La pelliccia d’Ermellino.

Le avventure di Kutt-Hardy
Il Rivale di Sherlock-Holmes

di
Giovanni Bertinetti [Herbert Bennet]

tempo di lettura: 36 minuti


I.

Come di consueto, Cutt-Hardy si era seduto sulla sua ampia poltrona (il laboratorio delle sue indagini, come egli la chiamava), coi piedi appoggiati, sul marmo del caminetto, ed aveva incominciato ad abboccare la prima delle sue infinite sigarette che fumava durante la narrazione. Cutt-Hardy era un terribile distruttore di sigarette. Il fumo era per lui la condizione prima ed indispensabile di ogni lavoro intellettuale – come l’alcool pel suo compatriota Edgardo Pöe. – Era questo un risultato dovuto all’eccitamento del fumo, oppure all’abitudine – convertita in seconda natura – di seguire il filo del suo ragionamento attraverso il formarsi, l’avvicendarsi ed il complicarsi delle spire azzurrognole? Io non l’ho mai saputo; ma mi son sempre formato la convinzione che egli leggesse nelle spire del fumo il districarsi dei difficili problemi che si proponeva di risolvere.
Il volto di Cutt-Hardy – sia durante la narrazione delle sue avventure, sia durante il momento attivo in cui la sua mente intuiva la verità, a tutti gli altri oscura, di qualche dramma misterioso – non tradiva alcuna emozione; rimaneva freddo ed impassibile, senza il più leggero tremito di ciglia, senza il più tenue movimento di labbra. Mai volto umano fu più impenetrabile di quello di Cutt-Hardy. Le emozioni non si tradivano mai all’esterno, se non con un più veloce ed affannoso getto di fumo; un attento osservatore avrebbe forse potuto leggere, nelle spire del fumo uscente dalle sue labbra, le emozioni che passavano in quell’anima tenace e poderosa.
Cutt-Hardy incominciò quel giorno uno dei suoi più attraenti racconti, quello in cui maggiormente hanno brillato le sue straordinarie facoltà d’analisi penetrativa.
— Amici, voi sapete qual è il punto di partenza di tutte le mie indagini. Quando mi si presenta qualche interessante e misterioso problema da risolvere, o per mio conto o per conto della polizia e quindi della società, io trascuro sempre quei fatti che agli occhi di un superficiale osservatore potrebbero sembrare i più importanti. Non sono mai quelli che mi aiutano a scoprire la verità, ma i particolari minimi e senza importanza. Quando un delinquente commette qualche delitto, istintivamente o pensatamente, egli cerca sempre di sviare l’attenzione della giustizia evitando di mettere in vista i fatti importanti, ma si dimentica quasi sempre dei particolari insignificanti. Sono questi che io studio. Per spiegarmi meglio vi cito un esempio. Un tale uccide una persona: il delinquente ha tutte le cure possibili di evitare quelle traccie che saltano agli occhi: per esempio, cercherà di procurarsi un alibi, di truccarsi, di portare l’attenzione della giustizia su altri individui. Ma questo delinquente non pensa, per esempio, all’impronta delle sue dita sul corpo della vittima, impronta impercettibile ad occhio nudo, ma che io, coi miei apparecchi perfezionati, posso benissimo scorgere. E voi sapete che il polpastrello delle dita, colle sue impronte, è un potente rivelatore della delinquenza. Non vi sono due polpastrelli di dita uguali. Ecco il punto di partenza.
Nel racconto che sto per farvi, la scoperta del delinquente dipende appunto da un particolare insignificante, e che un volgare poliziotto avrebbe senza dubbio trascurato di studiare, lasciando così il dramma nel più fitto mistero e facendo condannare un innocente preso nel laccio di tutte le più terribili apparenze.
Era un mattino d’inverno. Io stavo studiando al microscopio un certo reagente chimico, che per ora non vi interessa. Il mio fedele servo Iohn mi annunzia la visita di un signore: dal biglietto di visita che mi porge, rilevo che il mio visitatore è il banchiere Samuele Fursty di Elizabet Street, New-York. Il nome non mi era nuovo perchè l’avevo udito pronunciare due o tre anni prima a proposito di un colossale crak bancario in cui Fursty era implicato. Sapevo che dopo quel crak egli si era ritirato dagli affari: provai perciò una leggera sorpresa quando lessi quel biglietto di visita. Diedi ordine che fosse introdotto.
Samuel Fursty era un bellissimo uomo sui quarant’anni, dallo sguardo limpido e sincero, dal viso regolare, salvo una leggera prominenza mandibolare. Vi dico, fra parentesi, che ogni qualvolta studio una persona, non mi dimentico mai di dare un’occhiata alle sue mandibole. La mandibola è ciò che rivela nell’uomo la ferocia delle sue tendenze. M’affretto però a dirvi che la mandibola del signor Fursty non era tale da rivelarmi tendenze di ferocia.
Era di modi insinuanti e cortesi, elegante, bel parlatore ed istruito. Fin dal primo istante mi scolpii in mente un tic strano: il signor Samuele Fursty aveva l’abitudine di nascondere nel pugno il pollice destro. Vi dirò in seguito quale enorme importanza io dia a questo atto incosciente, da nessuno sinora osservato e studiato.
Appena seduto, il signor Samuele Fursty mi espose subito lo scopo della sua visita, con chiarezza e semplicità.
— Non vengo, signor Cutt-Hardy, per domandarvi la soluzione di nessun dramma giudiziario, nè la scoperta di alcun delitto. Vengo però per un fatto personale che mi interessa assai più di qualsiasi atroce delitto. Voi solo potete rivelarmi se i miei terribili dubbi sono fondati.
— Vi ascolto. Vi prevengo, però, che non voglio più occuparmi di fatti personali non aventi nessuna importanza per la società.
— Io spero che voi mi farete questo favore, al quale mi porrete, come prezzo, qualsiasi somma.
— Qualsiasi somma non mi convincerebbe ad occuparmi d’un fatto che non mi interessi.
— Ascoltatemi. Io ho sposato, due anni or sono, la signorina Edvige Clargh, della quale ero pazzamente innamorato e che per due anni mi fece superbamente felice. Or bene, da qualche giorno la condotta di mia moglie mi ha infiltrato un atroce dubbio sulla sua fedeltà.
— E voi vorreste avere da me la conferma dei vostri dubbi. Sono spiacente, signor Samuele Fursty, ma ciò non interessa affatto nè me nè la società. Scusate il mio linguaggio sincero, e scoprite da voi stesso l’amante di vostra moglie, dato che i vostri sospetti siano fondati.
Il signor Samuele dimostrò il più vivo rincrescimento della mia ripulsa ad occuparmi di lui e di sua moglie, e soggiunse:
— Indirettamente, signor Cutt-Hardy, il mio fatto personale potrebbe interessarvi. Supponete che la mia gelosia fosse giustificata da qualche indizio importante, e che io uccidessi mia moglie.
