Se ne parla in Don Lisander, il Progetto guidato dall’attrice Anna Amadori nell’ambito della rassegna teatrale Agorà
Alessandro Manzoni e la sua contemporaneità, la sua capacità di introspezione psicologica dei personaggi, la sua capacità di valorizzare i personaggi femminili. Ma anche il suo talento letterario e creativo che culmina nel romanzo I Promessi Sposi, che esplora tutti i registri del linguaggio: dal comico al drammatico al meditativo.
Un autore che tutt’oggi può offrire molto sul piano formativo e conoscitivo anche a chi fa teatro.
A Don Lisander, come veniva amichevolmente chiamato Manzoni dai milanesi, è quindi dedicato il percorso formativo organizzato in provincia di Bologna nell’ambito della stagione teatrale Agorà a cura di Liberty A.P.S, attraverso un laboratorio omonimo.
Attualmente in corso, articolato in due spettacoli e un workshop di lettura ad alta voce, è curato dall’attrice e formatrice Anna Amadori.
Due gli aspetti sui quali ci si concentra: il primo focus è sulle figure femminili di Manzoni, sia reali che letterarie e sulla loro influenza nell’arte manzoniana. Un secondo aspetto è la componente noir nel suo romanzo più celebre, legata sia ai personaggi negativi che al realismo spinto fino alla crudezza delle immagini evocate dalla descrizione della peste che infuria nel milanese tra il 1629 e il 1631.
Sfrondando il romanzo dal collettivo immaginario (soprattutto quello degli studenti) in cui è stato confinato per decenni come romanzo bello ma noioso, oggi l’opera sempre più spesso è riletta sotto una nuova luce, che ne svela elementi inediti e avvincenti. Ne parliamo con Anna Amadori.
Partiamo subito dalle figure femminili presenti nella vita e nell’opera di Manzoni a cui è stato dedicato il primo appuntamento del progetto: la madre Giulia Beccaria, le due mogli Enrichetta e Teresa, l’amica Clara. In che cosa sono state determinanti secondo te nella produzione letteraria di Manzoni?
“Le donne sono state determinanti e centrali nella vita di Manzoni: la madre per prima. Giulia Beccaria, costretta a un matrimonio di apparenza e convenienza con Pietro Manzoni, lascia il figlio alle cure del marito che lo affida a balie e college. Si riuniranno quando Alessandro ha 19 anni, per non separarsi mai più, in un rapporto che non cesserà di essere totalizzante e imprescindibile. Le donne salvano quest’uomo fragile e potente, egoista e nello stesso tempo eroico, e sostengono senza condizioni, eroine esse stesse, (penso al massacrante viaggio di tutta la famiglia per andare ‘a sciacquare i panni in Arno’) la sua totale dedizione alla scrittura. Questo appare chiaro ne La famiglia Manzoni- la storia di una grande famiglia ricostruita attraverso gesti e sentimenti quotidiani di Natalia Ginzburg, libro del quale consiglio la lettura lieve e illuminante.
Il reading intitolato Le donne di Manzoni, di e con Giuliana Nuvoli e le musiche di Virginia Sutera, che ha aperto il Progetto, ha fatto toccare questa evidenza e ci ha introdotto a un Manzoni diverso da quello ingessato nella figura storica e politica che è diventato con l’Unità d’Italia, spesso ridotto a monumento inattaccabile per milioni di studenti costretti a leggerlo sui banchi di scuola. La presenza vitale delle donne nella sua vita tracima nella sua opera dove disegna, con sensibilità e acutezza rara non solo per il suo tempo, personaggi femminili che sono divenuti quasi archetipi per la cultura italiana: dalla appassionata e inconsolabile Ermengarda, alla mite e fortissima Lucia (sembra che in lei si trovino i tratti di Enrichetta Blondel), alla ribelle e tormentata Monaca di Monza, alla Mater dolorosa e anonima che scende dalla scale con la piccola Cecilia, lei sì, nominata nel mistero di una morte infantile che sbigottisce, e alla quale Manzoni affida nel romanzo la testimonianza in immagine del livello più alto e glorioso della sua compassione per la condizione umana”.
Riguardo i suoi personaggi letterari, Ermengarda dell’Adelchi, la vecchia del Castello, la madre di Cecilia, la monaca di Monza e Lucia Mondella… In cosa consiste la loro contemporaneità e perché ne consiglieresti lo studio nella formazione di un’aspirante attrice?
“La loro contemporaneità è il sempiterno dei sentimenti che ci rendono umani e che Manzoni rivela con maestria insuperata. Le opere sono da leggere perché sono belle, prima di tutto. La lingua de I promessi Sposi è una lingua meravigliosa che insegna l’italiano e dà ragione della raffinatezza di un idioma capace di restituire le esperienze più profonde e luminose dell’esistenza”.
Nel reading Sette Note in nero di e con Luca Scarlini si approfondisce la componente gotica dell’opera. Qual’è il segreto per mettere d’accordo il realismo manzoniano con questo aspetto, diciamo più truculento, dark, se vogliamo…?
