Vecchi soldati

di
P. Da Pontelungo (Ferrari, Pietro)

tempo di lettura: 8 minuti


Ogni anno, il 4 novembre, come a un richiamo guerriero, dai paesi della Valle della Cravia scendono i reduci della Grande Guerra per adunarsi in qualche località del fondo valle e celebrare, con una gagliarda bevuta all’alpina, la data della vittoria.

E nessuno manca all’appello, anche se, ogni anno, qualche filo bianco di più segna le chiome nere e le chiome bionde; anche se qualche ruga più profonda solca i loro volti abbronzati di contadini.

Ma, quel giorno, tutti tornano col cuore a vent’anni; mentre tra i colmi bicchieri, rifioriscono i ricordi e i canti.

Sì, il vino riscalda il cuore dei vecchi soldati, si tramuta in buon sangue e si effonde in gioia di canti.

Ma, quel giorno, non è solo il vino che fa cantare i vecchi soldati. Essi cantano come cantavano lassù, quando i migliori cadevano crocifissi sulla terra insanguinata del loro calvario. E altro era il motivo dei loro canti.

Quel motivo lo espresse, con semplicità sublime, un fante ignoto del Carso nella breve frase, incisa sulla roccia di una dolina: Canta che ti passa! E questa frase, se si potesse vestirla di parole fiorite e adagiarla, come in un letto di rose, nel ritmo di un canto, sarebbe la canzone più bella sgorgata dal cuore di un soldato.

Voleva dire quella frase: ricordi, o piccolo soldato, il tuo paese lontano? Ricordi, con l’anima in pena la tua casa abbandonata? Canta che ti passa… Perchè sei così triste, o ragazzo? Perchè guardi lontano, con occhi velati di pianto, attraverso i grovigli dei reticolati, irti come corone di spine, rossi come rosai di sangue? Guardi se non ti apparisca, d’un tratto, un paesaggio a te noto, o un caro volto, che ti sorrida? Canta che ti passa…

Il tuo cuore è arido e secco, come un pugno di terra riarsa? Le tue mani tremano un po’, come il tuo cuore? Le tue labbra, assetate, bevono avidamente le tue lagrime sconsolate? Canta che ti passa…

Sì, cantando, il soldato dimentica. Ma solo se canta le canzoni fiorite dal suo cuore: le canzoni, che egli stesso ha creato con la sua gioia e col suo tormento, con la sua disperazione e con la sua speranza. Ed è cattivo segno, quando il soldato non canta…

Per questo, quando i vecchi soldati si ritrovano insieme e ricordano la passione dei giorni lontani, dal loro cuore d’un tempo, rifioriscono le antiche canzoni. E, come allora, essi tornano a cantare, muovendo in cadenza la testa:

Sul ponte di Bassano
noi ci darem la mano
ed un bacin d’amor…

Così, aveva cantato, lassù, il soldato giovinetto; così, torna a cantare il veterano coi capelli fatti grigi. E canta le vecchie canzoni d’amore e di guerra, le nenie dei focolari lontani, dalle semplici e rozze parole, come intessute di fiori e di lagrime; e canta per ritrovare un po’ di se stesso, per far rivivere qualcosa della sua giovinezza eroica. E, cantando, torna a socchiudere gli occhi, come faceva allora, per non sentirsi solo, per illudersi di avere ancora vicine le cose e le persone care. Canta che ti passa!

Ma il coro dei vecchi soldati, riprende con tono marziale:

Sul cappello che portiamo
c’è una lunga penna nera,
che a noi serve da bandiera
su pei monti a guerreggiar…

E la buona gente, che non ha fatto la guerra e fa cerchio intorno ai cantori, guarda con occhi stupiti e sorride con malizia e ha l’aria di pensare: effetto del vino!

Eh no, non è effetto del vino!

Per i vecchi soldati, cantare vuol dire ringiovanire il cuore; rivestire l’anima di grigio verde, ravvivare la nostalgia scolorita dei ricordi lontani.

Si alternano, così come allora, canti accorati e canzoni guerriere. E prima si leva una voce isolata; man mano seguita da altre voci. Poi, tutto il coro, lento e solenne, intona il ritornello:

Prendi il fucile e corri alla frontiera:
la c’è il nemico e alla frontiera aspetta…

Dopo segue un’altra canzone:

Dove sei stato, mio bell’alpino…

E ancora un canto, a voci spiegate:

Quel mazzolin di fiori
che vien dalla montagna…

Una sosta. Poi il coro riprende:

Di là, di là dal Piave
ci sta un’osteria…

Cantare! Cantare, per chi ha fatto la guerra, vuol anche dire sentirsi più italiani. Perchè quei canti rappresentano i fiori olezzanti di tutte le terre d’Italia; rappresentano le nostre genti diverse, fuse in una sola volontà e in una sola fede; rappresentano tutto il popolo della Patria, che ebbe nella guerra, il suo crisma eroico di sangue e di gloria e che, col suo generoso olocausto, segnò, in eterno, la pagina più grande della sua storia. E, veramente, un segno vivo e tangibile della Patria è la meravigliosa fiorita di canti, che la guerra ha fatto sbocciare da ogni focolare; che ricopre, come una fiorita di rose vermiglie, ogni lembo della nostra terra; che si spande ai venti, con le mille voci, che, nelle ore supreme, salgono dalle profondità delle anime.