— È una supposizione che vi auguro di mantenere tale. Ma qualora voi crediate di risolvere in questo modo i vostri dubbi sulla fedeltà di vostra moglie, allora mi occuperò di voi.
— Ma non è forse nel dovere della vostra professione evitare un delitto? – disse Samuele Fursty con accento convinto.
Io rimasi alcuni secondi in silenzio, guardai in volto il banchiere e dissi:
— Avete ragione: accetto di illuminarvi sulla fedeltà di vostra moglie, nella speranza che i vostri dubbi siano chimerichi, ed evitare perciò un delitto, poichè vi dimostrate ben intenzionato di commetterlo.
Quest’ultima frase la pronunziai con la mia solita freddezza, ma un osservatore perspicace avrebbe letto nelle spire del fumo della mia sigaretta che non le avevo pronunziate inutilmente.
Samuele Fursty mi strinse la mano con effusione.
— Vi ringrazio, signor Cutt-Hardy, di fare un’eccezione per me: io ve ne sarò grato. I tormenti di cui soffro sono terribili ed ho bisogno di sapere.
— Ditemi adunque: quali sono i vostri sospetti?
— Vi dirò, non ho sospetti fondati, ma vaghi: anzitutto mia moglie, sino a pochi giorni fa, era innamoratissima di me: ora mi sembra di scorgere in lei qualche freddezza.
— Ciò non vorrebbe significare in vostra moglie nessuna infedeltà.
— Certo, ma l’altro giorno io la sorpresi nell’atto in cui gettava nel fuoco un pezzo di carta. Era una lettera? Non lo so, ma quell’atto aumentò i miei sospetti.
— Tutto ciò è molto vago.
— Ma se io sono venuto da voi è perchè si presenta una magnifica occasione di studiare da vicino il problema, giacchè si tratta di un vero problema.
— Sentiamo qual è questa magnifica occasione – risposi trovando quell’aggettivo fuori posto e mettendolo in conto di un ragionamento che s’andava formando nella mia mente dal momento in cui m’ero deciso d’accettare.
— Ieri sera mia moglie ha ricevuto un telegramma di suo padre, in cui le si dice: Partite subito; mamma gravemente inferma. Orbene, se questo fosse uno pseudo telegramma e mia moglie partisse con uno scopo meno nobile?
— Quando ha deciso di partire vostra moglie?
— Oggi stesso col treno delle 18…
— Ma perché non credete all’autenticità di questo telegramma?
— Signor Cutt-Hardy, è un perchè molto convincente. Ieri sera, appena mia moglie ricevette il telegramma di cui vi ho parlato, io sono uscito, mi sono recato all’ufficio ed ho telegrafato allo suocero: «Edvige impossibilitata partire come desiderate, ditemi se debbo andar io.»
— Ebbene?
— Ebbene, ho ricevuto in risposta queste parole: «Non comprendo nulla; venite voi a spiegarmi. Clara». Come vedete, è chiaro che si tratta di un trucco combinato coll’amante di mia moglie.
— È evidentissimo – risposi.
Il caso che si presentava al mio studio era interessantissimo, non perchè mi importasse che la signora Fursty tradisse o non tradisse suo marito, ma perchè questo scambio di telegrammi non faceva che confermare un barlume di sospetto che era nato in me.
— Ebbene, partiamo anche noi col treno delle 18 – dissi.
— È quel che pensavo; ma mia moglie ci vedrà, e…
— Io vi rifarò in modo che nessuno riconoscerà in voi il banchiere Samuele Fursty, nè in me il poliziotto Cutt-Hardy.
— Benissimo, noi ci truccheremo – rispose con un sorriso il banchiere.
L’idea del trucco gli andava a genio. Questo sorriso io non trascurai. Pregai il signor Samuele d’entrare nel mio gabinetto di toeletta.
— Subito? – rispose. – Avrei prima qualche commissione da sbrigare alla banca.
— Fate pure; abbiamo ancora due ore di tempo.
Il signor Fursty uscì promettendo di ritornare in tempo utile per compire la trasformazione della sua persona nel mio gabinetto.
Mi premeva sapere ove si recasse in questo frattempo il banchiere, così terribilmente geloso di sua moglie. Scesi le scale; Fursty salì nella sua vettura: io feci cenno al mio solito vetturino, che faceva servizio permanente per me sull’angolo della via.
Dieci minuti dopo io vidi il signor Samuele entrare in una palazzina al numero 144 di George Street. Non essendo quella la sua abitazione, il più semplice ragionamento doveva convincermi che il signor Samuele doveva parlare d’urgenza con qualche persona direttamente interessata in tutta questa faccenda. Ma mi mancava assolutamente il tempo per informarmi, senza suscitare alcun sospetto, su chi fosse questa persona ed in quali rapporti si trovasse con il banchiere. Ritornai a casa per aspettare il mio prossimo compagno di viaggio, il quale fece ritorno pochi minuti dopo.
— Eccomi pronto a subire una trasformazione, signor Cutt-Hardy. Abbiamo tre quarti d’ora di tempo.
— Sono sufficienti per mutare un banchiere in un vecchio scienziato ed un poliziotto nel suo segretario.
Io avevo – come tutti sapete – acquistato una abilità veramente eccezionale nel trucco: mezz’ora dopo noi eravamo alla stazione in attesa del treno per Delgate.
Appena giunti, il signor Samuele Fursty mi disse piano, volgendo lo sguardo verso una signora che si accingeva a salire sul treno:
— Eccola.
La moglie di Samuele Fursty era una bellissima ed elegantissima signora sui trent’anni, di forme slanciate e con lineamenti fini: benchè avesse il velo abbassato, non era difficile vedere che un ansioso dolore era dipinto su quel viso. Ma tenni l’osservazione per me: intanto credetti utile notare che il signor Samuele sembrava cercare cogli occhi un’altra persona.
La signora Fursty era giunta vicino al predellino del vagone, quando un signore elegante, e di aspetto oltremodo serio, la salutò profondamente. Benchè a qualche passo di distanza, le mie orecchie, esercitate, colsero questo breve dialogo:
«— A Delgate? Anch’io… un affare urgentissimo.
«— Han già suonato il campanello.
«— Se permette salgo anch’io qui.
Il signore aiutò la signora a salire.
Samuele Fursty mi guardò, come per dirmi: «Che ne dite?»
Io non dissi nulla a questo proposito, ma accennando ad un’altra vettura:
— Montiamo in questa: il treno parte. Non è conveniente, d’altronde, essere nel suo scompartimento.
Salimmo in una delle ultime vetture. Eravamo appena seduti che il treno partiva.
— Che ne dite? – ripetè Samuele accennando all’incontro del signore con sua moglie.
— Per ora non dico nulla. Voi come marito geloso potete benissimo supporre che quel signore sia l’amante di vostra moglie e che i due abbiamo combinato insieme una fuga. Trovo però molto illogico che essi abbiano a partire in questo modo. Attendiamo. Appena giunti a Delgate li pedineremo e voi saprete qualche cosa di più positivo sul conto della vostra metà.
