Cerchiamo di capire brevemente le dinamiche psicologiche sottostanti ai rapporti interpersonali tra artisti. Di solito, riprendendo gli enunciati dello psichiatra Harris, gli artisti per il loro narcisismo luciferino e per il loro ego si considerano ok. Buona parte degli artisti non si sentono mai non ok. Possono sentirsi non ok nella vita privata, magari come persone, ma raramente come artisti. Sono difficili per un artista l’autocritica e il ripensamento sulle proprie creazioni. Gli artisti spesso credono ciecamente in quello che fanno, in quello che producono, talvolta autoingannandosi. Ogni critica negativa quindi apre una ferita narcisistica, perché sentono che nelle loro opere hanno messo una consistente parte di loro stessi. È così da che mondo è mondo! Nessuno ci può fare niente. È un automatismo psichico di difesa a oltranza del proprio lavoro e di conseguenza un’autodifesa di loro stessi. Per gli altri lavori in genere è diverso: una delle critiche che si può fare alla scuola delle relazioni umane di Mayo è che alcuni lavoratori non vogliono essere motivati, vanno a lavorare solo per portare a casa lo stipendio. Invece ci sono anche artisti di successo come degli autori di bestseller che rimangono feriti nell’animo per tutta la vita per la scarsa considerazione dei critici o per dei rapporti non idilliaci con gli altri scrittori. Gli artisti, indipendentemente dal riscontro di pubblico, cercano anche altri stimoli positivi, spesso sotto forma di pareri positivi dagli addetti ai lavori. Ogni artista cerca sempre l’autorealizzazione, a differenza di altri tipi di lavoratori. E ciò avviene spesso ottenendo la legittimazione di quelli che considera i suoi simili. E quando le sue opere vengono giudicate negativamente, ecco che tutto ciò viene ritenuto una seria minaccia all’autostima. È molto difficile mettersi in discussione. Accettare le critiche negative, cercare di migliorarsi sono cose impegnative. Così si chiedono: “chi è mai quell’artistucolo o quello pseudointellettuale di critico che ha osato scrivere male di me o snobbarmi?”. Dopo cinque minuti spesso gli artisti sminuiscono la persona che li ha criticati e si chiedono: “chi si crede di essere quel tale?”; e arrivano a ripetere a sè stessi: “quello non è nessuno”. Così talvolta cercano di vendicarsi in ogni modo. È un atteggiamento infantile da bambini permalosi e capricciosi più che da artisti. Inoltre il mondo dell’arte è anche un pollaio in cui c’è poco mangime, è una torta di cui solo pochi possono mangiare una fetta; di conseguenza queste dinamiche vengono accentuate fino all’esasperazione. Mentre un giudizio negativo molti lo rimuovono dalla mente, il parere positivo autoesalta l’artista, lo rende maniacale. Così spesso gli artisti rimangono arroccati nelle loro posizioni, rimangono inamovibili, anche se i giudizi delle persone competenti o appassionate della materia potrebbero essere consigli utili. In questo modo molti non si migliorano, anche se avrebbero dei margini di miglioramento. Certamente va considerato che anche gli altri possono avere ideologie, stili, gusti personali, pregiudizi, aspettative, orizzonti d’attesa, visioni del mondo differenti. Così come spesso il giudizio degli altri artisti può essere idiosincratico, basato sull’invidia, la gelosia, la competizione, la rivalità. Apparentemente nel mondo dell’arte tutti sono amici, mentre in realtà molti sgomitano, tirano colpi bassi, proprio come una partita di pallanuoto, in cui la vera lotta avviene sotto la superficie. Ci si aspetterebbe in linea teorica un comportamento migliore, meno grettezza d’animo, un innalzamento dalle passioni meschine. Gli altri andrebbero ascoltati, cercando di valutare il peso di certe parole. È vero che nessuno sa se sia giusto il punto di vista dell’artista o di chi gli dà un parere: il bello dell’arte è anche la sua opinabilità, la sua soggettività. È anche vero che solo il tempo dirà se un artista è memorabile o meno. Però torniamo ai rapporti umani. Se un artista trova un altro artista che lo stima, ecco subito che la stima viene ricambiata. Se un artista non viene stimato da un altro artista, ecco che la disistima è reciproca. Non parliamo poi dei giudizi compiacenti. Questo è un Paese in cui gli esperti della psiche fanno diagnosi compiacenti! Figuriamoci nell’arte! Ci possono essere sodali che danno pareri molto positivi ai loro amici artisti, che a loro volta ricambieranno il favore. La logica è la seguente: io faccio un piacere a te, tu fai un piacere a me, perché nessuno in questo mondo fa niente per niente. Oppure a volte vige l’indifferenza per quieto vivere, il patto di non belligeranza: io non attacco te, tu non attacchi me perché a farci la guerra ci rimetteremmo entrambi. Questo avviene in ogni ambito, fa parte della natura umana, ma tra gli artisti ancora di più. È comunque difficilissimo per tutti stimare chi non ci stima. Ci vogliono molta obiettività, serenità d’animo, onestà intellettuale, imparzialità che raramente abbiamo. Di solito siamo molto categorici e severi quando qualcuno ci fa qualcosa e non avere un giudizio positivo per un artista è un attacco alla persona, è per alcuni un torto irreparabile. In questi casi l’umiltà e la capacità di lavorare su sé stessi, indipendentemente dal successo, sono segni non dico di grandezza ma di validità. Ci sono a ogni modo grandi poeti che si sono odiati, come i due Nobel Quasimodo e Montale. Ci sono anche grandi intellettuali che non possono soffrire un artista e allora la faccenda è strettamente personale, privata e il giudizio è fazioso, fondato esclusivamente su un’antipatia viscerale, su un rancore profondo. Ma prendiamo l’esempio da Cassola che andava a braccetto con Sanguineti, che lo stroncava e lo considerava una Liala. Ma forse erano altri tempi e erano altre persone di un altro spessore umano. Però Cassola non solo ha fatto epoca, ma è rimasto nella storia della narrativa italiana. Probabilmente accettare con umiltà le critiche fa molto più parte della persona e non solo dell’atteggiamento intellettuale. Ci sono anche artisti falsamente umili e ipocritamente modesti, che mettono subito le mani avanti, perché vogliono mantenere un profilo basso soltanto per la loro carriera artistica, sapendo che l’understatement spesso viene premiato. In definitiva ci vorrebbe maggiore distacco, bisognerebbe mettere una distanza accettabile tra sé stessi e le opere, perché queste ultime non sono degli artisti ma del mondo.