Un passaggio difficile
di
P. Da Pontelungo (Ferrari, Pietro)
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Quella notte Don Giocondo non aveva chiuso occhio; e, quando, al mattino, le prime luci dell’alba cominciavano appena a schiarire il terso cielo d’aprile, contro il suo solito, era già in piedi.
E ne aveva motivo. Quel giorno era la festa di San Giorgio Martire, patrono di Rocca Ventosa. E per giunta, proprio quel giorno, doveva salire fin lassù, in visita pastorale, il Vescovo di Pontelungo.
Appena ebbe finito di vestirsi, Don Giocondo spalancò la finestra, che dominava, dall’alto, le case del paese, e guardò giù, nella valle sottostante, dove villaggi e casolari cominciavano a distinguersi, qua e là, sui greppi e tra le pieghe dei monti, nella caligine del mattino. Poi, uscì dalla stanza per dare la sveglia alla canonica; e per prima cosa, andò a bussare, ripetutamente, alla porta della camera vicina, dove dormiva il cappellano, che era giovane e aveva il sonno duro. Era lui che doveva dire la prima Messa. Dopo, salì al piano di sopra per chiamare la sorella e la vecchia serva, alle quali era riserbato il compito principale della giornata: preparare il pranzo per gli invitati, che, tra preti, fabbriceri e altri ospiti, salivano, quel giorno, a una ventina di commensali.
Don Giocondo era noto per il suo carattere allegro e socievole e per la cordiale ospitalità, con cui accoglieva, alla sua mensa imbandita, e non solo per la festa di S. Giorgio Martire, preti e amici dei paesi vicini, che spesso uscivano da quelle prove conviviali con le gambe meno salde e con la lingua meno sciolta. Oh le belle tavolate festanti, in cui, dopo acconci preludî di assortiti salumi, di invidiata confezione casalinga, seguiva, in un crescendo trionfale, la lunga serie dei piatti tradizionali, con sapienti intermezzi, secondo le stagioni, di trote di torrente in salse piccanti, di galletti di primo canto in padella, di lepre alla cacciatora, di saporosi rosari di tordi di passo allo spiedo o di altre rarità! Era tutta una fragrante e svariata sinfonia delle più rare e gustose specialità, che Don Giocondo, il mago sapiente, esperto di tutti i misteri della gaia scienza della cucina, sapeva imbandire, con dovizia e finezza, per la delizia dei suoi ospiti. E a tutta questa grazia di Dio erano degna scorta i più illustri vini locali, non esclusi certi vini traditori di cui Don Giocondo possedeva il segreto e che, seduto in gloria re del convito, egli era solito propinare regalmente, come colpo di grazia, al levar delle mense. Ma chi, dopo tanta prova, conservava sicure le gambe e pronta la lingua era sempre lui, Don Giocondo.
Don Giocondo s’abbandonò, per qualche momento, al rifluire di quei grati ricordi. E al pensiero che, proprio quel giorno, tra i consueti commensali, c’era anche Monsignor Vescovo, ebbe una punta di contrarietà.
— Proprio oggi doveva venire quassù quel sant’uomo! – brontolò tra sè. Ma, subito, come voleva l’indole del suo carattere gioviale, si rasserenò, prese in fretta il caffè e uscì dalla canonica.
Nel sagrato della chiesa erano già ad attenderlo Rocco del Molino di Sopra con la sua mula bardata a festa, alla quale era riserbato l’onore di portare il Vescovo fin lassù, e altri parrocchiani, che, con Don Giocondo alla testa, dovevano scendere in fondo alla valle, per andare incontro a Monsignore, fino al Ponte Alto, dove terminava la strada carrozzabile.
Appena la comitiva s’avviò, preceduta da Rocco con la sua mula, che faceva sfoggio, per l’occasione, di una vistosa briglia nuova, carica di fiocchi e di bubboli e con i larghi paraocchi ornati di borchie d’ottone, dall’alto del campanile di Rocca Ventosa proruppe, improvviso, un festoso scampanio, che dilagò nel cielo ormai chiaro, soffuso dalle prime luci del sole, che accendevano qua e là le cime più alte dei monti. A quel saluto mattutino risposero, l’uno dopo l’altro, vari campanili della valle della Cravia, innondandola tutta con un coro di voci argentine.
