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(voce di Luca Grandelis)Si sente spesso dire, sicuramente a torto e non senza una punta di snobismo, che ci siano più scrittori che lettori. Non diversamente, si dice anche che a teatro non va più nessuno ma che tutti vogliono recitare. E se invece il punto fosse il bisogno di leggere o di fare teatro in modo diverso?
Partiamo dal concreto: a Bologna, da settembre, c’è un nuovo spazio teatrale. Finalmente trovo il tempo di visitarlo. Percorro, così, l’elegante e cupa via Castiglione fino al civico 41, oltrepasso il portone ed esito un istante nel cortile buio. Appena svoltato l’angolo, vedo schiudersi un piccolo regno luminoso: una passerella di legno mi guida al di sopra della ghiaia, fradicia per gli inverni bolognesi; passa sotto le grandi finestre di una sala prove dai colori solari e mi conduce infine a una piccola stanza chiara, dove si fronteggiano una libreria e l’angolo del tè.
Ecco il Laboratorio 41, nuova casa della Compagnia Fantasma. Daniele Bergonzi, fondatore e anima di questo luogo, mi spiega dove siamo.
Ci troviamo nell’ufficio dell’Associazione Culturale Laboratorio 41, centro di ricerca e formazione teatrale. Nel salone principale è in corso una lezione di danza contemporanea. Tra poco ci sarà una lezione di tecnica vocale. Da qualche mese passo la maggior parte del mio tempo tra questi antichi muri, eppure ogni volta che entro dal portone esterno mi sorprendo del silenzio e della tranquillità che si possono nascondere all’interno di una corte seicentesca situata nel pieno centro di una città come Bologna. E’ un luogo dove si può lavorare con cura, e questo per me è fondamentale. All’inizio erano in programma soltanto i miei laboratori di recitazione e poco altro; poi, nel giro di qualche settimana, attorno al Laboratorio 41 si è creato un interesse sorprendente. E’ successo tutto in modo inaspettato e quindi ancor più eccitante. A sei mesi dall’apertura abbiamo raggiunto i 250 iscritti e in palinsesto ci sono 16 corsi e laboratori di discipline che vanno dal teatro alla danza, dalla voce al canto, dallo yoga alla meditazione al Pilates: è una proposta eterogenea con un punto di vista condiviso. Ho selezionato gli insegnanti ad uno ad uno, sono tutti professionisti con anni di esperienza alle spalle e ognuno di loro conduce un’intensa ricerca personale sul linguaggio scenico. La nostra sfida quotidiana è quella di offrire alla città un luogo in cui trovare formazione di altissimo livello a un costo contenuto e accessibile a tutti. Non è un impresa facile, ma nulla che sia degno di interesse lo è.
La sfida è appassionante: di solito si tiene – anche troppo – alla distinzione tra professionismo e non; mentre l’idea di tenere un livello molto alto senza presupporre o giudicare in anticipo quale sia l’obiettivo o il futuro di un allievo, mi pare un interessante elemento di novità. Oltre ai saggi finali, in questo spazio andranno in scena anche altri spettacoli?
Io credo che si debba giudicare un artista per la sua opera. Non mi importa se un attore fa un altro mestiere per «campare»: se è un attore e sa di esserlo, allora è un professionista e sul palco si vede, così come si vede chi fa l’attore di mestiere eppure non lo è. Ho avuto più di 700 allievi nel corso degli ultimi 10 anni, alcuni hanno fatto del teatro la loro vita, altri solo un’esperienza di pochi mesi, ma tutti hanno recitato, almeno una volta. Quando chiesero a Grotowski chi aveva in mano il futuro del teatro, rispose: «Un gruppo di dilettanti che non abbiano paura di lavorare molto duramente su loro stessi». Credo sia vero.