Il signor Samuele sembrava assorto in profonda meditazione. Per meglio fissare il mio ragionamento, che aveva preso una piega piuttosto curiosa, dissi:
— Voi dovete avere un mucchio di occupazioni. La banca vi darà molto lavoro.
— Moltissimo – rispose Samuele – è una vita veramente vertiginosa. Non si ha un minuto di libertà. Ogni mia assenza dalla banca mi costa un bel mucchio di dollari. Per darvi un’idea, in quei pochi minuti che voi mi avete aspettato prima di truccarmi ho concluso telegraficamente due affari e ho dato ai miei impiegati ordini per tutta la giornata.
— Siete veramente uno specimen della nostra razza – dissi; ma intanto pensavo: egli mentisce dicendo che si è recato alla banca, dunque… seguitiamo il nostro ragionamento e vedremo dove va a finire questa terribile gelosia che spinge un marito banchiere, il cui tempo è dollaro, a prendersi il gusto di travestirsi e fare il poliziotto di sua moglie.
Durante il viaggio noi parlammo di un po’ di tutto; il signor Samuele mi pareva una persona molto equilibrata, ma con una spiccata tendenza al guadagno enorme; questa tendenza sembrava accoppiarsi in lui ad una certa mancanza di senso morale. Ma tutto ciò non mi aveva spiegato nulla circa il vero scopo di questo viaggio, ed il ragionamento a cui accennava poteva condurmi alla scoperta della verità come all’accusa la più assurda. Era egli veramente geloso di sua moglie? Il signore che questa aveva incontrato nel salire sul treno aveva qualche rapporto illecito con lei? La signora Fursty era forse aspettata dal suo amante a Delgate? Questa supposizione doveva sembrare la più ragionevole perchè il signor Samuele aveva le prove che la malattia di sua suocera non era autentica. D’altro lato la faccia triste ed ansiosa della signora Fursty non pareva quella di donna che si reca ad un appuntamento amoroso. Non era poi probabile che tra la signora Fursty ed il signore incontrato vi fosse una intesa perchè il loro dialogo si sarebbe svolto diversamente. Quel dialogo non poteva essere combinato perchè allora la più elementare convenienza avrebbe consigliato i due a non viaggiare nello stesso scompartimento.
Il problema cominciava ad interessarmi per la sua complicazione.

II.

Il treno correva velocemente. Mancava un’ora per arrivare a Delgate. Il mio compagno di viaggio non cercava di nascondere una certa inquietudine che a tratti gli conturbava il viso, inquietudine che egli spiegava con questa frase, più volte ripetuta:
— Nessuna sofferenza è paragonabile a quella di un marito che adora sua moglie e che è sul punto di aver la certezza della sua slealtà.
— Finora voi non avete il diritto di sospettar male.
— Che va dunque ella fare a Delgate? Perchè ha incontrato quel signore proprio nel momento di salire in treno?
— È quel che sapremo tra poco… Una domanda che non vi ho ancor fatto. Conoscete quel signore che ora è nello scompartimento di vostra moglie?
— Affatto. E questo è anche un brutto indizio. Perchè mia moglie deve conoscere un uomo che io non conosco e farvi il viaggio insieme?
Io non risposi. La mia attenzione era completamente assorta in quell’istante in un tentativo di movimento che Samuele faceva per trarre di tasca l’orologio e guardare l’ora, tentativo che soffocava subito. Fursty aveva dunque un grande interesse a non farmi sapere che desiderava conoscere l’ora. Quale poteva essere il movente di questo interesse? Il treno si fermò: eravamo giunti ad una piccola stazione.
— Non posso resistere alla tentazione di scendere e gettare un’occhiata nello scompartimento di mia moglie. Voi perdonerete questo bisogno d’un povero geloso.
— Bisogno ragionevolissimo: lo potete fare, tanto più che vostra moglie non vi riconoscerà sotto quelle spoglie. Ma badate a non compromettere la situazione facendo qualche atto inconsulto. Aspettate ad agire quando avrete la certezza assoluta del tradimento di vostra moglie.
— Non temete… soffro, ma so dominarmi.
Fursty scese e s’avvicinò allo scompartimento ove si trovava sua moglie. Io lo osservai attentamente sporgendo il capo fuori del finestrino. Il banchiere, giunto dinanzi al vagone che cercava, gettò lo sguardo entro, indi ritornò indietro. Ma nel ritornare mi parve di sorprendere un leggero, impercettibile segno d’intelligenza che Fursty rivolse a qualche persona che si trovava in un altro scompartimento.
Come vi ho detto, sono i piccoli insignificanti particolari che per me hanno un enorme valore indiziario: questo piccolo segno del signor Fursty poteva essere una mossa senza alcun significato utile nella risoluzione del complicato problema, ma poteva anche avere il valore di una rivelazione per il momento importantissima.
Confesso che non avrei forse dato grande importanza a quel segno se esso non fosse stato l’oggetto da parte del signor Fursty di un’abile manovra per farmi credere che esso era diretto a me. Il banchiere mi aveva scorto al finestrino proprio nell’istante in cui gli sfuggiva il segno d’intelligenza con una persona X, ed egli tentava di convincermi che quel segno era per me.
Naturalmente io mi guardai bene dal disilluderlo.
— Ho capito, signor Fursty, voi avete scorto qualcosa d’anormale. Me ne accorgo dal vostro viso.
Mentre pronunciavo queste parole, dal finestrino dello scompartimento ove era stato scambiato quel tal segno fecero per un attimo capolino un viso di donna ed una pelliccia candidissima. Gli occhi della donna guardarono per quell’attimo il signor Fursty che saliva il predellino.
Un fischio ed il treno ripartì.
Il signor Fursty si lasciò cadere sul sedile sospirando:
— Caro signor Cutt-Hardy, credo affatto inutile di indagare più oltre.
— Dite, dite, e che avete veduto?
— Mia moglie e quel signore si parlavano piano con uno sguardo che non mi lascia più alcun dubbio.
Io tacqui: osservavo attentamente il banchiere. I suoi occhi avevano degli strani luccicori indicanti, più che la gelosia, l’aspettazione di qualche momento decisivo. Il mio silenzio parve turbarlo alquanto.
— Voi mi credete un visionario e non date alcuna importanza alle mie parole: debbo forse aggiungere un particolare che mi fa fremere? Signor Cutt-Hardy, l’occhiata che io gettai nello scompartimento fu brevissima, ma abbastanza lunga per darmi agio a scorger la mano di mia moglie tra la mano del suo amante!
— Capperi! L’affare è serio – esclamai, – non v’è più dubbio.
E mi sprofondai in un profondo silenzio. Dopo il quale trassi l’orologio e confrontai l’orario.
