Tantissimi amano Bukowski e molti si ispirano a lui quando scrivono, Ma, se vuoi scrivere come Bukowski, devi esserne capace. Ciro D’Anna – autore napoletano classe ’79 che ha esordito con Charlie (ed. La Gru) nel 2017 – mostra di farcela, riuscendo a distillare, all’interno di un turbinio di incontri, viaggi, festini e chiacchierate fra amici a base di fumo e chitarre, la sua personale visione del mondo. Lo intervistiamo oggi, all’alba della sul ultima pubblicazione: il romanzo La cosa grave (ed. Calibano).
Bukowski, Kerouac, Salinger: quale altro autore ha lasciato il segno nella tua narrativa?
Oltre ai nomi che hai citato, un’influenza determinante sul mio modo di intendere la scrittura l’ha esercitata Henry Miller. Più che il suo stile di scrittura mi ha influenzato la sua poetica: quella vocazione a raccontare la vita, il quotidiano e il personale in modo spregiudicato, diretto e spesso anche brutale.
Charlie può essere visto come un romanzo d’iniziazione nel quale i ventenni protagonisti prendono consapevolezza di se stessi attraverso il rapporto faticoso e inevitabile con gli altri. Come cambiano le cose a quarant’anni?
A 40 anni, dopo aver trascorso la prima parte della vita senza capire dove stai andando e senza trovare un reale senso alle cose, per la prima volta cominci ad accorgerti delle traiettorie che hanno fino a quel momento delineato il tuo percorso. Accettare e comprendere queste direzioni significa provare a diventare noi stessi. Charlie come romanzo ne è un esempio: i protagonisti smettono di scrivere e comporre musica perché convinti di poterne produrre solo di mediocre. In realtà col tempo capiranno che questo pensiero era dettato dal fatto che non credevano davvero in quello che facevano.
Descrivi la gioventù alla fine dei ’90 con esperienze di prima mano (se non autobiografiche). Quanto credi che sia cambiata la condizione dei giovani, oggi?
Uno dei motivi che mi hanno spinto a ultimare Charlie e a proporlo alle case editrici è stato che questa storia è ambientata in un mondo che, sebbene siano passati solo venti anni, non esiste più. Era ancora l’epoca in cui per sentire un amico o la tua ragazza dovevi chiamare a casa e farteli passare al telefono. E l’unico modo per trascorrere del tempo insieme agli altri era vederli di persona. Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.
Parli del sogno di un gruppo di ragazzi di incidere un disco, che naufraga, all’interno di un movimento incessante di traversie che sembra poter andare avanti all’infinito; come a dire che è difficile fallire proprio come lo è il riuscire. E, quasi, che ci sia bisogno dello stesso impegno, come se anche il fallimento implicasse, in certo modo, non solo una scelta, ma anche una buona dose di determinazione.
Charlie è un libro sulla rinuncia e su come la rinuncia sia il viatico per costruire noi stessi e anche per elevarci umanamente. Siamo troppo abituati a porre l’attenzione su cosa facciamo, su cosa riusciamo a fare e cosa vogliamo fare, ma non ci accorgiamo mai di quanto nella nostra vita siano importanti le scelte su cosa non fare. E non ci diamo mai merito per quello che, spesso saggiamente, abbiamo abbandonato (e soprattutto accettato di abbandonare) per dedicarci ad altro. Nel romanzo, a vari livelli i quattro protagonisti sono consapevoli di quanto il momento che vivono sia uno spartiacque per le loro esistenze.
Domanda inevitabile: quanto Ciro c’è in Charlie? E: Charlie farebbe qualcosa di diverso, vent’anni dopo?
Spesso, mentre si scrive, ci si accorge che quando un personaggio esce da te per arrivare su una pagina ti sta lasciando. Ti saluta come fosse un figlio ormai grande che parte perché ha trovato lavoro lontano. E viene a trovarti solo ogni tanto. Charlie mi viene a trovare, in genere quando bevo qualche birra di troppo, e non parliamo mai di cosa avremmo fatto o non fatto. Parliamo solo di stronzate.
Con La cosa grave cambi completamente registro: si parla di figli, di separazione, di soprusi e scontri familiari. Come ci sei arrivato, partendo da Charlie?
Così come per Charlie, il tema della rinuncia è fondamentale anche in questo romanzo. Qui il protagonista, Dario, si ritrova invischiato in legami lavorativi e famigliari devastanti, e la sua rinuncia a una rivalsa che pure sarebbe possibile gli apre una nuova prospettiva. Ma il libro vuole anche essere una sorta di riflessione sulla situazione bloccata nella nostra società civile.
A che stai lavorando adesso? Cosa puoi rivelare in anteprima ai lettori di «Pagina3»?
C’è un terzo romanzo la cui stesura primigenia è di anni fa e che, con i due già pubblicati, chiuderebbe una ideale trilogia sul tema della rinuncia: tre come i tre tipi di desiderio, o tanha in lingua pali, secondo la tradizione buddista. Viene quindi da lontano: la sua prima stesura è di poco successiva alle prime bozze di Charlie ed era nato quasi come suo spin-off. Qui il tema della rinuncia si è palesato pian piano avendo come contraltare i piaceri sensuali. Se la verità della vita stia più nella eterna definitività della rinuncia o nell’effimera continuità della ricerca del piacere, credo sia un tema che ci toccherà dibattere a fine lettura.