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Josh O’Kane
«Sideways (The City Google Couldn’t Buy)»
Penguin Random House Canada, 2022, Toronto, 416 pagine
ISBN: 9781039000780
Sebbene sia stato best-seller in Canada e premiato anche in Europa, questo è un libro che non avrei letto se non mi fosse stato consigliato da un laureando in scienze della comunicazione. Lo stesso che, nei primi mesi nel 2020, mi segnalò un saggio che sarebbe divenuto un punto di riferimento nel dibattito sulle nuove tecnologie dell’informazione: «Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri» (ISBN 978-8861054097, Shoshana Zuboff, Luiss University Press, 10 ottobre 2019) del quale occorre qui premettere qualcosa in estrema sintesi, per inquadrare il contesto ideologico rispetto ai fatti narrati nel libro di O’Kane.
Recensione nella recensione.
Nel suo saggio (un tomo di 622 pagine diviso in tre parti, perfetto in tempi di lock-down) Zuboff invita i proletari di tutto il mondo a prendere coscienza di un fatto nuovo: l’energia da cui il capitalismo traeva la sua forza, il lavoro individuale, nell’era di Internet si è trasformato in qualcosa di intangibile, il “dato”, l’informazione digitalizzata. La nuova economia, che si fonda sulla capacità di conservare e analizzare le informazioni più disparate sui comportamenti dei singoli, per ricavare il suo «surplus comportamentale» ha bisogno di raccoglierne una mole crescente, da elaborare liberamente in modi sofisticati e imperscrutabili ai profani. Per la sociologa americana, la lotta di classe si svolge oggi tra chi è ricco solo di dati (indotto a metterli a disposizione in modo più o meno consapevole e gratuito) e i nuovi capitalisti in grado di estrarne un plus-valore, «profitti duraturi ed esponenziali» di cui niente torna indietro, operando un vero e proprio «esproprio digitale» (p.110) dalle conseguenze nefaste per la democrazia e perfino per il capitalismo tradizionale.
A preparare il campo a questa svolta sarebbe stato il «lascito neoliberista» (pp.118-119), con le sue teorie della deregolamentazione e dello Stato-minimo (F. Von Hayek e M. Friedman sono citatissimi) fatte proprie dalla politica Statunitense, che ha lasciato campo libero a questi particolari imprenditori. È così che si sarebbe formata la posizione dominante del famigerato GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) i nuovi robber barons, la rapace “classe borghese” della golden age. L’accesso illimitato alla propria vita digitale esporrebbe i “nuovi proletari” ad un pericolo più subdolo della violazione della privacy o della persuasione per via pubblicitaria. Infatti, algoritmi raffinati e potenze di calcolo crescenti, dispositivi indossabili e l’internet delle cose con i loro sensori, consentono a questi quasi-monopolisti di incrociare i metadati che rastrellano, fino comprendere gli aspetti più nascosti del comportamento umano e prevederne le scelte. Seguendo la scia delle «briciole virtuali che ci lasciamo alle spalle e che ci raccontano meglio di come potremmo fare noi», citando Alex Pentland [vedi nota], questi «nuovi padroni delle macchine» ovvero i «capitalisti della sorveglianza», svilupperanno «lo sguardo di Dio» (pp.433-458), ossia la capacita di vedere, prevedere e manipolare la nostra società. Più ricchi e agili degli Stati-nazionali con le loro obsolete barriere fisiche e legali, questi attori finirebbero per tracimare dall’ambito economico in quello politico: dalla rete al mondo reale e da questo alla vita democratica.
In particolare, continua la professoressa di Harvard, «nella nostra epoca Google è stata l’azienda che ha guidato, scoperto, elaborato, sperimentato, messo in pratica e diffuso il capitalismo della sorveglianza» (p.73). Tra i molti esempi della pervasività della società di Mountain View, Zuboff cita il caso di Sidewalk Lab (controllata di Alphabet/Google) che, alla ricerca «di spazi senza regole» dove espandersi, in quei giorni stava «considerando attivamente la proposta di una nuova città» dove sviluppare la «Google-city». L’esperimento con cui quel «gigante della tecnologia sta reinventando la città» si sarebbe svolto a Toronto (pp.242-246).