Era il primo saluto di Rocca Ventosa e dei paesi vicini al Vescovo di Pontelungo.
Prima di arrivare al Ponte del Cuccarello, una larga frana, smossa dalle piogge recenti, aveva interrotto la mulattiera e rendeva difficile il passaggio. La comitiva la attraversò, rallentando il passo e camminando con cautela; chè sotto, a grande profondità, s’apriva il precipizio sul torrente. Ma la mula di Rocco, resa più arzilla dalla sua bardatura a festa e dalla sua bella briglia nuova, passò più svelta di tutti, puntando i piccoli zoccoli nel terreno infido, con un’agilità e con una sicurezza da sbalordire.
Don Giocondo, con la mula di Rocco e con la sua comitiva, giunse al Ponte Alto, quando il sole, nel suo pieno splendore, si era già affacciato sulla valle.
Al Ponte Alto, a salutare il Vescovo, erano scesi anche altri preti, coi loro parrocchiani, dai paesi vicini. L’attesa non fu lunga. Poco dopo, infatti, allo svolto della strada, sotto l’arco dei grandi castagni, che la fiancheggiavano, apparve la carrozza, che portava il Vescovo, col suo segretario.
Appena sceso a terra, Monsignore salutò, benedicendo e sorridendo, la folla dei devoti, che si strinse intorno a lui; e, dopo le riverenze d’uso, seguito dai preti, s’avviò verso il luogo, dove attendeva Rocco con la sua mula.
Aiutato da Rocco e da Don Giocondo il Vescovo inforcò la mula e il corteo si mosse: avanti il Vescovo, sulla mula, con a fianco Rocco, che conduceva a mano la bestia; dietro, come scorta d’onore, i preti e, poi, il codazzo dei fedeli.
La mattinata era bellissima e l’aria fragrante di tutti i profumi della primavera rinascente. Qua e là, nei prati, che già si ammantavano di verde, era una festa di meli in fiore.
La mulattiera saliva, tra uno svariare di paesaggi, nel sole mattutino. E la mula, fiera di portare sul suo dorso un così venerando personaggio, affrettava il passo, mentre il Vescovo continuava a salutare, sorridendo e benedicendo, i paesani che s’incontravano lungo la strada e allo sbocco dei sentieri, scendenti dalla montagna. E la gente s’inginocchiava al passaggio del Vescovo e guardava, con ammirazione, la mula dal pelo rossigno e lucente, dalla groppa larga e robusta, che affrontava arditamente la salita, movendo fieramente la testa al ritmo dei piccoli zoccoli, agili e sicuri, ringalluzzita per la sua briglia nuova, ornata di fiocchi e di bubboli e coi larghi paraocchi, lucenti di borchie d’ottone.
Passato il Ponte del Cuccarello, al punto dove cominciava la frana, il corteo si fermò. Il Vescovo, dall’alto della mula, guardò il passaggio pericoloso e il sottostante precipizio, in fondo al quale rumoreggiava il torrente; e, non fidandosi troppo delle assicurazioni di Don Giocondo sulla generosità della mula, volle scendere di sella, preferendo attraversare la frana a piedi. Passò prima la mula, condotta da Rocco, con un’andatura agile e sicura, come se caracollasse sopra un prato fiorito; seguì Don Giocondo, che non aveva certo la disinvoltura della mula, per fare, diremo così, da battistrada al Vescovo. Il quale, dopo aver azzardato qualche passo sull’abisso, spalancato ai suoi piedi, si sentì preso dalle vertigini e, malgrado gli incoraggiamenti di Don Giocondo, non se la sentì di proseguire. Allora, sorretto da Don Giocondo e da un altro prete, che gli veniva di rincalzo, Monsignore rinculò cautamente fino al margine della frana, rimettendo piede sul terreno sicuro.
— E adesso come si fa? – pensò tra sè Don Giocondo.
In verità, l’affare era serio, perchè delle due una: o superare, ad ogni costo, l’ostacolo o tornare indietro fino al Ponte Alto per prendere un’altra strada. Ma era una strada più lunga e c’era il pericolo d’arrivare in ritardo a Rocca Ventosa. E doleva al buon Pastore far attendere, più del necessario, le sue pecorelle di lassù.
