Brindisi 7 marzo 1991 – Al porto di Brindisi c’è foschia e una nebbiolina leggera. E c’è agitazione nell’aria. L’acqua del mare sembra nero petrolio, il colore di centinaia di piccole imbarcazioni pullulanti di persone. Più due enormi e fatiscenti navi mercantili. Sono migranti albanesi. Sono 27.000. Un esodo. Un formicaio di persone.
Gridano (si capirà dopo): “Italia, sei la terra promessa”. Sono cresciuti guardando la tv italiana, Raffaella Carrà, il Festival di Sanremo. Sono partiti così, senza un bagaglio e senza un soldo in tasca, desiderosi di lasciarsi alle spalle un ex regime comunista ed una crisi economica.
Per la città di Brindisi è un risveglio inaspettato e traumatico, di chi non sa che fare, e come darle torto. Cominciano ore di trattative tra il governo italiano e le autorità di Tirana, che si traducono nel permesso alle navi di attraccare e ai migranti di sbarcare.
La popolazione pugliese scende in strada: porta cibo e abiti riciclati dai parenti. Centinaia di migliaia di volontari scendono per le strade. Ma dove portare questa moltitudine di nuovi arrivati? Si aprono le parrocchie, gli oratori, i centri sociali. Si ricorre perfino alle scuole. Alcuni privati offrono le loro abitazioni. Parte dei migranti viene spostata in Basilicata e in Sicilia, per mancanza di spazi.
Ad agosto un altro sbarco: stavolta sono in 20.000, tutti su di un’unica nave. A bordo ci sono anche miliziani armati che hanno costretto l’imbarcazione, che stava scaricando zucchero, a fare rotta verso l’Italia. Il governo chiude il porto di Brindisi ma la nave si dirige a Bari. La gente non attende nemmeno l’attracco e si lancia in mare. Le foto che testimoniano l’increbibile esodo umano sono opera di Luca Turi e Vittorio Arcieri.
Ricomincia la ricerca spasmodica di posti dove accogliere gli immigrati. In attesa di una soluzione migliore si apre lo stadio della Vittoria, considerato l’unico posto in grado di contenere una mole simile di persone, scelta che si rivelerà disastrosa. Acqua e cibo vengono passati dalle grate dei cancelli e poi lanciati dagli elicotteri. Dopo alcuni giorni scoppia una vera e propria guerriglia, che culmina con 40 feriti tra le forze dell’ordine e un numero imprecisato di feriti albanesi.
Il Governo italiano, capitanato da Giulio Andreotti, contatta nuovamente Tirana e comunica la sua intenzione – tra le critiche – di rimpatriare la seconda ondata di migranti, avvalendosi della Legge Martelli.
Prende quindi il via la più poderosa operazione di rimpatrio della storia repubblicana: 11 aerei militari C130 e G222, 3 Super80 dell’Alitalia, oltre a motonavi come la Tiepolo, la Palladio e la Tiziano. Su una di queste si imbarca, fingendosi albanese, l’inviato del Messaggero Marco Guidi al quale si devono le testimonianze raccolte in quei giorni (eh….i giornalisti di una volta…).
Si inviano soldi al governo albanese, nel tentativo che questo contribuisca a fermare l’esodo verso l’Italia: 90 miliardi di lire. Più altri 60 miliardi da investire per il decollo industriale. Forniture per far riaprire le scuole e altri beni di prima necessità.
Tempo dopo il nostro governo stipulerà un accordo per favorire l’immigrazione regolare dall’Albania. Moltissimi i giovani albanesi venuti a studiare che hanno conseguito la laurea nelle università italiane, tantissimi i lavoratori regolari. Ha inizio una fitta rete di scambi commerciali tra i due paesi. I trafficanti di esseri umani, che lucravano sugli immigrati, vedono volatilizzare tutti i loro profitti.
Secondo il Comandante Halim Milaqi, che ha guidato la nave del secondo esodo e che sta realizzando un documentario, la ripresa economica dell’Albania non sarebbe stata possibile senza l’Italia.
Ovviamente in tutto quel trambusto i mass media hanno, ieri come oggi, alimentato la diffusione dell’idea di pericolo. “Fuori tutti e subito, sono clandestini” è un titolo dell’epoca, che riecheggia abbastanza famigliare. Lo spauracchio criminale durato quasi una decina di anni verso quella che oggi viene definita una “comunità virtuosa, di grandi lavoratori” si è fortunatamente dissolto nel nulla.
Gli albanesi oggi rappresentano per numero la seconda comunità di origine straniera in Italia e molti di loro hanno raggiunto traguardi professionali importanti.
(di Agatha Orrico)