Spettacoli? Sì, dal 6 aprile al’8 giugno tutti i sabati alle 20 si terrà «SABATO41», la prima rassegna di teatro, danza, musica del Laboratorio 41. Nove serate con altrettanti spettacoli e concerti che avranno come protagonisti gli insegnanti stessi dei vari corsi, i quali sono tutti attori, cantanti, danzatori, musicisti. E’ stata anche questa una richiesta a furor di popolo: gli allievi, giustamente, vogliono vedere all’opera i loro insegnanti e valutare se «predicano bene e razzolano male». Io so già che razzolano bene, ma è importante che lo sappiano anche i nostri allievi.
La storia della Compagnia Fantasma è quella di un teatro rigorosamente di parola e di musica, cosa nient’affatto scontata. Come riassumeresti il vostro percorso e la vostra poetica?
Il nostro percorso comune inizia nel 2002. Già da diversi anni avevamo intenzione di lavorare assieme e il teatro ci è sembrato il giusto luogo di incontro tra attori, musicisti, scrittori e rappers.
Il teatro è il nostro mezzo espressivo e lo utilizziamo per dire ad altri quello che ci preme. Lo abbiamo sempre fatto partendo dalla letteratura contemporanea. Leggiamo un racconto o un romanzo e, se ci piace, lo riscriviamo per la scena, lo musichiamo e lo recitiamo sul palco. Altrimenti scriviamo direttamente di nostro pugno. Tutto qui. La cosa non scontata è il diritto – inalienabile per noi – di recitare solo i testi che ci interessano. Non siamo mai scesi a compromessi su questo, perché pensiamo che l’attore non sia solo un ripetitore di parole con una corretta dizione. L’attore è un essere umano e deve prendersi la responsabilità di quel che dice. L’eseguire gli ordini, lo lasciamo ad altri.
Insomma: parola e musica ma anche corpo; al centro, però, mettete sempre un’idea forte, di solito legata a un testo. Puoi spiegarmi qual è il rapporto tra il vostro teatro e i testi?
Il nostro rapporto con i testi che mettiamo in scena è fondante. Credo ci voglia una buona dose di coraggio e di faccia tosta a mettere le mani su un racconto di Calvino, Fenoglio o Carver, senza paura di far danni. Quei testi sono perfetti, ma lo sono solo nella dimensione di un rapporto privato con il lettore, che sfoglia il libro e legge le parole nella sua mente. Per condividere pubblicamente quelle parole è necessario trasformarle da letteratura in linguaggio scenico, cercando di rendere tridimensionale quello che lo scrittore ha impresso sulla pagina. Non è una manipolazione, per noi è un atto di profondo rispetto nei confronti dell’opera originale. E’ un lavoro da eseguire con estrema cura: in fin dei conti, è un atto d’amore. Non potremo mai sapere cosa ne avrebbero pensato gli scrittori interessati non più in vita, ma abbiamo avuto diverse conferme da quegli altri. Abbiamo recitato spesso in presenza degli autori dei testi (Cacucci, Wu Ming, Kai Zen, etc…) e nonostante la riscrittura dei testi fosse in qualche caso anche estremamente diversa dalla forma originale, gli scrittori ne hanno sempre riconosciuto la paternità con orgoglio, fino ad arrivare a scrivere alcuni pezzi in previsione di una nostra messa in scena. Questo è appagante. Riteniamo che l’opera letteraria – così come ogni altra forma d’arte – non sia il risultato solipsistico di un’operazione individuale ma un soggetto vivo, gettato nel mondo e, con il mondo, condiviso. E’ per questo che abbiamo sempre avuto contatti privilegiati con scrittori che pubblicano in copyleft e noi stessi abbiamo dato alle stampe il nostro romanzo – Defcon X – con licenza Creative Commons; le registrazioni digitali dei nostri readings sono online e scaricabili gratuitamente. La diffusione delle opere – e del sapere in generale – deve essere patrimonio comune. Dubito che quando Bukowski scriveva un romanzo, pensasse ad una tipologia particolare di lettori: scriveva per tutti, e noi vogliamo raccontare a tutti le sue storie. Voi di Liber Liber ne sapete qualcosa, giusto?