Si conclude il trittico del Teatro delle Albe dedicato alla Divina Commedia di Dante commissionato da Ravenna Festival nei 700 anni dalla morte del Poeta
Con fede, trepidazione e attesa, con lo sguardo rivolto verso l’alto, ad ammirare il cielo stellato e ascoltando i versi del 33° canto letti da Ermanna Montanari, illuminata dalla torcia del regista Martinelli, pochi passi dietro di lei. Si conclude così il pellegrinaggio di Dante nell’oltretomba che è anche il viaggio del Dante-spettatore, il Dante everyman che dimora in ognuno di noi con le sue domande e il suo desiderio di conoscenza.
Il Teatro delle Albe di Ravenna porta a termine il lungo percorso artistico dedicato al padre della lingua italiana, in occasione dei 700 anni dalla sua morte, con Paradiso, spettacolo itinerante in scena con un anno di ritardo, causato dalla pandemia.
Anche con la terza chiamata pubblica, dopo quella per Inferno nel 2017 e Purgatorio nel 2019, la cittadinanza è stata invitata a farsi luogo vivente del teatro e della poesia dantesca, sfrondandola da ogni retorica e portandola nelle strade della città in cui il Poeta è morto in esilio nel 1321. Oltre 600, quindi, i cittadini che hanno aderito al Cantiere Dante, apertosi qualche mese fa, attraverso un’esperienza partecipativa che segna uno spartiacque nelle celebrazioni dantesche a venire.
E’ infatti con i pellegrini-cittadini che le “guide viventi” del Paradiso Martinelli e Montanari, insieme agli attori professionisti della compagnia, hanno desiderato interfacciare la poetica dantesca e la sua visione del mondo, senza paternalismi e senza pretesa di verticalità nel loro ruolo, quanto piuttosto quello di farsi ricettacolo della bellezza di cui fanno esperienza con il teatro e a contatto con Dante, per poterla trasmettere allo spettatore, camminando con lui.
Insieme, allora, lungo il tragitto dalla tomba ai giardini della Loggetta, cadenzato dalle giovani creature angeliche che dai balconi scrivono nell’aria parole indecifrabili e ci preparano ad entrare in una dimensione arcana. Ad ogni pellegrino-spettatore, infatti, una volta arrivati davanti al cancello d’ingresso, Marco ed Ermanna ripetono la formula iniziatica “Tre giri; di tre colori e d’una contenenza”. Camminare insieme alla (ri)scoperta di un testo sempre attuale nella sua drammaticità e verità, oltre che nell’ inesauribile ricchezza linguistica e figurativa e che, nel caso del Paradiso, vibra per il suo costante richiamo alla giocosità, al candore e alla gioia estatica che culmina poco dopo nella danza dei francescani ricordati da San Tommaso nel cielo del Sole, che è anche un omaggio all’incontaminata vitalità amata da Pasolini, al quale è dedicata l’edizione 2022 di Ravenna Festival.
Tra lo spazio della loggetta e quello in cui stanno gli spettatori c’è lo spazio scenico che rimane sempre aperto, mobile, popolato da bambini che vi si muovono secondo la loro personale e allegra traiettoria ma che è sempre lo spazio delle domande. Quelle di Dante sulle questioni teologiche del suo tempo, a cui rispondono le cinque statue viventi collocate al piano superiore del palazzo e interpretate dagli attori Alessandro Argnani, Camilla Berardi, Laura Redaelli, Salvatore Tringali e Alessandro Renda. Ma anche quelle più prosaiche che si fanno gli esseri comuni sulla loro condizione fisica una volta in Paradiso: come faremo a riconoscerci se saremo tutti trasparenti? Ci saranno anche i nostri animali?
Lo stesso invito a “Transumanar e organizzar”, neologismo che rafforza il trait d’union Dante-Pasolini e che Martinelli ha ripetuto più volte nel corso dell’azione scenica, sembra andare in questa direzione. Come a dire che il teatro non serve se non semina e lo spettatore rimane passivo. Che teatro e poesia non possono non essere calati nel presente altrimenti sono lettera morta, senza che questo voglia dire dissacrare, sminuire, relativizzare l’opera e sganciarla dalla sua dimensione storica.
La connessione dell’opera dantesca alla nostra contemporaneità è visibile fin dalle fasi iniziali dello spettacolo, quando le guide del corteo tengono tra le mani spighe di grano, simbolo della vita e dell’operosità dell’uomo, ma anche, purtroppo, della corsa ai prezzi scatenata dalla guerra in Ucraina, tra i maggiori esportatori del cereale.
O nell’invettiva di Giustiniano contro la rapacità dei potenti in cui riprende le parole di papa Francesco. O nell’incursione armata contro il trisavolo Cacciaguida che coglie di sorpresa tutti. Ma come? La guerra? Qui? che assomiglia molto all’effetto che ha avuto inizialmente sulla gente lo scoppio del conflitto nella civilissima e avanzata Europa pochi mesi fa.
Tutte riflessioni che gravitano intorno alla scenografia rarefatta e delicata realizzata appositamente dagli allievi dell’Accademia di Brera, mentre la giocosità dei bambini che sfrecciano sulle loro biciclette si staglia sullo sfondo deli porticati rinascimentali della Loggetta che racchiudono in un antro i cinque musicisti da cui si diffondono le note che avvolgono il giardino in un’atmosfera fissa e sospesa in un tempo immateriale.
L’intero apparato sonoro, generato dalle musiche di Luigi Ceccarelli e dalle suggestioni del sound designer Marco Olivieri sono dense di variazioni e improvvisi cambi di registro man mano che si procede di cielo in cielo, mentre la voce di Mirella Mastronardi sembra scavare nelle viscere della Terra e le luci disegnate da Fabio Sajiz, una volta scesa la sera, irrompono tra le volute scure dei portici accentuando il magnetismo della rappresentazione.