Si tenne consiglio tra i preti e i maggiorenti, mentre la folla dei fedeli, tenendosi a rispettosa distanza, seguiva, commentando, le fasi del conciliabolo.
Ad un tratto, Don Giocondo, che era uomo di risorse, ebbe un’idea grandiosa. Poichè la vista del precipizio dava le vertigini al Vescovo non c’era che un rimedio eroico: impedirgliene la vista, applicando a Monsignore la briglia coi paraocchi della mula. Si convenne di fare così, e il buon Vescovo si rassegnò.
Don Giocondo, trionfante per la sua trovata, richiamò indietro Rocco, che, con la sua mula, attendeva dall’altra parte della frana. E, quando Rocco si fu avvicinato, Don Giocondo tolse egli stesso alla mula la bella briglia, coi suoi fiocchi e coi suoi bubboli e coi grandi paraocchi dalle borchie lucenti; l’applicò, con riguardosa precauzione, alla testa del Vescovo, che lasciava fare con santa rassegnazione, mentre la folla dei devoti assisteva, sbalordita; poi con tono deciso, che non ammetteva replica, ordinò:
— Ed ora, Monsignore, venga dietro a me.
Don Giocondo s’avviò, con passo guardingo, preceduto da Rocco con la mula, rimasta, con sua mortificazione, con la sola cavezza, per la traccia incerta del sentiero, attraverso la frana. E il Vescovo gli tenne dietro, non vedendo altro, col riparo dei paraocchi, che la striscia del sentiero ai suoi piedi e, davanti, la massiccia figura di Don Giocondo, che gli toglieva ogni altra visuale. E dietro ad essi, l’un dopo l’altro, li seguirono gli altri preti e, poi, la lunga coda dei fedeli, stupefatti dell’insolito spettacolo del Vescovo, che li precedeva, portando sulla testa, invece del nero cappello a cordoni scarlatti, la briglia della mula, carica di fiocchi e di bubboli, coi larghi paraocchi adorni di borchie d’ottone lucenti.
Superato il passaggio pericoloso, il Vescovo, non ancora rimesso dalla sorpresa di quell’avventura e anche, conviene dirlo, dall’emozione, si lasciò, docilmente, togliere la briglia coi paraocchi da Don Giocondo, che la passò a Rocco, il quale, a sua volta, tornò ad applicarla alla mula. Dopo di che, il Vescovo, con l’aiuto di Rocco e di Don Giocondo, rimontò sulla mula, più fiera che mai d’aver ripreso le sue onorifiche funzioni, e si rimise in cammino verso Rocca Ventosa, seguito dal corteo dei preti e dei devoti, che si erano venuti ingrossando per via.
Ma la notizia della singolare avventura aveva preceduto il corteo a Rocca Ventosa. E così, quando il Vescovo, benedicendo e sorridendo dall’alto della mula, bardata a festa, raggiunse le prime case del paese, dove tutta la popolazione era venuta a dargli il benvenuto, mentre le campane suonavano, dall’alto, gioiosamente, e sparavano a salve i mortaretti, tutti gli occhi sbirciavano furtivamente, con un sorriso malizioso, la bella briglia nuova della mula, tutta a fiocchi e a bubboli e coi grandi paraocchi dalle borchie d’ottone lucenti.
Arrivato sul sagrato, il Vescovo smontò dalla mula e, preceduto da Don Giocondo e seguito dai preti, entrò nella canonica per un breve ristoro, dopo il viaggio avventuroso; mentre la folla dei devoti, sempre più numerosa, si stipava in chiesa per assistere alla Messa cantata e per udire la parola del Pastore.
La funzione riuscì oltremodo solenne e la parola del Vescovo fu ascoltata con grande edificazione da tutta la popolazione di Rocca Ventosa e dai numerosi devoti accorsi lassù per la festa di S. Giorgio Martire. E la compunzione fu grande in tutti, anche se, ogni tanto, le ragazze e i giovanotti del paese si scambiavano occhiate furtive; anche se, per tentazione del maligno (Vade retro Satana!), perfino nei momenti più solenni della funzione, a distrarre il raccoglimento dei fedeli s’affacciava il pensiero improvviso del Vescovo, con sulla testa veneranda la briglia nuova della mula di Rocco adorna di fiocchi e di bubboli e coi larghi paraocchi dalle borchie lucenti d’ottone.