— C’è ancora una stazione, poi la noiosa galleria di Delgate – dissi.
— C’è una galleria? – domandò con aria distratta Samuele Fursty.
— Altro… una galleria assai tetra – soggiunsi senza dare importanza alle mie parole.
Il treno si era nuovamente fermato. Eravamo giunti a Snowy, la stazione che precede Delgate. Occorreva agire energicamente e speditamente prima che il fatto succedesse.
— Perdonate – dissi a Fursty – voglio anch’io gettare un’occhiata nello scompartimento di vostra moglie; scendo e ritorno in un minuto.
Prima che il banchiere avesse avuto il tempo di aprir bocca, io era già a terra e mi avviavo verso lo scompartimento della signora Fursty. Volevo ad ogni costo impedire che si compiesse il misfatto. Il mio piano era stabilito.
Salii nello scompartimento: la signora Fursty, in un angolo, pareva assorta nei suoi pensieri; il signore che il banchiere supponeva o fingeva supporre essere l’amante di sua moglie consultava l’orario: non vi erano altri nello scompartimento. M’avviai verso la signora e le dissi rapidamente e piano:
— Signora Fursty, vi prego caldamente di scendere e fermarvi a Snowy. Ripartirete coll’altro treno: vostra madre non è ammalata, recatevi da lei ed attendetemi: in giornata sarò da voi, a Delgate.
La signora Fursty mi guardò stralunando gli occhi, indi si volse al suo compagno di viaggio come per interrogarlo.
— Non sono pazzo, signora. Urge che voi scendiate dal treno. Non ho tempo di spiegarmi di più. Domani saprete tutto e mi ringrazierete.
— Ma perchè debbo scendere? Chi siete voi?
— Scendete – ripetei. E rivolto al signore che già s’era alzato, convinto anche lui che io fossi un pazzo – Voi conoscete la signora Fursty, pregatela di scendere. Anzi, scendete voi pure, perchè molto probabilmente l’attraversare la galleria di Delgate può essere fatale anche per voi.
Trassi di tasca un biglietto di visita e lo consegnai al signore.
Costui lesse il mio nome, mi guardò, guardò la signora, indi disse:
— Scendiamo, signora Fursty. Può darsi che il signor Cutt-Hardy abbia ragione.
Il mio nome fu pronunciato dal signore abbastanza ad alta voce perché una persona nell’altro scompartimento lo udisse e si affaciasse al disopra della divisione. Io la guardai imprimendomi nella memoria la fisionomia. Era un uomo sui trentacinque anni, biondiccio e dallo sguardo acuto.
Automaticamente la signora discese dal treno.
— Grazie – disse il conoscente della signora Fursty. – Io non mi raccapezzo ancora, ma intuisco che voi mi avete reso un gran servizio.
Rapidamente egli mi diede il suo biglietto di visita: «Giuseppe Galboon, Delgate».
La signora Fursty e Galboon discesero ed entrarono nella stazione. Discesi io pure e rimontai nel mio scompartimento.
Fursty, ora rincantucciato in un angolo, non aveva evidentemente osservato nulla di quanto era successo e pareva in preda ad un orgasmo che oramai non poteva più celare.
— Ebbene – mi domandò – che avete veduto?
— Nulla di anormale; vostra moglie pareva assorta nei suoi pensieri ed il presunto amante leggeva l’orario.
Il treno ripartì. Poco dopo un lungo fischio ci annunziava l’entrata nella cupa galleria di Delgate.
— Eccoci – dissi sorridendo a Fursty.
Era pel banchiere un momento solenne; quello in cui sua moglie – per un motivo che non aveva ancora potuto indagare – doveva cader vittima di un ingegnoso agguato, preparato secondo tutte le regole della delinquenza scientifica. Era facile per me immaginare quale successione di idee passasse nella mente del banchiere. – Ecco, egli pensava, in questo momento egli scavalca la divisione, entra nello scompartimento di mia moglie, si getta su di lei, la soffoca alla gola, la getta giù dal finestrino… Il compagno chiama aiuto… suona il campanello d’allarme… il treno appena fuori della galleria si ferma… Un gran trambusto… La gente terrorizzata per la paura di uno scontro, discende… si domanda di che si tratta… Una donna assassinata… il compagno grida… essendo stato solo nello scompartimento con mia moglie… i sospetti…
A questo punto io credei bene di dire al mio compagno di viaggio:
— Questa galleria sarebbe opportunissima per commettere qualche assassinio…
Fursty mi guardò.
— Non sarebbe il primo caso, soggiunsi, mi ricordo che cinque anni fa venne appunto in questo tratto assassinata una signora. Credo di essere stato io a scoprire l’assassino. Quella signora è stata assassinata per una dimenticanza: il campanello d’allarme non funzionava… Sarebbe assai carino che in questo momento si commettesse un delitto simile, nel treno ove viaggia Cutt-Hardy
— Sarebbe veramente curioso… se non fosse impossibile.
— Credo anch’io che sia impossibile, se mai succedesse una cosa simile, la mia gloria se ne andrebbe in fumo. Il celebre Cutt-Hardy potrebbe dare le sue brave dimissioni, perchè nessuno più crederebbe al suo genio. Ma fortunatamente questa volta nella galleria di Delgate non è successo nulla, infatti eccoci fuori…
Il treno usciva appunto dalla galleria.
Il mio compagno di viaggio non potè nascondere ai miei occhi troppo esperti un movimento di dispetto.
Era evidente che egli aveva già rinunziato ad una parte del suo programma. L’amante di sua moglie non aveva dato l’allarme. Il colpo forse non era riuscito come egli sperava.
Il treno arrivò a Delgate.
Scendemmo. Nel discendere mi accorsi che Fursty indugiava alquanto, forse per dar agio che si compiesse la scoperta del delitto e forse prepararsi a fare la sua gran scena.
Dallo scompartimento in cui Fursty aveva gettata quella tal’occhiata, scendeva frettolosamente una signora, la signora che aveva sporto il capo dal finestrino. Essa era senza pelliccia: nella fretta di uscire dalla stazione, essa aveva dimenticata la sua pelliccia d’ermellino nel treno.
— E vostra moglie non scende? – domandai a Fursty.
Fursty non rispose: pareva molto contrariato. Era evidente che non sapeva rendersi ragione di nulla. Lo scompartimento ove si trovava sua moglie era vuoto.
— Sarà già uscita – dissi con noncuranza – e noi non l’abbiamo veduta. Per un poliziotto così abile come me, questo è un piccolo smacco.
Finsi di cercare la signora Fursty in tutti i vagoni.
— È proprio così; è uscita col suo amante.
Intanto Fursty cercava cogli occhi un’altra persona; non tardai a comprendere chi: l’uomo che doveva compiere il delitto. Ma questi era scomparso. Me ne spiegavo perfettamente il motivo. Udendo pronunziare il mio nome nello scompartimento, gli nacque la certezza che io avevo tutto sventato, perciò aveva pensato bene di mettersi in salvo.
