(voce di SopraPensiero)

acquatace-copertinaGreta Sturm recensisce il romanzo “L’acqua tace” di Pelagio D’Afro, autore presente nella biblioteca del “Progetto Manuzio” (Italic Pequod, pp. 184, € 16, ISBN 9788896505197).

 

«L’ho già visto tante volte, il mare, ma non è come qui.» Questa è la frase che introduce il prologo di «L’acqua tace», che alla fine potrebbe sembrare anche detta direttamente da un ipotetico lettore. Infatti, nonostante il gran numero di personaggi che ci forniscono alternativamente i propri punti di vista per aiutarci a capire il dipanarsi della vicenda, protagonista assoluto, onnipresente, è il mare della riviera marchigiana: a tratti rassicurante e familiare, a tratti opprimente e inquietante, detentore di segreti inconfessabili e silenzioso complice. Silenziosa è l’acqua, che appunto tace, non rivelando chi è l’assassino di quel corpo senza vita rinvenuto a galla in una mattina estiva, l’evento che ci introduce alla storia.Ed è proprio il mare, spesso personificato, ad avere un grande potere sui personaggi e i loro comportamenti, così come sullo svolgimento degli eventi. Influenza sia tutti coloro che gli stanno attorno e con cui viene a contatto sia quelli che sono abituati alla sua presenza: Lavinia, la proprietaria della residenza in cui si svolge la vicenda o Renato, che ci è nato e vissuto, oppure chi non lo conosce affatto come gli ospiti passeggeri della dimora, l’attrice e il poeta D’Annunzio. Interessante il cambio di punto di vista a ogni capitolo, che di volta in volta ci dirotta nella testa dell’uno o l’altro personaggio, permettendoci di indagare le loro idee e tentando, attraverso le loro congetture, di scoprire una soluzione. Le caratterizzazioni dei numerosi personaggi sono avvincenti e seguire le loro vicende invoglia ad approfondire ciascuna delle loro personali tragedie. Poiché, dalla loro prospettiva, è proprio di questo che si tratta. Durante la lettura, benché aiutati dalle peculiari citazioni a inizio capitolo nella rappresentazione dei personaggi, una precisa frase continua a risuonare: «Tutte le persone più dure e fredde che incontri una volta erano soffici come acqua, e questa è la tragedia del vivere.» Parole che si adattano perfettamente a questi personaggi che sono in realtà vittime della propria vita non scelta ma obbligata, bloccati in ruoli e convenzioni strette e gravose. E ognuno reagisce come può: chi in una maniera che si potrebbe considerare più coraggiosa, chi arrendendosi all’inevitabile ma tutti uniti da quel fondo di scontento che indissolubilmente li lega senza che essi nemmeno se ne accorgano. Sarà poi la forzata unione fisica, causata da una tragica morte, a unirli e ad aiutarli a capire qualcosa di più su se stessi anche attraverso il contatto con gli altri. E alla fine, dopo aver percorso questo viaggio con i protagonisti della storia che abbiamo imparato a conoscere, sparisce la tradizionale definizione dei «cattivi» in favore di un contrasto meno definito, più che altro di «eroi» e «antieroi», poiché sembra che chiunque viva abbastanza a lungo sia poi dirottato verso l’inevitabile; come quando il Commissario avverte l’agente Ciro, con il quale segue le indagini, ancora giovane e nel pieno dell’idealismo, che nel loro mondo non c’è posto per l’eroismo ma solo per i compromessi. E c’è quell’amarezza che ci pervade perché non si tratta solo del loro mondo, ma di quello di tutti i personaggi: compromessi di vita matrimoniale, di affari, di affetti e di amore nel pieno di quei rimpianti che potrebbero accompagnare ognuno di noi. Un libro ben scritto, indubbiamente, che scorre piacevolmente anche grazie a delle descrizioni di un panorama che si espande magicamente di fronte agli occhi del lettore. Lo stile e il linguaggio sono volutamente ricercati e, senza dubbio, riportano all’epoca (il 1900) in cui si svolge l’azione. Una narrazione fluida, in cui non si nota mai il fatto che il romanzo sia scritto addirittura ad otto mani. Non è la prima volta che gli autori (Giuseppe D’Emilio, Auturo Fabra, Roberto Fogliardi e Alessandro Papini) si cimentano in tale esperimento e, con l’andar del tempo, stanno affinando sempre di più le loro qualità che non sono certo da poco. Addirittura risultano nell’insieme un po’ troppo professionali, nel senso che forse al testo mancano alcune di quelle improvvise accelerazioni, di quei passaggi ironici che avevano caratterizzato di più i loro lavori precedenti. L’unico limite è forse proprio questo, con la conseguenza di rendere la narrazione leggermente troppo lineare.

 

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