“La risposta è in parte già nella mia precedente: la lingua. L’aspetto nero o drammatico de I Promessi Sposi non è mai descritto ma narrato e reso visibile nella coerenza della storia e nella veridicità dei personaggi disegnati con la punta di diamante. Pensiamo solo all’arco narrativo di Don Rodrigo: dalla tracotanza dell’inizio alla scoperta dell’infezione, all’abbandono del più fidato dei fidi, il Griso, alla morte terribile nel Lazzaretto eppure accompagnata dalla pietà di Frate Cristoforo, nemico in vita e ora viatico di pace e perdono. La componente oscura si rivela potente nel suo opaco splendore in quello che possiamo chiamare un racconto gotico e che è intitolato appunto Sette note in Nero il reading di e con Luca Scarlini che si tiene il 9 marzo a Castel Maggiore, in provincia di Bologna. Il reading ci apre alla seduzione, al fascino e alla follia di un romanzo la cui ricezione è stata funestata dagli orientamenti politici che se ne sono impadroniti. Ma le prove ci sono, chiare: il monastero di Monza e l’incantevole dark lady Virginia de Leyva, Don Rodrigo e il Griso, il Lazzaretto e, più in generale, il vero orrore, ossia la Storia che schiaccia umiliati e offesi, senza fare un plissé”.
Parliamo adesso della figura del malvagio nel plot letterario/teatrale. “Senza cattivi non c’è storia” è il titolo dei dieci incontri laboratoriali dedicati a questa tematica. Manzoni è stato spesso considerato paternalistico ma i suoi personaggi, soprattutto i malvagi, sono anche molto tormentati e complessi. Cosa consiglieresti a chi volesse interpretare, ad esempio, un personaggio come Don Rodrigo per renderlo autentico e convincente?
“Non posso consigliare niente in astratto, bisogna leggere, leggere i testi ad alta voce, farsi guidare da essi alla scoperta della loro risonanza in noi: solo così ne cogliamo il senso e soprattutto le intenzioni. Bisogna ascoltare i testi. Nei miei laboratori la prima cosa che si affronta è la parola come azione, atto psicofisico che connette mente e sensi, corpo e sentimenti, e rende percepibile il mistero del quale siamo fatti e che la parola da sempre cerca di rivelare.
I Promessi Sposi è una miniera d’oro per la infinita molteplicità di timbri e registri che lo attraversano: si tratta di ascoltarli, entrare nel gioco di una lingua che disegna un mondo tanto fittizio quanto vero. Il laboratorio articolato in 10 incontri intitolato appunto Senza cattivi non c’è storia pone l’attenzione ai personaggi che, per le loro scelte scellerate, ne muovono la trama, e al movimento finale dell’opera, la peste, che con la sua disumana indifferenza porta il riconoscimento del bene e la luce della fine. È uno sguardo in traverso su alcuni capitoli del romanzo nel quale la formazione alla lettura ad alta voce si lega all’analisi formale del testo e alla scoperta del suo senso in un incontro rinnovato con un classico. Il titolo del laboratorio allude giocosamente a una regola aurea sia della narrazione che del dramma: l’esigenza di un conflitto (che sia mancanza o usurpazione, sfortuna o persecuzione, etc) che avvii e alimenti il progredire degli eventi e dei personaggi”.
Quale dei personaggi di Manzoni ti affascina di più e perché?
“Non ho una preferenza per un personaggio ma la parte che non mi stancherei mai di leggere a me e agli altri sono il capitolo 33, dove Don Rodrigo si scopre appestato di ritorno da una sera di cibo, vino e chiacchiere morte, e il 34, dove Renzo, provato dall’esilio e dalla malattia, torna in città in cerca della sua Lucia e ci accompagna nella Milano dolente e pietosa della Peste. Qui nella discesa della madre dalle scale di casa con la sua agghindata morticina in braccio c’è la più potente, a mio avviso, immagine che il Manzoni ci lascia della compassione umana e della richiesta di misericordia che attraversa tutta la sua storia. Mi viene in mente ancora Natalia Ginzburg: Misericordia è anche la parola che chiude un suo meraviglioso racconto I rapporti umani nella raccolta Le piccole virtù. Provate a leggerlo e ad ascoltare la sua meravigliosa prosa: dobbiamo a Don Lisander più del nostro primo romanzo storico, per quanto anch’esso immenso, la nostra letteratura tutta gli deve ancora oggi molto”.
Anna Cavallo
Cover: Lucia Mondella – foto dal web – Rivista La Città immaginaria
Per maggiori info sulla rassegna e su Anna Amadori: https://stagioneagora.it/
https://associazioneliberty.it/
https://www.giuliananuvoli.com/
https://asworks.online/ – Alberto Sarti- content editor e graphic designer
https://annaamadori.wordpress.com/
https://www.facebook.com/annaamadoriteatro