La gente che non ha fatto la guerra queste cose non può capirle. Ma i vecchi soldati non si curano di quella gente. E, bevendo in letizia, dal loro cuore, tornato ad aprirsi come una fresca rosa di maggio, lasciano ancora sbocciare i canti della gioia e dell’ardimento, della vita e della rinunzia.

E il coro torna a dilagare, maschio e gagliardo, col tono guerriero di una fanfara:

E le giberne che noi portiamo
son portacicche…

Ma, mentre si alternano i canti, tornano dal tempo lontano, le vecchie memorie. E allora, qua e là, nel gruppo dei cantori, qualche testa grigia o qualche testa ancora bruna si piega nel ricordo, qualche labbro si fa muto e due occhi, velati come di tristezza, sembrano guardare lontano…

— Ricordi, vecchio soldato?

Il vecchio soldato ricorda. Anch’egli partì, silenzioso, dalla sua casa, nell’ora del pericolo e del sacrificio; soffrì e combattè sui confini della Patria e lungo i fiumi della disperazione e della riscossa; e, a guerra finita, si rimise lo zaino sulle spalle e rifece in silenzio, le vie del ritorno. E, tornato alla quiete del suo focolare, riprese, in umiltà, il lavoro interrotto.

Ma, in fondo all’anima, egli conservò l’orgoglio della gesta compiuta e della sua povertà onorata. Così, ogni volta che egli si ritrova coi vecchi fratelli d’armi, dal suo cuore torna a sbocciare il fiore vermiglio dei suoi ricordi eroici. E quei ricordi sono, allora, per lui, un po’ come la sua bandiera, che egli difese lassù; che levò nel sole come la sua anima; che ripiegò lacerata, nell’ora dello sconforto; che risollevò, come un grido d’orgoglio, nel giorno della risurrezione e della vittoria.

— Ricordi, vecchio soldato, le giornate del Carso, del Trentino, del Piave e l’ora radiosa della vittoria?

Tutto ricorda il vecchio soldato. E, anche a distanza di anni, egli rivive le ore eroiche e indimenticabili della sua guerra, quando balzava all’assalto in un tumulto di grida, di ferro e di fuoco; quando, esaurite le cartucce e le lagrime, doveva abbandonare le posizioni conquistate e i compagni caduti; quando, in un tragico giorno, fatta vana ogni resistenza, dovette ritirarsi per le vie buie della ritirata, rinnovando, ogni tanto, il disperato impeto, rivolgendosi ancora per mordere e per ringhiare, fino alla salvezza del Piave.

Ma, sul Piave, nel giugno glorioso, egli dimostrò come sapesse tenere fede alla consegna: «vincere o morire»; e resse all’urto tremendo. E furono, allora, squilli epici di vittoria, grida esultanti di giovinezza, gagliardetti di sole e di vento, che sventolarono a gloria sui vivi e sui morti.

Poi, quando venne l’ora attesa e decisiva, tutti i soldati d’Italia, i ragazzi del novecento, e i veterani delle prime battaglie, tutte le bandiere e tutte le speranze, balzarono, oltre il Piave, all’ultimo attacco; passarono di linea in linea, irresistibili e rumoreggianti come l’uragano; vendicarono i vecchi morti e i nuovi; e cancellarono, nella gloria della più grande vittoria, la mortificazione dei giorni dell’avversa fortuna.

E su ogni labbro e in ogni cuore, un grido solo e un fremito solo: Italia!

Ecco ciò che ricorda il vecchio soldato, quando dal suo cuore, rifioriscono le lontane e sacre memorie: ecco ciò che gli ritorna a vivere, nell’anima, quando ricanta le sue vecchie canzoni.

Onore, adunque, al vecchio soldato!

Onore al soldato glorioso della Grande Guerra, che compì il suo dovere fino all’estremo della rinuncia e del sacrificio; che portò la croce del suo martirio su per l’erta insanguinata del suo calvario; che segnò col suo tormento il limite supremo tra la disperazione e la speranza; che additò, col suo sangue vermiglio, le vie radiose della vittoria e della gloria!

E nulla chiese per sè.

Poi, quando annotta, l’adunata si scioglie e i vecchi soldati riprendono, a gruppi, le vie dei loro paesi; mentre, nella notte, che si viene punteggiando di stelle, qua e là, dalle balze e dalle gole dei monti, s’odono ancora, sempre più lontani, i loro canti di guerra.

E quei canti, a chi li ascolta, con l’anima aperta ai ricordi del passato e alle speranze dell’avvenire, sembrano risalire dalle stesse lontananze della stirpe e rievocano l’immagine di un popolo sano di contadini e di soldati, usati alle opere della pace e pronti ai cimenti della guerra.

E questo popolo che, anche nelle ore buie della sua storia, conserva intatte le native virtù della razza, se, dopo l’espiazione, la Grande Madre chiamerà, lascierà ancora la vanga per il fucile e sarà, anche una volta, la forza e la salvezza dell’Italia.

Quando?

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Vecchi soldati
AUTORE: P. Da Pontelungo (Ferrari, Pietro)

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Novelle di Valdimagra / P. da Pontelungo. - Pontremoli : Artigianelli, 1944. - 226 p. ; 23 cm.

SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)