Dopo la Messa, la gente sfollò dalla chiesa e ognuno si ritirò a casa, dove attendevano le mense imbandite in onore del Santo Patrono e degli ospiti. E così fecero il Vescovo, i preti e gli altri convitati di Don Giocondo, che li accompagnò, con festosa cordialità, nella grande sala da pranzo, dove tutti presero posto intorno alla tavola, col Vescovo al posto d’onore, seduto in una grande poltrona a bracciuoli.
E durante il pranzo, rotto il ghiaccio coi primi discorsi e vinta, a poco a poco, la soggezione, che, malgrado l’avventura del mattino, dava a tutti l’ospite inconsueto, Don Giocondo ritrovò la sua regalità d’anfitrione. Anzi, dopo qualche cauta battuta d’assaggio, il discorso scivolò, come per caso, sul passaggio della frana e sui paraocchi della mula di Rocco.
E il Vescovo, che oltre a essere un sant’uomo, era anche un uomo di spirito, vinto, a sua volta, l’imbarazzo dei primi accenni, fu il primo a riderne di cuore. E quello fu il segno della generale letizia; e Don Giocondo si ritrovò, finalmente, nel suo elemento. Così, anche quell’anno il rito conviviale, in onore di S. Giorgio Martire, si svolse con la consueta abbondanza. E si prolungò più dell’ordinario; anche se, per la presenza del Vescovo, quella volta non si verificò il caso che qualcuno ne uscisse con le gambe meno salde e con la parola meno sciolta.
Dopo i vespri solenni, ebbe luogo la processione, più solenne che mai. Dal piazzale della chiesa, dominante il paese, fin giù alle prime case, ai piedi del colle, cominciò a scendere la lunga sfilata: prima fanciulle e giovinette vestite di bianco, poi, sempre a due a due, uomini e donne con ceri accesi, confratelli in cappa bianca e rocchetto rosso, con grandi crocifissi su croci dorate, con stendardi e gonfaloni bianchi, rossi e azzurri; e, infine, portata a spalla, l’immagine del Santo, dipinta a tinte vivaci e, dietro, sotto il baldacchino scarlatto a frange d’oro, il Vescovo, procedente in atteggiamento ieratico e recante l’ostensorio d’argento dorato, circondato da preti e da chierichetti, tra uno sfarfallare di cotte, di mozzette e di piviali dei più vari colori e uno sfavillare di argenti e di ori, in un trionfo di torcie e di lanterne dalle vistose dorature, portate su lunghe aste, tra un agitarsi di turiboli e un effondersi di grandi nuvole d’incenso. Tutto un insieme fantasmagorico di luci, di colori, di drappi e di stoffe, ondeggianti al vento, che si snodava lentamente lungo la via ripida, nella luce sfolgorante del sole, tra un alternarsi di litanie e di canti, mentre le campane suonavano a distesa, accompagnate da spari di mortaretti a festa. E, dietro la processione, la massa oscura dei fedeli e dei curiosi, accorsi in folla dai paesi vicini.
Era già tardi, quando, rientrata la processione, il Vescovo ripartì da Rocca Ventosa, salutato, come all’arrivo, da tutta la popolazione e dagli spari dei mortaretti; accompagnato, lungo la via del ritorno, dal suono festoso di tutte le campane della valle.
Quella sera, Don Giocondo, dormì tutta la notte, sognando di camminare lungo il margine di un precipizio, tra un continuo squillare di campane e allegri spari di mortaretti, con in testa la briglia nuova della mula di Rocco, carica di fiocchi e di bubboli e coi paraocchi dalle lucenti borchie d’ottone. E lo seguiva processionalmente tutta la popolazione di Rocca Ventosa, in una gloria di sole e di nuvole d’incenso.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Un passaggio difficile
AUTORE: P. Da Pontelungo (Ferrari, Pietro)
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Novelle di Valdimagra / P. da Pontelungo. - Pontremoli : Artigianelli, 1944. - 226 p. ; 23 cm.
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)