— Aspettatemi – dissi a Fursty – forse riesco ancora in tempo a rintracciarla.
Mi recai dal capostazione e mi rivelai.
— Sono Cutt-Hardy. Ho sventato le trame di un gran delitto, che doveva commettersi in questa linea, sotto la galleria di Delgate. Quella che doveva essere la vittima è al sicuro. Ma vi sono ancora molti punti oscuri da dilucidare.
— Comandatemi, signor Cutt-Hardy – rispose con ossequio il capo stazione.
Io avevo, come voi sapete, una grande fortuna: di trovare molte facilitazioni nelle mie ricerche per la mia notorietà. Bastava che io pronunziassi il mio nome per trovare subito molte accondiscendenze.
— Una signora deve aver dimenticato in uno scompartimento una pelliccia d’ermellino. Tenetela a mia disposizione, mi potrà essere utile.
— Sarà fatto – rispose il capostazione.
Io salutai e raggiunsi Fursty.
— Nulla. È strano – dissi. – Dov’è vostra moglie?
Il banchiere non mi rispose. Egli era più che mai inquieto.
Le sue speranze uxoricide essendo state, così misteriosamente per lui, deluse, egli ora pensava senza dubbio al mezzo per impedire che sua moglie si recasse a casa dei parenti, ove si sarebbe sospettato il trucco dei telegrammi finti.
— Non vi resta altro che recarvi a casa di vostro suocero – dissi – ove troverete senza dubbio vostra moglie.
— Ma se essa è in compagnia del suo amante!… Chissà dove si trovano ora! Vi ho già detto che il telegramma era finto.
— Lo credo. Le nostre ricerche sono perfettamente abortite. Se permettete, io vi lascio e filo appunto a Delgate a fare un piccolo studio per un altro affare.
— Che mi consigliate di fare?
— Una cosa semplicissima: ritornate a New-York. Io farò maggiori ricerche di vostra moglie e vi saprò dire qualche cosa.
Fursty riflettè un istante. Forse pensò a qualche ripiego per spiegare il finto telegramma che chiamava sua moglie a Delgate.
— Debbo ritornare a New-York truccato così?
— Fate come credete meglio: in questo modo viaggerete in incognito – risposi.
Fursty decise di ripartire col prossimo treno: egli pensava che non gli restava a far altro di meglio.
Ci separammo.
Appena fui solo, la mia prima cura fu di prendere visione della pelliccia dimenticata dalla signora sconosciuta. Entrai nel gabinetto del capostazione e studiai quell’indumento.
Chi era la proprietaria di quella pelliccia? In quali rapporti si trovava col banchiere? Quale parte aveva nel complotto che io avevo fortunatamente sventato? Quale scopo aveva nella sparizione della signora Fursty?
Il problema non era risolto che in parte: la parte più difficile era ancora da risolvere.
La pelliccia non mi rivelava nulla di speciale, se non che era una pelliccia di gran valore.
Forse questo valore avrebbe potuto lasciarmi sperare che la signora ritornasse per riaverla; ma sarebbe stata una speranza illusoria. Senza dubbio colui che io avevo veduto nell’altro scompartimento e che doveva fare il colpo aveva già a quest’ora avuto modo di parlare colla signora della pelliccia, e questa non sarebbe stata così ingenua da ritornare in stazione a reclamare il suo indumento.
Sulla pelliccia non v’era il nome d’alcun negoziante. Ma un piccolo fermaglio appuntato su di essa fu per me un punto di partenza; il fermaglio aveva incise le lettere S. T.
Era poco, ma era molto. Dato il mio sistema di ricerca e dato un breve ragionamento che legava la scoperta di quella pelliccia colla scappata che Fursty aveva fatto in via George Street prima di partire con me, io ero certo di chiarire i punti oscuri del problema.
Per intanto ero riuscito a salvare la signora Fursty, e vi ero riuscito perchè il banchiere aveva voluto giuocare il suo colpo con troppa furberia.

III.

Appena giunto a Delgate, la mia prima cura fu di presentarmi in casa Sooner, il suocero del signor Fursty. Tutta la famiglia era in un orgasmo ben facile a spiegare e la mia presenza fu accolta dalla più viva curiosità. Il signor Sooner mi venne incontro a braccia aperte, esclamando:
— Signor Cutt-Hardy, ho veramente piacere di far la vostra conoscenza e spero vorrete spiegare quale mistero si trama contro di noi.
— La vostra sorpresa è molto logica – dissi. – Vostra figlia, la signora Fursty, vi avrà già spiegato…
— Elisa non mi ha spiegato nulla. È in camera sua, in preda alla più viva agitazione. Per carità, signor Cutt-Hardy, ditemi che cosa si vuole da noi!
— Una cosa molto semplice: si è tentato di assassinare vostra figlia in modo elegante. La preparazione del delitto è stata di un modernismo ammirevole. Peccato che vostro genero, il signor Fursty, per voler giuocare troppo d’astuzia, abbia perduto la partita!
Il signor Sooner si era lasciato cadere sulla poltrona, in preda al più profondo abbattimento.
— Ma perchè, perchè si vuole assassinare mia figlia? – egli si domandava singhiozzando. – Il signor Fursty non può aver nulla contro di lei.
— Lo credo anch’io. Intanto ritenetevi fortunato; vostra figlia è al sicuro. Non lasciatela uscire. Io procederò nelle mie indagini e saprò dirvi per quali precisi motivi il signor Fursty voleva disfarsi di sua moglie.
— Dov’è ora mio genero?
— È ripartito per New-York.
— Ma siete certo di quel che dite? È possibile che io abbia dato in moglie mia figlia ad un assassino?
— Signor Sooner, non perdiamoci in chiacchiere inutili. La prova migliore deve intanto esser per voi la storia dei telegrammi e l’invenzione della malattia della vostra signora. Il tempo è preziosissimo, perciò vi saluto; vi prego di tranquillizzare vostra figlia. Mi urge sapere quali sono i veri motivi che indussero il signor Fursty a preparare l’abile complotto… Arrivederci.
Lasciai il signor Sooner un po’ più tranquillo e ritornai a New-York. Durante il viaggio – come voi ben potete immaginare – io cercai di sciogliere le x che ancora rimanevano insolubili nella risoluzione del problema.
Io aveva con assai abilità (permettetemi questo piccolo sfogo d’amor proprio) impedito l’attuazione d’uno dei più nefandi delitti.
Lo stato attuale del problema era questo. Il banchiere Fursty aveva tentato di far uccidere sua moglie. La «persona» incaricata di ucciderla era senza alcun dubbio l’uomo che al pronunciare del mio nome aveva alzato il capo dalla divisione dello scompartimento.
La signora Fursty era stata messa in treno con una sufficiente abilità: un finto telegramma, fatto spedire da un complice del banchiere da Delgate, la chiamava al letto della madre moribonda. Il signor Fursty, con un’audacia degna della mia ammirazione, si era presentato a me fingendo sospetti su sua moglie e scongiurandomi ad aiutarlo nelle sue ricerche.
