Roberto Magnani del Teatro delle Albe porta in scena l’opera di Melville a Forlì, nell’ambito del Crisalide Festival accompagnato dal contrabbasso di Giacomo Piermatti
Siamo tutti cannibali – Sinfonia per l’abisso, questo il titolo scelto dal regista e attore Roberto Magnani, che ieri sera ha debuttato nell’ambito del Crisalide Festival a Forlì, per un viaggio nei meandri oscuri dell’animo umano.
Accompagnato dal contrabbasso di Giacomo Piermatti, che col suono greve e disarmonico amplifica i rigurgiti rancorosi di Achab, la tristezza di Ismael, la goffaggine di Palla di neve che fa la predica agli squali. Di tutti i personaggi è interprete un solo attore, Magnani, con una sua straordinaria performance vocale. Le variazioni timbriche infatti sono potenziate grazie all’uso di tecnologie digitali che ne enfatizzano la crudezza e rendono l’impatto sullo spettatore ancora più spiazzante.
Uno spettacolo breve, in grado di parlarci su diversi piani: quello visivo, con l’antro buio e inospitale dove si muovono i personaggi della baleniera. Qui campeggiano tre imponenti totem in ferro arrugginito con disegni rupestri e in mezzo una bacinella d’acqua, che richiamano l’idea di una trinità fredda e distante e di un catino battesimale incapace di purificare.
Sul piano sonoro, sembra invece esserci un intreccio quasi simbiotico tra voce e il contrabbasso che rende le parole e le note talmente funzionali le une alle altre da rendere arduo separarle. Per la traduzione in italiano di Moby Dick, poi, la scelta è caduta su quella più lontana nel tempo, e per questo forse anche la più complessa, di Cesare Pavese, ma il risultato non ha tradito le aspettative.
Infine, è un’opera che ci parla dell’oscurità dell’acqua. L’acqua che non dà la vita ma la toglie, quando Narciso (ma anche Dioniso) vi si specchia, l’acqua dell’oceano che “è la parte oscura della Terra” che neanche il Sole riesce a scalfire. L’acqua dove banchettano gli squali, sbattendo rumorosamente la coda sulle pareti della nave divorando di gusto il capodoglio catturato dall’equipaggio. Quando Palla di neve sgrida i predatori rivolge la sua piccola lampada al pubblico. Come a dire, appunto, che siamo tutti cannibali. Uomini e pescicani.
La sinfonia dell’abisso ci mostra l’acqua che sommerge, corrode, inganna, nasconde. La bacinella d’acqua che apre la scena però ci ricorda anche i giochi dell’adolescenza del regista e l’idea del viaggio in mare come avventura, incontro con personaggi fantastici, scoperta e desiderio di infinito. E se ha voluto indagare con questa sua rappresentazione, il male nelle sue più cupe sfumature, qualcosa di adolescenziale e di delicato riesce ad emergere lo stesso.
La sua fisicità innanzitutto. Anche invecchiato dal trucco e dai capelli lunghi, appesantito da cappotto e scarponi, la sua figura rimane impalpabile e leggera, come quella di un fantasma. Ma anche come quella di un adolescente, che prima di essere corrotta dal male sognava la profondità dell’abisso come bellezza da esplorare.
Scrive Magnani, a proposito: “Così, nel gioco del Teatro, una bacinella può per incanto tornare a trasformarsi in uno specchio d’acqua che raccoglie in sé tutti gli oceani del mondo”.
A rendere suggestivo lo spettacolo il contributo di Andrea Veneri, regista del suono allievo di Luigi Ceccarelli, storico collaboratore del Teatro delle Albe, anche lui già attivo nelle collaborazioni durante il pluriennale lavoro su Dante.
Le tre opere scenografiche sono invece dell’artista e video-maker Bacco Artolini.
Anna Cavallo