Lontano da ogni cosaPubblichiamo una recensione di Bartolomeo Di Monaco del secondo romanzo di Mattia Signorini “Lontano da ogni cosa”, Salani, 2007.

Dopo «Severo American Bar», uscito nel 2004 per PeQuod, il giovane scrittore veneto, nato nel 1980, si presenta al pubblico dei lettori con questa seconda opera narrativa.

Vi si raccontano le vicende di alcuni giovani di oggi. È Stefano Bersani che ne parla, che si è trasferito a Padova con un amico pittore, Alberto Lari, e insieme frequentano l’università. Ad una festa incontrano Chiara Valentini, una ragazzina «tutta piccola e perfetta», che diventa la compagna di Alberto. Quest’ultimo è pieno di idee e di energie, contestatore irruento, «in aperta rivoluzione con il mondo», quanto Stefano è riflessivo e minuto osservatore: «Osservavo da vicino le velocità di Chiara e Alberto e mi sembravano macchine da corsa lanciate a missile in una strada laterale, in attesa di sbucare in una molto più grande a due o tre o quattro corsie.» Ma è l’insoddisfazione la molla della loro partecipazione frenetica alla vita. Alberto rappresenta per Stefano il giovane per antonomasia, più di se stesso, al quale solo può dispiegarsi l’ampio spettro dei desideri e delle ambizioni.
È una scrittura minimalista quella che ci fa compagnia, con un riferimento speciale a Pier Vittorio Tondelli, attenta ai singoli gesti considerati quali componenti di un flusso complessivo che lega la persona alla vita. L’esistenza dei tre giovani non è dissimile da quella di tanti altri se non per i singoli gesti che, al di là del loro valore, esprimono una identità unica e irripetibile.
Stefano è una somma di pensieri e di considerazioni e di meraviglie sulla vita che gli passa davanti, la quale lascia sempre qualcosa nella sua anima: «Mi chiedevo dove andassero tutte le domande a cui la gente non risponde, tutte le questioni lasciate in sospeso.» È ancora un romanzo di formazione che, attraverso i personaggi, accompagna la giovane età dell’autore, come se i codici di un diario personalissimo fossero posizionati qua e là tra le righe. La casa dei genitori è ancora la sua casa, come è la sua casa quella che condivide con Alberto e Chiara.

Ma la società sta agendo su di lui, come sugli amici. La formazione si fa esperienza. Alberto ha trovato chi apprezza i suoi quadri e non è più così arrabbiato con la società, Stefano decide di fare una tesi su di un argomento sgradito, ma utile per trovare lavoro (Tuttavia preciserà a Marta, una delle sue ragazze: «Non ho preso una laurea per trovare un lavoro. Volevo imparare delle cose»).
Le vite dei tre protagonisti presto si dividono. Ciascuno incontrerà le sue gioie, sempre momentanee, e i suoi dolori. Sogni, insoddisfazioni e delusioni rappresentano la chiave di lettura del romanzo, in cui i giovani sono stremati da una ricerca complessa e difficile della propria strada. Stefano perderà di vista i suoi amici, come se la vita li avesse in qualche modo disintegrati e vinti. La loro è una esistenza continuamente arrangiata, in cui il futuro non ha posto.
Signorini continua con questo secondo libro, che è un po’ il seguito di «Severo American bar», quella indagine esistenziale che accomuna tra loro alcuni dei giovani scrittori italiani di oggi, quali Candida e Bregola, ad esempio. I loro, sono motivi intensamente avvertiti nella vita reale e proposti al lettore come espressione di una condizione alienante partorita da una società malata e cinica. Si tratta di un’operazione disvelatrice di una intimità sofferente. Fa dire Signorini al suo personaggio principale: «Volevo raccontare e basta. Le azioni, le emozioni, poco altro». Dopo questa seconda e ottima prova, crediamo sia giunto il momento che l’autore si cimenti in una storia che, oltrepassando tanto il singolo quanto l’afflato diaristico (magari una storia in terza persona), ci offra un affondo più ampio e penetrante di ciò che ci accade intorno, un po’ come si comincia a intravedere nella terza ed ultima parte del romanzo, la migliore. Un punto di riferimento potrebbe essere, ora, dopo Pier Vittorio Tondelli (di cui si avverte il respiro soprattutto nelle due prime parti) il lucano Gaetano Cappelli.

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Questo articolo è stato originariamente pubblicato qui: http://www.rivistaparliamone.it