La signora Fursty aveva incontrato in treno il signor Galboon, sul quale il banchiere aveva mostrato di aver sospetti.
Se l’assassinio si fosse effettuato durante l’oscuro tragitto della galleria di Delgate, che sarebbe avvenuto?
Evidentemente questo:
Il signor Galboon sarebbe stato sospettato d’essere l’autore dell’assassinio.
Le prove?
Quelle stesse che avrei potuto fornire io, cioè che il signor Galboon era l’amante della signora Fursty. Se il piano così abilmente preparato da Fursty riusciva, il sig. Galboon sarebbe certamente finito in galera od anche sul patibolo. Ed il famoso Cutt-Hardy sarebbe stato l’inconscio strumento di questo duplice assassinio.
Ma perchè il signor Fursty voleva far assassinare sua moglie?
Il motivo non poteva essere soltanto quello di ingannare il celebre Cutt-Hardy. Vien dunque in campo la pelliccia d’ermellino.
Chi era la signora che aveva scambiato con Fursty quel tal segno d’intelligenza? E supposto che essa fosse una complice, quale interesse vi aveva nell’assassinio?
Non basta ancora: il problema si complica. Perchè si voleva far sembrare il signor Galboon autore dell’assassinio?
Il signor Fursty aveva dichiarato di non conoscere il signor Galboon. Ma noi sappiamo qual conto si deve fare delle parole del banchiere.
Come voi vedete, l’equazione cresceva di parecchie incognite, ma io non disperavo di risolverla.
Giunto a New-York ripresi la mia figura e mi recai immediatamente al numero 144 della George Street, nella palazzina ove avevo veduto entrare il signor Fursty pochi momenti prima della partenza per Delgate. La pelliccia d’ermellino era stata una buona guida, perché sulla vetrata della porta d’entrata erano precisamente incise le iniziali S. T. Dunque la signora che aveva dimenticato in treno la pelliccia era la proprietaria della palazzina.
Uno dei miei più accurati studi è sempre stato quello di saper interrogare le persone di servizio ed i portinai. A tutta prima, interrogare una serva può sembrare una cosa facilissima: per molti la fatica maggiore consiste nel trarre di tasca mezzo dollaro e metterlo in mano al servo. Nulla di più ingenuo: le confidenze pagate sono quasi sempre false ed inventate lì per lì per intascare il mezzo dollaro. Il mio sistema di indagini presso le persone di servizio è affatto differente. Io non pago mai un’informazione in contanti, ma in amor proprio, che è una moneta di maggior valore. Dal dialogo che io vi ripeto, avuto col custode della palazzina, voi potrete farvi un’idea sufficiente del mio sistema d’interrogazione.
Il custode era un uomo sui cinquant’anni, completamente raso e con certi occhietti furbi e scrutatori, che davano poco affidamento sulla facilità di farlo cantare.
Appena mi vide, il custode fece un piccolo atto di sorpresa. Da questo piccolo atto compresi che egli mi aveva riconosciuto.
Come voi sapete, in quel tempo la mia figura era popolare: tutti i giornali illustrati l’avevano riprodotta. Però io finsi di non accorgermi che il custode mi aveva riconosciuto.
— Buon giorno, non si potrebbe parlare colla proprietaria della palazzina? So che la signora desidera venderla, ed io essendo nuovo di New-York
Il custode fece gli occhi più furbi di quel che apparivano e disse:
— Sia, voi siete nuovo di New-York. Dunque, signor Cutt-Hardy, voi volete acquistare questa palazzina?
— Come? Mi conoscete?
— Perdiana, se vi conosco! E vi ammiro anche! Voi siete l’uomo più furbo di New-York!
Il custode era lì per soggiungere: «dopo di me», ma si accontentò di guardarmi con un sorriso.
— Vi ringrazio della vostra ammirazione. Vedo subito che con voi è inutile ricorrere ai miei soliti sistemi e vi espongo chiaro e netto il mio scopo.
— Diamine, signor Cutt-Hardy, voi incominciate ad inquietarmi.
— Non inquietatevi, io ho bisogno di voi: vedo che non siete uno stupido e vi parlo chiaro. La polizia sospetta che in questa palazzina esista una fabbrica di monete false.
— Ta-ta-ta! – disse il custode ridendo. – Nientemeno che una fabbrica di monete false! Signor Cutt-Hardy, voi mi avete lusingato dicendomi che non ero uno stupido, ma a quanto pare voi mi prendete addirittura per un idiota. Voi sapete meglio di me che la vostra supposizione è assurda e che la signora Town non ha bisogno di batter moneta falsa.
— Questo lo so perfettamente, caro amico – dissi battendogli sulla spalla famigliarmente – so che la signora Town è ricchissima, ma so anche che la palazzina è frequentata da persone che non sono ricche e che desiderano molto di esserlo.
— Fareste meglio, signor Cutt-Hardy, a domandarmi chiaramente spiegazioni sulle persone che frequentano questa casa – disse diplomaticamente il custode.
— Ebbene sia; siate il mio collaboratore e ditemi che ne pensate del banchiere Fursty.
— Tutto il bene che si può dire d’una persona che dà un dollaro di mancia – disse ridendo il pipelet.
Evidentemente il custode aveva una voglia matta di parlare con me per la vanagloria di farsi mio collaboratore, ma io avevo subito capito ch’egli era ben lontano dal sospettare che le sue parole potessero in certo qual modo compromettere la sua padrona, se no non avrebbe parlato.
— Perchè ridete?
— Perchè il signor Fursty ha delle idee molte graziose e carine sulla mia signora.
— Vi confesso che avrete in eterno la mia riconoscenza se mi esporrete qualcuna di queste graziose idee del signor Fursty sulla signora Town.
— Volentieri, tanto più che per quanto grande sia la vostra abilità, voi non caverete nulla da essa, a meno che il signor Fursty sia oramai così cotto da commettere qualche delitto.
Ed il pipelet rideva di cuore.
— Il signor Fursty è innamorato pazzamente della signora Town, ed ogni dollaro che egli mi regala avrebbe per iscopo la trasmissione d’un biglietto d’amore. Ma la signora se la ride di cuore.
— Oh! se la ride di cuore? Povero signor Fursty: è dunque un amore non corrisposto?
— Senza dubbio, la mia signora non perde il suo tempo con un uomo ammogliato.
— È vero, mi dimenticavo che Fursty è ammogliato… Bene: sono molto contento di queste informazioni, ma esse non mi servono a nulla. Sapevo che Fursty frequentava questa casa, e siccome i suoi clienti temono da un momento all’altro un crack bancario, così…
— L’ho udito dire anch’io dalla signora che gli affari del signor Fursty non camminano troppo bene…
— Peggio per lui… Vi ringrazio. Non potreste annunziarmi alla signora?
