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Sibyl von der Schulenburg, figlia di due scrittori tedeschi, è cresciuta bilingue in Ticino/Svizzera e ha studiato per diversi anni della sua adolescenza in Italia, dove ha recepito i fondamenti della cultura classica e ha iniziato a scrivere. Ha conseguito una laurea in giurisprudenza a Milano, nella cui provincia ha stabilito la base della sua vita professionale e affettiva. Dopo una lunga e positiva carriera imprenditoriale, nel campo dell’alta tecnologia, ha conseguito una laurea in materie psicologiche e ha dedicato maggior tempo alla letteratura. L’educazione biculturale e l’esperienza di viaggiatrice in vari continenti le hanno dato gli strumenti per l’osservazione di ogni evento da angolazioni diverse, caratteristica che ha portato nei suoi romanzi storici adottando la focalizzazione zero, quella dei grandi classici, che permette di raccontare gli eventi del passato in maniera aderente alla storiografia. Attualmente, pubblica romanzi storici, saggistica e narrativa a sfondo psicologico; molte sue opere hanno vinto premi letterari prestigiosi quali: Mario Luzi, Mario Pannunzio, Lupicaia del Terriccio, Franz Kafka Italia, World Literary Prize, Unicorno, La Locanda del Doge e vari altri. I suoi libri sono pubblicati in italiano, tedesco e inglese. www.sibylvonderschulenburg.com
Il Suo nuovo libro è incentrato su una donna di nome Melusine: chi era e perché ha voluto raccontarne la storia?
Melusine è uno dei membri più famosi della mia famiglia, sorella di Johann Matthias von der Schulenburg, il feldmaresciallo che nel 1716 salvò l’Europa dall’invasione dei turchi, tenendo l’isola di Corfù al servizio di Venezia. Melusine era una donna affamata di conoscenza, disposta a rinunciare a ogni vantaggio che la sua condizione nobiliare le consentiva pur di avere gli stessi diritti degli uomini: determinare la propria vita e procurarsi da sola il proprio mantenimento. Se consideriamo che in quel periodo –tra il Seicento e il Settecento– le donne non potevano lavorare né gestire un’impresa, ci rendiamo conto dell’enormità del pensiero di questa femminista ante litteram. Di lei ho sentito parlare sin da quando, fanciulla, i miei genitori valutavano di farne un romanzo e i membri della famiglia, compresi i cugini di altri casati, tramandavano oralmente gli aneddoti sulla figura misteriosa della “cugina”.
Questo è il Suo terzo romanzo storico, dopo Il Barone e Per Cristo e Venezia.
Sono figlia di due scrittori, entrambi innamorati del romanzo storico, e per questo ho resistito per tanto tempo alla pressione del DNA, ma un giorno ho ceduto, convinta di dover scrivere la storia di mio padre, nobile antinazista tedesco, diplomatico e letterato, coinvolto nell’attentato Walkiria. Ho messo le mani nel grande archivio di famiglia e ho prodotto un libro che mi avrebbe risparmiato ore e ore di spiegazioni a chi –storici e giornalisti– mi chiedeva: “Ma chi era Werner von der Schulenburg?” L’opera mi valse il Premio letterario Mario Pannunzio ed ero convinta di fermarmi lì con i romanzi storici per dedicarmi a scritture meno impegnative, ma l’editore ha voluto che raccontassi anche la storia dell’uomo che è ricordato, assieme a mio padre, sul monumento a Verona. Così nacque “Per Cristo e Venezia”, la storia del feldmaresciallo Johann Matthias von der Schulenburg sulla base di un romanzo longseller già pubblicato da mio padre nel 1952. Anche questo libro incontrò il favore di critica e giurie letterarie, tanto che vinse molti premi tra i quali ricordo in particolare il Mario Luzi. Si dice che non c’è due senza tre la saga dei Schulenburg era destinata a diventare una trilogia: ecco che compare “Melusine. La favorita del re”, un’opera a cui ho dedicato molto lavoro di ricerca.
