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Parole come crack, sballo, dose. Attività come spaccio, intimidazione, ricatto. Amicizie come pusher, latitanti, pali. Rischi come agguato, arresto, soffiata. È questo il mondo di Luca, diciassettenne che non ha scelto la camorra perché gli piaceva; ma il lavoro era mal pagato e già da piccolo aveva una famiglia da portare avanti ed è dura spezzarsi la schiena tutti i giorni, per anni, senza la prospettiva che il mondo te ne sia grato. Insomma, la camorra non era un’aspirazione: era una soluzione. Non il migliore dei mondi possibili ma, tutto sommato, neanche il peggiore. E ad Anna, la sua ragazza, lui non sembra affatto quel tipico delinquente dipinto nei libri o in TV, brutale, cinico e con una passione unica, smodata e senza senso per il denaro: Luca è un ragazzo sveglio e buono, pensa, che l’ha salvata quella volta – la prima volta che si sono veramente incontrati – e che avrebbe continuato a farlo fino al suo ultimo respiro. Purtroppo, il mondo di Luca è uno di quelli fatti con il fuoco; e quando bruci tutto – le tappe, i ponti, le persone – finisce che le fiamme avvolgono anche te…
Per una volta, la città sotto al Vesuvio non viene raccontata dal punto di vista della criminalità organizzata né della giustizia o del delitto; Antonio Esposito spiega la città con gli occhi della mancanza, mettendo in scena, come dire, per sottrazione, ciò che viene meno pur in mezzo al turbinio degli avvenimenti, delle facce e dei luoghi: il tessuto emotivo, relazionale, umano che si sfalda sotto agli occhi del lettore lasciando un senso di vuoto e una immensa, cosmica insensatezza. Nell’intreccio tra politica, malaffare, disperazione e illusioni, una trama di storie diverse che porta Napoli al di là di se stessa e dei mille stereotipi – tanto positivi quanto negativi – che la affliggono.
Antonio Esposito, La perduta gente, Bertoni editore, Perugia 2017.