— Alla signora? Ben volentieri, ma credo che per tutto il giorno la signora non riceva.
— È ammalata?
— Ha i nervi. E ritornata ieri sera molto irritata. E chi ne ha guadagnato è stato il signor Fursty, che è stato rimandato via come un cane.
— Oh bella! Poverino… Forse la signora ha avuto qualche contrarietà. Non è quindi un momento opportuno per farle visita. Ritornerò.
Ringraziai il custode, il quale in quel momento stava senza dubbio facendosi un brutto concetto di me! Egli aveva veduto il suo eroe da vicino, e siccome le mie domande ai suoi occhi non concludevano nulla, appena si trovò solo avrà senza dubbio esclamato: Quel Cutt-Hardy, in fondo in fondo, è una fama usurpata!…
Io ero molto lieto di questo giudizio: nulla è più ingenuo che il dare un’idea troppo precisa della nostra furberia. La più bella furberia, nel commercio di questo mondo, è quella di fare il furbo, ma in modo che la gente dica: ecco uno stupido che vuol fare il furbo, ma con me non ci riesce.
Appena lasciata la palazzina della signora Town, mi recai difilato nello studio del banchiere Fursty. Oramai ben poco mi rimaneva a sapere. Sapevo che la signora Town non corrispondeva il signor Fursty: dunque se la signora Town era complice nella tentata uccisione della signora Fursty, ciò significava che fra i due era corso un contratto, cioè che la sparizione della moglie del banchiere coincidesse colla perdita di un’altra persona. Questa persona non poteva essere che il signor Galboon, il compagno di viaggio della signora Fursty. Conseguenza logica ed immediata: la signora Town voleva perdere il sig. Galboon.
Mi rimaneva quindi di rintracciare il signor Galboon e trovare in quali rapporti si trovasse con la signora Town. La cosa non era difficile, perché il signor Galboon era conoscente della signora Fursty. Ma poichè io sono fautore della teoria del minimo sforzo, cioè cerco sempre di ottenere un egual risultato colla più piccola spesa di energia, così pensai di affrontare direttamente il banchiere Fursty.
Mi recai a casa sua: mi feci annunziare, mi presentai e gli dissi a bruciapelo:
— Signor Fursty, voi avete giuocato con modi audaci e vi ringrazio. Senza la vostra astuzia io non saprei che voi avete tentato di uccidere vostra moglie.
Il signor Fursty si alzò sulla sedia, pallido come un morto, mi fissò con due occhi terribili d’ira e la sua mano corse istintivamente alla giubba.
— Voi siete provvisto di rivoltella – dissi con calma. – Potete uccidermi se credete, ma in questo modo voi non risolvereste nulla. Vostra moglie è al sicuro, per ora. Invece di uccidermi, fareste meglio ad aiutarmi a sciogliere completamente il problema.
Fursty tremava in tutta la persona e non aveva forza di rispondermi.
— Uscite – balbettò al fine. – Io non voglio parlare: ho giurato di non parlare e non parlerò. Lasciatemi quest’ultima onestà. Dopo… tutto sarà finito!
— Avete ragione: un giuramento anche fatto da un delinquente, è sacro.
Ed uscii.
Appena fui sul pianerottolo, udii un colpo di rivoltella. Ritornai indietro: il banchiere Fursty giaceva nel suo studio col cranio fracellato.

IV.

Il colpevole aveva fatto giustizia di sè. La repentina ed irrevocabile soluzione del banchiere era senza dubbio l’unica che egli credesse possibile. Per quanto ben provvisto di istinti criminali, Fursty non avrebbe osato comparire dinanzi agli occhi di sua moglie, contro la vita della quale egli aveva ordito l’infernale complotto. Il piano non essendo riuscito, il banchiere si sopprimeva.
Il colpo di rivoltella fece accorrere i domestici ed in un baleno la casa del banchiere fu piena di gente. Il suicidio di Fursty meravigliava assai, benchè alcuni avessero già sospettata la sua cattiva situazione finanziaria, con cui essi spiegavano l’atto irreparabile.
Io stesso telegrafai al signor Sooner, suocero del banchiere, avvisandolo della triste fine del suo genero. La mia gita a Delgate, per informarmi della personalità del signor Galboon, il compagno di viaggio della signora Fursty, si rendeva quindi inutile.
Poche ore dopo la moglie del suicida sarebbe senza dubbio ritornata a New-York.
Così fu infatti.
La famiglia della signora non si mostrò eccessivamente addolorata della miserabile fine di quell’uomo che, con una così sottile perfidia, aveva meditato l’orribile assassinio. Io credo anzi che tutti convenissero tacitamente esser quella la migliore soluzione.
La signora Fursty era in uno stato compassionevole. Le fu proibito di vedere il cadavere del marito, fu condotta in casa di una zia. Ivi io mi recai a farle una visita. L’accasciamento della signora era tale che io avevo già pensato di rimandare ad altro momento le mie interrogazioni; ma la voce del mio dovere (ed anche, lo confesso, la mia curiosità) mi consigliò a fare alla signora Fursty alcune domande sul signor Galboon. lo volevo ad ogni costo scoprire tutte le trame e conoscere perchè si era tentato di perdere due persone.
Non mi fu difficile sapere che il sig. Galboon era un ricchissimo possidente di Delgate, che aveva una palazzina a New-York, e che conduceva una vita piuttosto errabonda. Egli era un vecchio amico della famiglia Sooner.
Dopo avere consigliato la signora a non lasciarsi abbattere da quegli improvvisi avvenimenti, io mi recai difilato a Delgate, ove seppi trovarsi presentemente il signor Galboon.
Fui ricevuto gentilissimamente. La voce del suicidio di Fursty aveva già colpito le sue orecchie.
— Signor Cutt-Hardy – disse – in tutto questo guazzabuglio di avvenimenti io non capisco nulla: perchè si è tentato di uccidere quell’angelo di donna che è la signora Fursty e perchè, secondo voi, si è voluto assassinare anche me?
— Ve lo spiego subito, signor Galboon: è una cosa semplicissima. Fursty voleva disfarsi di sua moglie per sposare un’altra donna: quest’altra donna, per un motivo che non conosco, ma che voi mi aiuterete a scoprire, aveva imposto a Fursty, come patto del matrimonio, la vostra rovina.
— Mi si voleva uccidere?!
— No. Vi si voleva perdere in un modo molto più raffinato: facendovi vittima delle apparenze. Solo, nello scompartimento della signora, dopo l’assassinio, chi mai poteva essere per la giustizia il colpevole? Voi, non altri che voi, ed il più curioso si è che io avrei dovuto essere il vostro accusatore principale. Con un’astuzia assai complicata, ma logica, Fursty m’aveva indotto a fare con lui un viaggio di sorveglianza. Egli fingeva di credere che voi foste l’amante di sua moglie e mi fece abilmente constatare il vostro viaggio…
— Ma fu un puro caso, ve lo giuro! quell’incontro.