La sensazione che si ricava dalla lettura del saggio di Zuboff, almeno nella sua prima parte, è di avere per le mani l’adattamento per il terzo millennio de Il Capitale. Collettivizzare dunque i nuovi mezzi di produzione? Sottrarre i “dati” ai nuovi capitalisti e restituirli alla “dittatura del proletariato digitale”, come i granai e le miniere del 1848? L’autrice non spinge la sua parabola fino a quel punto, almeno non esplicitamente. Anzi, si dichiara preoccupata per le sorti delle «conquiste morali e politiche» della società liberale, con il suo contratto sociale a carattere individualistico e le sue libertà personali. Il suo intento dichiarato è che «nascondersi dalle macchine e dai loro padroni smetta di essere l’ossessione di un’avanguardia e divenga parte del discorso sociale».
Obiettivo minimalista rispetto alle premesse, forse, ma tutto sommato ragionevole anche se, a parere di chi scrive, mal si concilia con i toni, la retorica ed il linguaggio della critica radicale verso un ordine economico e sociale che, in definitiva, l’autrice intende preservare. Al netto di questa contraddizione e di una certa ridondanza delle argomentazioni, l’analisi di Zuboff muove da osservazioni fondate e la sua denuncia ha il pregio di illuminare la frontiera dove effettivamente si giocano i momentanei destini della nostra democrazia e del progresso sociale. Per com’è confezionato, il suo ansiogeno messaggio d’allarme pare destinato a una ristretta cerchia d’intellettuali.
Dalla teoria alla pratica: Sideways.
Se il saggio di Zuboff fornisce un quadro teorico generale dei rischi della «società strumentata» e della pervasiva classe imprenditoriale che la promuove, il libro in parola (Sideways potrebbe essere tradotto in “Scorciatoie”) aggiunge concretezza a quel dibattito attraverso il resoconto della citata vicenda canadese svoltasi tra il 2016 e il 2020.
Questo è il secondo lavoro di Josh O’Kane, un giornalista politico del Globe and Mail di Toronto, e appartiene a una categoria narrativa apprezzata nel mondo anglosassone ma poco praticata da noi, il “board drama” (dove board sta per consiglio d’amministrazione). Un genere nel quale fatti accaduti in ambito aziendale sono ricostruiti attraverso interviste, scritti dei protagonisti, articoli di giornale, documenti riservati, atti ufficiali, resi “commestibile” ai profani e restituiti in forma di racconto. Per funzionare occorre che l’azienda e i suoi protagonisti siano noti, che i fatti narrati siano di un certo interesse per il pubblico e che l’autore riesca a ricamarci sopra abbastanza per non annoiare il lettore ma senza sconfinare nella fiction.
Per chi condivida, anche solo in parte, i timori di Shoshana Zuboff, nella storia di Sideway quegli ingredienti si sono tutti e O’Kane, con qualche schematismo, riesce nel non facile compito di trarne una narrazione interessante e istruttiva che vedremo in una prossima Seconda Parte di questa recensione.
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[Nota] Zuboff descrive Alex “Sandy” Pentland, direttore dello Human Dynamics Lab del MIT di Boston, autore prolifico e ascoltatissimo nella Silicon Valley dai primi anni Duemila, come il vero teorico della «società strumentata» necessaria ai capitalisti della sorveglianza. Ne riassume le tesi al capitolo 15, “The Instrumentation Collective”: una comunità nella quale ogni aspetto del comportamento umano è osservato da strumenti digitali e intermediato da computers capaci di una efficiente pianificazione centralizzata in grado di sostituire la politica. Vedi: Social Physics, Alex Pentland, Penguin Book, 2015.