Patrizia Garofano e Cinzia Demi (a cura di), Tra Livorno e Genova, il poeta delle due città. Omaggio a Giorgio Caproni, collana «Orizzonti», Edizioni Il Foglio, Piombino 2013, pp. 120, euro 12,00
Per chi desidera fare un percorso approfondito nella poesia e nella vita di Giorgio Caproni, il libro curato da Patrizia Garofalo, poetessa e direttrice della collana di poesia «Orizzonti» delle Edizioni Il Foglio letterario, e da Cinzia Demi, poetessa, scrittrice e saggista, offre senz’altro un materiale vasto e importante.
Luoghi caratterizzano la poesia di Caproni: Livorno, la città dell’infanzia che ha lasciato a dieci anni – Caproni era del 1912 – città della memoria che rimane qual era nel ricordo, senza che l’abbiano deturpate le bombe, con la figura di Annina giovane, la madre nonché fidanzata ideale, che ne percorre le strade all’alba.
Genova, città dell’anima, dai molteplici simboli e valori, «Genova della mia Rina/ [ […]] Genova paese foglie/ fresche dove ho preso moglie/ [ […]] Genova di tutta la vita/ mia litania infinita». E la Val Trebbia, «aria fina», dove trascorse gli anni della guerra, coinvolto anche nel movimento partigiano, luoghi e paesaggio che il poeta usa e interpreta come idea «filosofica».
Il tema del viaggio emerge costante negli interventi critici, «viaggio senza direzione, metafora ricorrente della poesia di Caproni, atemporale e fatale». Eppure «l’unica guida affidabile, Dio, è negata al poeta», ma lui «non si stanca di cercarlo ed alla minaccia del nulla risponde con l’ambiguità fertile della poesia, capace di raffigurare la presenza e l’assenza di Dio nell’immagine del Delfino, emblema dell’Altro». C’è il richiamo di mete irraggiungibili, di oltranze insensate, di fulminanti rovesciamenti logici, quasi una ossessione del viaggiare che sempre è un tornare al punto di partenza, in un corto circuito tra passato, presente e futuro che sfiora il nonsense: «Smettetela di tormentarvi./ Se volete incontrarmi,/ cercatemi dove non mi trovo./ Non so indicarvi altro luogo». (Indicazione).
Nell’ossessione del viaggio arriva come paradosso il congedo (Congedo del viaggiatore cerimonioso, 1965), dove Caproni inizia a congedarsi da sé e dalla storia, circondato da nomi ormai vacui a cui non corrispondono più le persone: «Di questo sono certo, io/ sono giunto alla disperazione/ calma, senza sgomento».
La ricerca di Caproni va dal quotidiano all’ineffabile e del quotidiano coglie gli odori intensi della vita, l’odore di salino, gli afrori giovanili, il sentore aspro di cipria sul viso di Annina, i profumi delle ragazze al bagno. Un linguaggio, il suo, dove rarità lessicali si incastonano nelle espressioni modernamente popolari, con «la profonda differenza tra la funzione della parola nel linguaggio pratico e la funzione della parola nel linguaggio poetico, dove essa, oltre il senso letterale, assume una serie pressoché infinita di significati «armonici» dipendenti dalla sua forma fonica e dalla sua posizione», come afferma lo stesso Caproni. La sua poesia tocca le corde più profonde, del resto il poeta è un minatore, come lui stesso afferma nel 1981, perché «poeta è colui che riesce a calarsi più a fondo in quelle che il grande Machado definiva las secretas galerìas del alma, lì attingere quei nodi di luce [ […]] comuni a tutti». Aderente alla vita ma con essenzialità: «Mia mano, fatti piuma:/ fatti vela; [ […]] Sii magia e sii poesia/ se vuoi essere vita» (da Il seme del piangere).
Si parla di limpidezza specchiante dei versi di Caproni, ma anche di un linguaggio che si erode progressivamente nel tempo, che diventa segno in forma di sottrazione ed estraneità. Fino ad arrivare alla secchezza e spigolosità delle sue raccolte ultime, che, come Caproni spiega nel 1984, «vengono dal fastidio che oggi, più di ieri, mi dà il rumore delle parole» per cui si riducono «al minimo necessario» e se ne frange «il flusso con silenzi sempre più frequenti e lunghi».
Al tenero colloquio sul belvedere, in alto, con la madre fidanzata ideale, o alla contemplazione delle giovani ragazze, pian piano si sostituisce il soliloquio, con una progressiva perdita di fiducia nel senso stesso delle parole, con una avanzare del vuoto… «vuoto delle parole/ che scavano nel vuoto vuoti/ monumenti di vuoto» (Senza esclamativi).
Il libro-saggio è nato dalla volontà di Patrizia Garofalo di rendere omaggio a Giorgio Caproni, come ringraziamento per essere stato l’autore della prefazione del suo primo libro di poesie, Ipotesi di donna del 1986, l’unica prefazione che il poeta abbia fatto. È stato realizzato con i contributi del figlio di Caproni, Attilio Mauro, quelli di Angelo Andreotti, Matteo Bianchi, Fabio Canessa, Maurizio Caruso, autore anche della cover, Flora Di Legami, Rosa Elisa Giangioia, Gianfranco Lauretano, Fabio Marri, Massimo Scrignoli e di Cinzia Demi.