Podcast: Apple Podcasts | RSS
(voce di SopraPensiero)
Stephen Bantu Biko venne brutalmente ammazzato a Pretoria, in Sudafrica, nella notte fra l’11 e il 12 Settembre 1977 dalla polizia bianca sudafricana.
Stephen detto Steve è il giovanissimo leader del Movimento per la Coscienza Nera che si muove tra politica, sindacato e lotta studentesca, ma che per la polizia è semplicemente un gruppo fuori legge.
In Sudafrica sono anni durissimi per chi non è bianco. Se per il popolo sudafricano schiacciato e umiliato dall’infamia dell’apartheid Nelson Mandela rappresentava la voce incatenata del suo popolo, Biko è la rivalsa di un paese che per troppo tempo ha visto prevalere un solo colore: il bianco.
Studente universitario in medicina e amante del rugby Steve, poco più che un ragazzo, è già proiettato verso la lotta e la disubbidienza: nel 1969 fonda il primo sindacato di studenti neri, il South African Students Organisation, un passo fondamentale nella lotta contro l’apartheid perché si basa sull’aspetto psicologico e sulla presa di coscienza dei neri.
E’ proprio quella consapevolezza alla base di tutto il processo rivoluzionario che distingue il movimento di Biko dalle altre organizzazioni che si battono contro l’apartheid, prime fra tutte l’African National Congress.
Ma è qualche anno più tardi che la figura di Steve Biko diventa un simbolo per la libertà dei neri sudafricani . È il mese di giugno del 1976. In Sudafrica è ancora inverno. Soweto è una township della periferia di Johannesburg, un ghetto per neri. Il governo sudafricano decide di imporre a tutte le scuole riservate ai non bianchi l’insegnamento di un’unica lingua: l’afrikaans. Per i neri è un insulto inaccettabile: la lingua degli oppressori imposta per legge! Gli studenti conoscono bene l’origine della parola “apartheid” che significa “separazione”, coniata proprio nella lingua dei primi colonizzatori: gli olandesi.
La risposta degli studenti è senza precedenti. Alla rivolta si uniscono alcuni studenti e cittadini bianchi. Poi la protesta si allarga alle fabbriche. In migliaia scendono per le strade di Soweto, i giornali dell’epoca parlano di una folla di oltre ventimila persone in marcia.
La manifestazione dura una decina di giorni e… poi l’inferno.
La reazione della polizia è quanto di più violento e brutale si possa immaginare. Accanto alla polizia, nei giorni degli scontri, si schiera anche l’esercito. La violenza di quelle ore fa il giro del mondo conquistando le prime pagine dei giornali. Una fotografia in particolare diventa il simbolo di quella rivolta conclusa nel sangue: la foto di un ragazzo, con in braccio un bambino (Hector Pietersone) e una donna che corre urlando accanto a lui.
Ancora oggi le cifre non rendono giustizia a quei morti: le cifre ufficiali parlano di centinaia di vittime. I giorni di Soweto aprono al mondo una finestra sul Sudafrica. Da quel momento nessuno può fingere di non sapere quello che sta succedendo in quella parte martoriata di mondo.
Tornando al nostro eroe, Stephen Bantu Biko, è lui il leader di quei giorni e questo avrebbe segnato il suo destino per sempre. Un anno dopo, il 18 agosto 1977, Biko viene fermato ad un posto di blocco. Senza motivo viene arrestato, portato al carcere di Port Elizabeth, picchiato e torturato. Poi viene inspiegabilmente rinchiuso nel baule di una Land Rover e portato dai suoi stessi aguzzini in ospedale, dove muore a causa di lesioni cerebrali gravissime. Viene aperta un’inchiesta e richiesta un’autopsia. Ma nonostante i referti che evidenziano una morte violenta nessuno dei poliziotti viene processato.
Per crudeltà del destino, Stephen Bantu Biko muore lo stesso giorno di suo padre, ucciso quasi 20 anni prima da un poliziotto bianco.
Era la notte fra l’11 e il 12 Settembre 1977, e quel giorno la storia perse uno dei suoi combattenti più grandi.
(di Agatha Orrico)