La Tartaruga, marchio che oggi fa capo alla Nave di Teseo, è un editore storico che ha sempre parlato di donne e alle donne, proprio come il Suo romanzo. Una scelta quanto mai indovinata.
Elisabetta Sgarbi, l’anima della casa editrice La Nave di Teseo aveva già programmato l’uscita del romanzo sotto quel logo e tutto era pronto per la stampa; nei cataloghi delle librerie online il titolo già risultava disponibile da febbraio 2020. Poi, all’ultimo minuto, Elisabetta mi chiese di poterlo pubblicare con l’imprint La Tartaruga poiché, come disse con entusiasmo, un personaggio forte come Melusine, una donna così decisiva per la storia, sembra fatta apposta per la casa editrice nata proprio per coltivare gli ideali del femminismo e i valori dell’uguaglianza dei generi. Inoltre, il marchio è in fase di ristrutturazione e ospita grandi nomi. Come avrei potuto dire di no a una proposta così allettante?
Laureata in giurisprudenza e in scienze psicologiche, ha scritto romanzi e saggi; come si definirebbe: un’anima divisa, o un’esploratrice che ama ignorare i confini?
Sono sempre stata terribilmente eclettica, con un forte senso agonistico e dotata anche di un’enorme dose di ottimismo, spesso radente l’incoscienza. Queste caratteristiche mi hanno portato ad amare l’esplorazione e la ricerca di nuovi e diversi orizzonti sia nel mondo fisico, con l’agonismo sportivo e l’impresa, che in quello intellettuale con le arti, dapprima la pittura poi la scrittura. Non mi ritengo un’anima divisa –salvo qualche volta a causa della mia educazione bilingue e biculturale– , non mi riconosco nell’artista maledetto, sofferente e magari schizofrenico, e neppure nel rivoluzionario che deve stravolgere tutto: credo di potermi definire un’esploratrice curiosa che non ignora i confini, ma si attrezza per superarli.
Cosa fa una scrittrice quando, ai tempi del COVID-19, le attività culturali – già di solito poco frequentate – sono addirittura sospese per legge?
Si sfrutta l’occasione e si scrive, si impostano nuove opere, magari si concede quell’intervista tanto spesso rimandata per mancanza di tempo. Si studia, si fanno progetti e si festeggia –sempre con moderazione– l’uscita dell’ultimo libro.
Qual è l’attualità di Melusine? Cosa ha da dire la sua figura ai nostri giorni?
Negli ultimi anni abbiamo visto crescere la violenza verso le donne, tanto da portare al conio della parola “femminicidio”, e si sente l’esigenza di recuperare un certo equilibrio tra i generi sessuali. La violenza maschilista si riaccende ciclicamente e trova le sue radici nella guerra, intesa in senso ampio, nella lotta per il dominio dell’uno sull’altro, una condotta incentivata –anche tra le donne– dalla nostra società che crea solo eroi arrivisti. Melusine è una giovane nobildonna che si affaccia alla vita della corte di Hannover alla fine del 1600 e pretende di avere gli stessi diritti degli uomini, di studiare e magari andare in guerra come i suoi fratelli. Innamorarsi e prendere marito non è tra i suoi obiettivi, per lei è importante arrivare a studiare con grandi personaggi come Leibniz, rinunciare ai dettami scomodi della moda e rendersi indipendente economicamente, in un periodo in cui alle donne di alto lignaggio era vietato lavorare a fare impresa. La storia di Melusine riferisce molto del mondo maschile del primo Settecento, quando le guerre avevano bisogno degli uomini per fronteggiare il nemico e delle donne per partorire altri soldati; narra dei meccanismi dell’amore sui campi di battaglia e spiega perché le più belle lettere d’amore di uomini siano state scritte al fronte e le più efferate violenze sessuali commesse sotto il segno di Marte. Racconta anche del mondo femminile, di donne compiacenti o rassegnate, come di altre che hanno indossato la divisa e si sono spacciate per maschi, storie di fattucchiere e prostitute che si sono inventate strumenti molto potenti per dominare l’uomo. La figura di Melusine è attuale e le sue considerazioni sovrapponibili a quelle di una donna dei nostri giorni; indica punti di vista diversi sui rapporti tra i generi e ricorda che la condizione femminile moderna è stata conquistata nel tempo con fatica e sofferenze, invitando a non cedere su certi diritti.
