spara con tutte le tue pistole insieme
And explode into space – ed esplodi in cielo
I like smoke and lightning – mi piacciono il fumo e il lampo
Heavy metal thunder – Il rombo del metallo pesante
Racin’ with the wind – Gareggiando col vento
And the feelin’ that I’m under – e sentendo che sono sotto
Yeah Darlin’ go make it happen – Sì Cara fai che succeda
Take the world in a love embrace – Prendi il mondo in un abbraccio d’amore
Fire all of your guns at once – Spara con tutte le tue pistole insieme
And explode into space – ed esplodi in cielo
Like a true nature’s child – Come un vero figlio della natura
We were born, born to be wild – Noi siamo nati, nati per essere selvaggi
We can climb so high – Noi possiamo scalare così in alto
I never wanna die – Non voglio morire mai
Guarda il video di “Born to be wild”