Lo spettacolo e l’incontro col pubblico di Nicola Lagioia e VicoQuartoMazzini
“Nulla di ciò che è umano non ci riguarda. Persino davanti al personaggio più malvagio, che si tratti di teatro o di narrativa, non si danno giudizi, ma si rappresenta. La difficoltà del pubblico sta nell’accettare che il personaggio racconti qualcosa che appartiene anche a noi, che in quanto specie, tendiamo per nostra natura alla ferocia”. Sono le parole emerse dall’incontro con Nicola Lagioia, autore del pluripremiato romanzo intitolato, appunto, La ferocia, pubblicato nel 2014 per Einaudi, intervistato dalla giornalista Federica Ferruzzi insieme alla compagnia teatrale barese VicoQuartoMazzini, il giorno dopo lo spettacolo al Teatro Alighieri il 14 marzo.
Non si parla mai di riadattamento o riduzione drammaturgica, nel corso dell’incontro, proprio perché Lagioia afferma di essersi trovato, con Linda Dalisi, che ha operato sul testo, e coi registi-attori Michele Alatamura e Gabriele Paolocà, di fronte ad una “espansione” del suo testo. “Lo hanno fatto diventare qualcosa di ancora più ampio. La cosa bella delle arti è proprio questo, di essere irriducibili le une alle altre. Non c’è un adattamento, una traslazione. Nel passaggio dal testo narrativo a quello drammaturgico c’è un atto di creazione vero e proprio e ho avuto la stessa sensazione di fronte alla messa in scena con la percezione di trovarmi ancora di fronte a qualcosa di nuovo”.
La ferocia racconta la tragedia: della famiglia, della società, dell’ambiente, del Sud che diventa parabola di un intero sistema giunto al capolinea, ormai talmente diffuso e innervato nel tessuto economico e sociale da poter essere preso come paradigma per leggere la decadenza dell’Occidente post industriale.
Ma qual’ è stato il punto di partenza per Altamura e Paolocà, nell’affrontare un testo così ampio e complesso e trarne la materia drammaturgica? “Abbiamo intuito subito, quando lo abbiamo letto, nel 2015, che era un testo pregno di teatro – racconta Paolocà – quindi abbiamo contattato Lagioia non appena abbiamo avuto l’occasione, per proporgli di portare in scena il suo romanzo. Dopo qualche titubanza iniziale ha acconsentito”. In particolare, come racconta Altamura “volevamo utilizzare quella tipologia di personaggi che vediamo ogni giorno, responsabili del deturpamento ambientale. Dalla ferocia agita su un territorio siamo arrivati a parlare di una tragedia contemporanea”.
Una tragedia che non poteva non avere il suo perno nella famiglia patriarcale, intesa, come spiega Paolocà, quale elemento fondativo della società italiana che rimanda direttamente a Romolo e Remo e che si lega inestricabilmente anche questa, al tema della ferocia. La saga familiare dei Salvemini, infatti, è imperniata, oltre che su avidità e corruzione, anche sul machismo bieco e sulla violenza che non risparmia neppure la madre, vittima a sua volta del marito fedifrago e carnefice della figlia ormai morta alla quale rivolge, durante il funerale, un sordido elenco di offese.
Ma è proprio Clara, la figlia morta suicida, a fare da contraltare, con la sua presenza-assenza: il suo corpo non compare mai, infatti, ma a lei tutti i personaggi si rapportano raccontandola, ricordandola, interrogandola.
La sua assenza, racconta ancora Paolocà, è la chiave di lettura dello spettacolo: “Una nostra scelta che abbiamo intuito efficace, che permette una contrapposizione alla ferocia dei personaggi rimasti vivi, mentre lei, morta, è in un altrove. È vero tuttavia che portare ogni sera questo spettacolo significa celebrare ogni sera una sorta di messa funebre ed è impegnativo”.
I personaggi maschili di Vittorio Salvemini (Leonardo Capuano, premio Ubu per la sua interpretazione insieme a Francesca Mazza nel ruolo della madre) e di Alberto (Andrea Volpetti), marito di Clara, sono speculari. L’uno agisce in modo palesemente prevaricatore dimostrando di essere disposto a passare sopra il cadavere della figlia piuttosto che perdere il suo patrimonio. Al punto che si adopera per insabbiare in fretta le indagini sulla sua morte, rivolgendosi a un patologo corrotto e cocainomane (Enrico Casale) che tuttavia la riconosce come protagonista di giochi erotici estremi insieme a facoltosi uomini politici. Il marito, apparentemente debole e dimesso, agisce a sua volta in modo prevaricatore attraverso il controllo, continuando a fare affari con gli uomini che andavano a letto con la moglie.
Non tutti i personaggi maschili, però sono negativi: il ritorno del fratellastro Michele (Michele Alatamura), emarginato per via della sua fragilità psichica, che grazie all’aiuto del giornalista investigativo Danilo Sinisgardi (Gaetano Colella), decide di affossare l’impresa di famiglia, riscatta in parte il quadro desolante dei personaggi in scena.
Eppure Lagioia, come si scriveva all’inizio, e come lo stesso Capuano afferma durante l’intervista, sono personaggi ancora umani, consapevoli del male che compiono e non anaffettivi o senza speranza come forse la maggior parte del pubblico li vorrebbe percepire. Perché a dire il vero, il pubblico stesso, di fronte allo spettacolo, ha dichiarato Lagioia, si è mostrato ambivalente. “Qualcuno ha detto che è inaccettabile il modo in cui viene rappresentata la donna, mentre qualcun altro, quando in scena ha sentito la battuta di uno degli uomini che commentavano le performance sessuali di Clara, è scoppiato a ridere. Ecco, l’arte deve mostrare questo tipo di platea”.
E ancora: “Non è possibile attribuire all’artista la responsabilità politica di ciò che rappresenta, perché solo di rappresentazione si tratta. Mentre sarebbe dal politico che questa responsabilità si dovrebbe esigere, cosa che sembra ormai venir meno, come si evince dalla situazione attuale in cui la legge del più forte, l’arroganza ostentata, sembra ormai sdoganata e accettata anche sul piano politico”. Eppure il cammino della civiltà è stato un lungo tentativo di affrancamento dallo stato di natura e da quell’istinto di prevaricazione così connaturato all’uomo” conclude lo scrittore che con il suo romanzo edito ormai più di 10 anni fa, ha certamente intuito in anticipo molto di ciò che sta accadendo oggi.
a cura di Anna Cavallo
Cover: Una scena dello spettacolo – Photocredit Francesco Capitani