Si fa un grande parlare dell’epica del quotidiano in poesia. Per quel che mi riguarda talvolta a sproposito. Spesso si scambia per epica del quotidiano il diarismo egoriferito autoesaltato o il minimalismo esistenziale spicciolo. Per epica si intendeva anticamente il canto di gesta leggendarie. Ma nel nostro quotidiano cosa c’è di leggendario? Perché mitizzare o addirittura sacralizzare eventi della nostra vita o alcune persone che ci sono care? Ne vale veramente la pena? Il nostro quotidiano si merita di essere mitizzato? Non si aggiungerebbe troppa enfasi? E l’enfasi non è forse nemica della poesia? E se restituissimo veramente, fedelmente la quotidianità propria e altrui non finiremmo forse in un realismo crudo e spietato, che disprezza sé stessi e il prossimo, giungendo  addirittura nello snobismo , nel parossismo gaddiano de “La cognizione del dolore” , nel cinismo? Insomma sarebbe una rappresentazione fedele ma non epica…e gli altri non si ritroverebbero in quella rappresentazione,  si sentirebbero sminuiti,  deformati, diffamati. E poi perché innalzare, ammesso e non concesso che ci si riesca, sé stessi e gli altri? E abbiamo bisogno veramente di un’epica del quotidiano? Chi è la gente, chi sono gli italiani oggi ce lo dicono molto di più le inchieste giornalistiche, gli studi di sociologia,  le ricerche di psicologia,  i sondaggi della Doxa, i dati annuali dell’Istat. Per scrivere un’epica del quotidiano bisogna essere nel mondo, bisogna far parte della gente. Ma i veri poeti non ne fanno parte. I veri poeti delirano, sono pazzi per la gente. La massa scambia il delirio psichiatrico con la diversità culturale e di mentalità. I veri poeti non sembrano pazzi per uno squilibrio neurochimico ma per un modo di pensare e sentire diverso dagli altri. Ma state attenti a sottovalutare poeti e poetesse. Costoro, come è scritto nel “Il codice di Perelà”  spesso sono dei “pazzi volontari”: sono pazzi come vogliono loro; la loro divergenza è volontaria, è una scelta libera, autonoma. I  poeti non hanno una mentalità comune, ma la disprezzano, la condannano e la gente ripaga con la stessa moneta i poeti disprezzandoli e condannandoli. Oh non vi fate ingannare da qualche contentino, da qualche premio, da qualche riconoscimento sempre tardivo, da qualche ipocrita attestato di stima! Essere etichettati come poeti dalle persone è come un contentino per chi è un animale strano, bizzarro. La stima apparente della comunità di appartenenza è solo una facciata perbenista. Vi possono fare pubblicamente i complimenti e lodarvi, ma poi in privato quando non ci siete sono i primi a parlare male di voi, cari poeti! Non lasciatevi ingannare dalle apparenze e dalle formalità. La poesia, quella vera, è una scelta di vita che si paga con l’esilio socioculturale o l’autoesilio, con la ghettizzazione o l’autoghettizzazione. Pochissimi, tra appassionati,  cultori della materia e addetti ai lavori, leggono i poeti contemporanei viventi. Preso atto di tutte queste cose, l’Italia e gli italiani si meritano davvero di essere celebrati con un’epica del quotidiano? Alcuni poeti non vogliono farsi capire, scelgono per questi motivi il linguaggio criptico, esoterico: scelgono autonomamente di non rivolgersi e non farsi capire dalle masse. Forse sarebbe meglio fare l’esatto contrario di un’epica del quotidiano: fare un’epoca di tutto ciò che non è quotidiano, rendendo l’anomalo,  il marginale, l’escluso, il rifiutato, il bizzarro eccezionale.