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(voce di Luca Grandelis)Conosco Sergio Fadini da oltre venticinque anni. Siamo stati scout insieme in un difficile quartiere di confine di Napoli e una volta abbiamo girato l’Irpinia a piedi, zaino in spalla, per dieci giorni. Ci sono quelli che si spostano di continuo perché sono incapaci di stare in qualunque luogo; quelli che vanno da una parte all’altra perché non sono mai contenti di niente, perché non hanno nulla da fare o perché si illudono di poter cambiare semplicemente cambiando la loro collocazione geografica. Sergio invece viaggia per amore. Ha vissuto praticamente in tutto il Sud Italia, e ogni volta che si stabiliva in un posto, quella era la sua casa. Lui si innamora delle città, della gente, delle culture; arriva da qualche parte, e non vorrebbe andarsene mai più. Per questo motivo, il suo sguardo è quello meno imparziale che esista: è lo sguardo dell’amante che fa di tutto affinché l’altro possa dare il meglio di sé. D’altro canto, come quello di ogni amante, il suo occhio è quello più profondo e impietoso: riporta a galla ogni manchevolezza, ogni meschinità o insicurezza. Nel suo libro Salvateci dalla taranta (ed. ilmiolibro.it, 2011) parla di un viaggio attraverso i costumi, le tradizioni, le trasformazioni del Salento, una terra che ha tanto da offrire ma che probabilmente rischia di farlo nella maniera peggiore. Il suo non è un «racconto di viaggio», né un pamphlet di teoria del turismo. Il suo libro – dall’impianto originale e accattivante, basato peraltro su una bibliografia trilingue che attinge tanto a Zygmunt Bauman quanto a Ernesto De Martino – cerca di spiegare, in una riflessione ampia che non si applica più al solo Salento ma alla realtà del turismo globale, perché e in che modo bisognerebbe soffermarsi a ripensare le difficoltà (e gli effetti collaterali) della «globalizzazione del locale» (contraddittoria fin dal nome) cui assistiamo ai nostri giorni.
Cominciamo con una domanda diretta: chi ci deve salvare dalla taranta? E soprattutto: perché?
Il titolo è volutamente ambivalente. Può essere letto come richiesta di intervento contro i mali della modernità, legandosi all’idea di neotarantismo; o come auspicio contro la banalizzazione e folklorizzazione di un territorio da parte del turismo moderno, che ha nella Notte della Taranta il suo momento più emblematico di successo ma anche di rischio per tutto ciò che implica quel nome che oggi va così di moda.
Chi sono i «paesi a rischio di estinzione» di cui parli nel libro?
È una frase di Franco Arminio che ho trovato illuminante, lui si riferisce ai paesi irpini che non sembrano avere più alcuna possibilità di ripresa, io nel passaggio dall’Irpinia al Salento sono rimasto stupito da come invece i paesi salentini mostravano segni di ripresa che sono proseguiti nel corso degli anni. Il libro nasce da questa voglia di approfondire come mai due splendidi territori del sud stanno vivendo due fasi così diverse e agli antipodi.
Presenti il Salento come se fosse un pranzo: dall’antipasto al dessert i capitoli ci parlano di questa terra, delle sue aspirazioni e delle sue frustrazioni. Una struttura conviviale per una terra ospitale, o c’è dell’altro?
C’è anche un metafora dedicata alla lettura, che deve sempre saziare e appagare al contempo. Il libro è stato scritto con un linguaggio che non intende essere ad uso e consumo degli addetti ai lavori ma facile per tutti coloro, viaggiatori o cittadini salentini, conoscono o intendono conoscere il Salento senza farsi prendere troppo in giro dal marketing turistico.
Hai conosciuto da vicino e in profondità molti luoghi del sud Italia. Perché proprio il Salento? In cosa consiste la sua unicità?
La provincia di Lecce è attualmente l’unica realtà estesa del sud Italia che presenta forti segnali di discontinuità rispetto al passato, con una vivacità preziosa e una voglia di fare che sembra tracciare un solco contro la resa del sud. Inoltre il successo della notte della taranta in termini di presenza meritava un approfondimento riguarda a tutte le feste collegate al turismo, per fornire un punto di vista che non sia solo economicista.
Dopo tanti anni al sud pensi di cercare l’ispirazione da qualche altra parte, magari al di là del Tevere?
Ora vivo a Matera e sto approcciando questa nuova realtà fortemente meridionale, resa affascinante dalla storia dei Sassi e da come stia avvenendo una radicale trasformazione negli ultimi anni, grazie e a causa del turismo.
Hai scritto anche racconti sul peregrinare, sui luoghi, sui viaggiatori. Come sarà il prossimo libro: narrativa, sociologia, o qualcosa di completamente nuovo?
Per ora scrivo articoli di sociologia e antropologia sul turismo, alcuni per addetti ai lavori altri per meno tecnici, che sono quelli che prediligo anche se non è facile trovare riviste interessate. Poi in base all’ispirazione si vedrà, la creazione di un racconto è sempre dietro l’angolo.
Per chiudere: che suggerimento (o avvertimento) vuoi dare al lettore che abbia voglia di incontrare il Salento per la prima volta?
Di cercare l’incontro con i salentini, chiedendo loro consigli per evitare le trappole del marketing turistico. Di non cercare qualcosa di precostituito e posticcio che magari non esiste, ma di lasciarsi coinvolgere dalle atmosfere e dalla realtà che si incontra. Da un punto di vista naturalistico, invece, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Sergio Fadini, socio-antropologo del turismo, è laureato in lingue dell’est europeo presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Fondatore e attivista del progetto di turismo responsabile nel Sud Italia “Il Vagabondo”, partecipa al Tavolo per la Formazione dell’Associazione Italiana Turismo Responsabile. Blog personale: http://sergioilvagabondo.wordpress.com/.