— Nessuno più di me lo sa; ma intanto, se io non tenevo bene gli occhi aperti, tutte le apparenze gravavano su di voi.
— Ma perché mi si voleva perdere? Io non ho mai fatto del male a nessuno e non so quali motivi di vendetta si avessero contro di me.
— E sono appunto questi motivi di vendetta che io sono venuto a scoprire. Non vi sarà difficile aiutarmi. Quando io vi avrò detto il nome della donna che avrebbe potuto essere l’artefice della rovina, senza dubbio voi comprenderete tutto.
— Parlate, signor Cutt-Hardy. La mia riconoscenza verso di voi è senza limiti. Non solo io vi sono riconoscente per me, ma anche per la signora Fursty, la cui bontà da lungo tempo apprezzo. Ditemi pure il nome di quella donna…
Ma non fu necessario che quel nome lo pronunziassi io. Esso balenò nella mente del signor Galboon.
— Non è possibile… non può esser lei… Non la credo capace di giungere a tal punto…
— Voi alludete alla signora Town? – dissi.
— Senza dubbio… L’unica donna che possa avere un qualche rancore con me e che abbia accennato a qualche vago proposito di vendetta, è la signora Town.
— Ed è precisamente lei che ha tentato di perdervi.
— Dopo cinque anni! È mai possibile che una donna possa giungere fino a tal punto?!
— Certe donne sono capaci di ogni più raffinata vendetta. Vi fu dunque un piccolo romanzo?
— Oh! Molto piccolo da parte mia! Sentite, è una storia brevissima. Conobbi la signora Town ad un ricevimento. Ella era allora nello splendore della sua bellezza: ricca, corteggiata, libera. Ebbe la disgrazia di innamorarsi di me; dico disgrazia perchè io non potevo assolutamente corrisponderle, essendo il mio cuore completamente preso da un’altra. Recisamente, come è mia abitudine, alla prima civetteria ch’ella mi fece, io lo dichiarai. Vi confesso inoltre che la signora Town non mi piaceva affatto: sentivo che nell’animo di quella donna si celava qualcosa di cattivo e di subdolo. E non solo essa mi era antipatica, ma avevo anche per lei qualche avversione. Io ebbi il torto di comunicare, senza annettervi alcuna importanza, queste mie idee ad un comune conoscente, il quale, come seppi, era innamorato dalla signora Town. Costui ebbe l’impudenza o la malignità di far comprendere quanto mi era sfuggito alla signora Town.
— Di qui il proposito di vendetta.
— Da quel momento io più non vidi la signora Town, ma seppi che ogni qualvolta si pronunziava in sua presenza il mio nome, essa impallidiva ed aveva negli occhi un baleno d’odio. Ma io non annettevo alcuna importanza a ciò e credevo che, dopo cinque anni, essa mi avesse dimenticato.
— Come vedete, essa vi ricordava troppo. Aveva atteso cinque anni l’occasione favorevole: e questa si è presentata.
— Grazie a voi, il suo fiasco fu completo. Ma non avrà verso di me che un maggior odio.
— Ho saputo quel che volevo sapere. Vi ringrazio delle vostre informazioni.
— Sono io che vi ringrazio: senza di voi io sarei forse in questo momento sotto l’accusa di assassinio.
— Come vedete, il complotto fu abile, anzi, troppo abile! Vi saluto, e mi reco dalla signora Town a darle una lezioncina di morale.
— Avete intenzione di farla arrestare?
— Certo ella se lo meriterebbe, e sarebbe anche un po’ il mio dovere, ma debbo ancora scoprire un complice: quello che, secondo il piano di battaglia, doveva essere il braccio operatore.
Salutai il signor Galboon, consigliandogli a mai più esprimere le sue avversioni verso una donna, e mi recai difilato dalla signora Town.
Il mio amico custode, appena mi vide, mi disse:
— Voi volete che vi annunzi alla signora? Ma credo che siate capitato in un momento troppo cattivo.
— Perchè, amico mio?
— Perchè la signora sta facendo preparare le sue valigie.
— Forse il medico le ha consigliato di cambiare aria? – domandai.
— Credo… ma la risoluzione deve essere una conseguenza della brutta impressione che le ha prodotto la notizia del suicidio del banchiere.
— Ah sì? Era molto addolorata?
— Si capisce: egli si è ammazzato per lei, e ciò nell’animo di una donna fa sempre una certa impressione.
— Vi prego di annunziarmi, ma non col mio nome.
— Ho capito… Voi siete qui per scoprire qualche cosa!
— Vi sbagliate… Io sono qui semplicemente per pregarvi di annunziare alla signora il signor Chadny, agente di cambio.
Il custode strizzò gli occhi, come per farmi intendere che aveva tutto compreso. Ma in realtà, come ben potete immaginare, egli non aveva compreso nulla. Tuttavia si recò ad annunziare l’agente di cambio Chadny.
Poco dopo ritornò, dicendo:
— La signora dice di passare avanti.
Evidentemente, questa mia qualità le aveva lasciato sperare che io le portassi qualche comunicazione del banchiere, fattami prima del triste passo.
Entrai nel salotto e fui in presenza di una signora elegantissima, con due grandi occhi neri e scrutatori.
— Scusate, signora, se vi disturbo: ma mi spiccerò in poche parole. Quel povero signor Fursty, prima di uccidersi, mi ha incaricato di darvi un consiglio.
La signora mi guardò attonita. Io proseguii:
— Questo consiglio vi dimostrerà tutto il grande amore che quel povero Fursty vi portava.
— Parlate… Che volete dirmi?
— Il consiglio che, per mezzo mio, vi porge il povero suicida, è il seguente, ed io lo appoggio con tutta la forza dell’animo mio: «L’aria di New-York non fa per voi. Fate un viaggio fuori dello Stato… e non dimenticate più in nessun treno delle pericolose pelliccie d’Ermellino». Se a mezzogiorno voi non siete partita io sarò costretto a denunziarvi, signora Town. Cutt-Hardy vi porge i suoi rispettosi ossequii.
M’inchinai profondamente ed uscii.
A mezzogiorno la signora Town non abitava più nella palazzina di New-York.
— Come vedete, miei buoni amici, questa avventura ha costato una vittima; ma nessuno l’ha rimpianta.
— E la signora Fursty? – domandammo.
— La signora Fursty, dopo due anni sposò il signor Galboon. Il pericolo comune che avevano corso fece nascere tra di loro una viva simpatia che si cambiò presto in amore.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: La pelliccia d’Ermellino
AUTORE: Bertinetti, Giovanni [Herbert Bennet]

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Il rivale di Sherlock-Holmes / di Herbert Bennet. - Torino : S. Lattes e C., 1907. - 163 p. ; 19 cm.

SOGGETTO: FIC022050 FICTION / Mistero e Investigativo / Brevi Racconti