Lei è la creatrice dello psicoromanzo, quel noir che racconta “storie di disturbi e patologie psichiche offrendo dettagli tecnici col massimo della leggibilità”, come ha dichiarato in una precedente intervista. Dopo Ti guardo e I cavalli soffrono in silenzio… ha in mente una nuova storia?
Il thriller, in generale, è il mio campo giochi. Amo particolarmente il noir e a esso mi dedico per rilassarmi dal duro lavoro di ricerca che sta dietro la creazione di un romanzo storico o un saggio. Allo psicoromanzo sono giunta in seguito alla passione per la psicologia e a ciò che mi hanno ispirato certi casi clinici considerati durante gli studi, ma si tratta sostanzialmente di un thriller, un libro che non dovrebbe servire per prendere sonno. In questo genere di romanzo cambio stile di scrittura, ritmo e linguaggio, talvolta le scene diventano particolarmente realiste e forti, ma con il tempo ho mitigato un poco questo tratto e cerco di intingere i pennelli solo in colori pastello. Non sempre mi riesce. “I cavalli soffrono in silenzio” è un libro particolarmente forte, soprattutto nelle scene di sesso, ma c’è un gruppo di lettori che chiede il sequel e per loro sono pronte la seconda e terza parte che, unite alla prima –un po’ mitigata e rivisitata–, compongono un’unica opera che attende il momento giusto per la pubblicazione. E poi ci sono altri romanzi già pronti, storie che svolgono in Sicilia, Milano, Ticino…
Per concludere: tre virtù che uno scrittore deve possedere, e tre difetti di cui deve assolutamente disfarsi.
Non penso che uno scrittore debba avere virtù a parte saper scrivere, se vogliamo considerarla virtù come sosteneva il Carducci. A me, che leggo molte proposte letterarie di autori esordienti ed emergenti, è chiaro che i virtuosi di questo tipo sono assai rari. In anni di valutazione di scritti, ne ho incontrati solo due: una ragazzina minorenne che scriveva in maniera eccelsa ma i genitori hanno deciso di non lanciarla nel mondo letterario per tutelarla, e un ragazzone della Campania, di cui qui non voglio fare il nome, che continua a confermare la mia prima impressione e cresce sempre meglio. Recentemente, si è posto da più parti il quesito se un autore debba anche essere virtuoso nel senso morale del termine, come nel caso di Woody Allen che si è visto rifiutare la pubblicazione da parte di Hachette. Credo che un libro debba avere una sua vita propria, a prescindere dalla personalità dello scrittore. Nei secoli, delinquenti e psicopatici hanno fornito grandi opere alla letteratura internazionale senza prima essere stati sottoposti a un giudizio di moralità, ma un tempo contavano le competenze, oggi conta l’immagine. Per i difetti il discorso è diverso. Tra gli scrittori serpeggia da sempre l’invidia, un sentimento che denota bassa autostima, insicurezza e dipendenza dall’approvazione altrui. Forse è proprio per questo che molti scrivono ma, coltivando l’invidia, cedono all’astio e al risentimento, stati d’animo che procurano stress, smorzano la creatività e tagliano le ali alla fantasia. E così nascono tanti déjà lu che vogliono tutti imitare qualche successo letterario. Poi ci sono l’immodestia, la presunzione, il plagio e l’idea che autopubblicarsi sia un modo per entrare nel mondo degli scrittori. C’è la convinzione che quando hai pubblicato un libro tu possa tenere corsi di scrittura creativa… Ma qui, forse, stiamo andando fuori tema.