La commissione
di
Luigi Capuana
tempo di lettura: 8 minuti
Ogni volta che in casa del commendator Scalandri si riuniva la Commissione, i bambini venivano relegati in uno stanzone in fondo al corridoio, e per loro era una festa.
Che cosa fosse la Commissione non erano mai riusciti a saperlo.
In certi giorni della settimana, vedevano arrivare a uno, a due, una diecina di signori in tuba, quasi tutti di età matura, che si salutavano gravemente tra loro dandosi del cavaliere, del commendatore ed anche dell’onorevole, e che – ragionato un pochino in salotto con la signora Scalandri e con la signora Margherita, sua sorella maggiore – andavano poi a rinchiudersi col babbo in una sala preparata apposta per bisticciarvisi, dicevano i bambini che udivano fin da laggiù il rumore confuso delle lunghe e vivaci discussioni.
Più volte ora l’uno ora l’altro, aveva domandato al babbo, alla mamma, alla zia, perchè quei signori della Commissione si riunivano là dentro e che cosa voleva dire Commissione; ma babbo, mamma e zia avevano sempre risposto:
— Quando sarete grandi lo saprete.
Perciò la parola Commissione aveva preso nella mente di quei bambini un significato misterioso, che stuzzicava la loro curiosità ed eccitava la loro fantasia.
E siccome parecchie volte erano stati sorpresi a origliare dietro l’uscio della sala; e una volta, spingendosi e urtandosi per udir meglio, avevano fatto spalancare l’uscio mal chiuso, e uno o due di loro erano ruzzolati sul pavimento disturbando quei signori nel meglio d’una discussione; così ora, per prevenire qualunque monelleria, a ogni seduta della Commissione, la mamma li menava nello stanzone in fondo al corridoio, e raccomandato di non far troppo chiasso, ve li chiudeva a chiave insieme coi bambini loro amici, quando ve n’era qualcuno.
Un giorno, dagli Scalandri erano venuti i bambini Colocci, tre demonietti scatenati. Essendo appunto giorno di Commissione, a una cert’ora la signora Scalandri disse loro:
— Su, bambini, venite con me.
E li condusse nel solito stanzone.
— Giuocate qui, ma senza troppo chiasso.
Fatta questa raccomandazione, la signora li chiuse a chiave.
— Perchè ci chiude a chiave la tua mamma? — domandò il maggiore dei Colocci a Lello che era il maggiore degli Scalandri.
— Perchè c’è la Commissione.
— Chi è costei?
— Certi signori che non vogliono far sentire dl che stanno a discorrere e si bisticciano sempre. Che c’importa di loro? Giuochiamo.
— No, non voglio star chiuso a chiave; voglio andarmene!
Aldo Colocci, subitamente imbroncito, si era addossato all’uscio, e, puntando i piedi, tentava di spingerlo e farlo aprire.
Gli altri bambini lo guardavano costernati.
— Hai paura? — gli domandò Lello.
— Ma che paura! Non mi garba stare in carcere.
— E noi ci divertiamo tanto! Possiamo fare quel che ci piace. Non picchiare; finchè c’è la Commissione, dobbiamo star qui.
Aldo cominciò ad aggirarsi per la stanza, mordendosi le labbra, irrequieto, fermandosi davanti agli altri usci, domandando:
— Da qui dove si entra?
— Nel salotto della zia Margherita.
— Da quest’altr’uscio?
— In camera di Cristina, la serva.
— E dalla camera di Cristina?
— In camera nostra, dove dormiamo io e Carlo; non lo sai?
— Sfondiamo quest’uscio! — disse Aldo con gesto risoluto.
Ai bambini Scalandri tale proposta parve una enormità.
— Oh, no! Che dirà la mamma? — esclamarono in coro.
— A me non dirà nulla; non sono suo figliolo.
Dalla stizza, aveva le lacrime nella voce. Parve raccogliersi per meditare un espediente, poi tutto a un tratto si rovesciò contro l’uscio, che si aperse a metà, stridendo; un altro urto, e fu spalancato.
— Dove vai?
— Me ne vado. Venite via anche voi! — soggiunse imperiosamente rivolto ai suoi fratellini.
E vedendo che nessuno si moveva, fece una alzata di spalla, e s’avviò solo.
— Aldo ci vuol procurare una buona sgridata! — disse Carlo.
— Aldo! Aldo! — chiamò sottovoce uno dei fratellini, vedendo la mossa afflitta di Carlo.
S’erano radunati tutti insieme su la soglia dell’uscio spalancato, e guardavano, tra timidi e curiosi, sperando anche di vedere Aldo acquattato in un angolo per far loro una burla. Ma l’altro uscio, lasciato socchiuso, rivelava che egli era già passato oltre. Lello pestava i piedi, quasi stesse commettendo lui quella disobbedienza agli ordini della mamma; quando ecco un lieve urto d’uno dei bambini rimasti più indietro, che lo spinge dentro la camera; ed ecco tutti gli altri appresso a lui. Lello, tentato, fece due o tre passi, e andò a spiare dall’uscio socchiuso. Alcuni minuti dopo nessuno di loro avrebbe saputo dire in che modo si fossero trovati nell’altra stanza. L’audacia dell’esempio di Aldo li aveva tentati, esaltati, e in tutti era già vivissima la curiosità di sapere in che modo egli se l’era cavata, giacchè per andar via doveva passare proprio dalla stanza dove stava radunata la Commissione.
Altri pochi minuti dopo, neppure i quattro bambini Scalandri pensavano più agli ordini della mamma; s’erano consultati con un’occhiata, con un cenno, con un sorriso d’invito, e zitti zitti, in punta di piedi, tenendosi per mano, quasi tentassero proprio un’evasione, avevano seguito i passi d’Aldo di stanza in stanza.
Di mano in mano che essi s’accostavano, il rumore della discussione di quei signori di là diventava più forte; nella confusione si distinguevano le diverse voci, quale roca, quale stridula, quale irosa, quale ironica; ma spesso tutte insieme formavano un vocìo, accompagnato da pugni sul tavolino, da scampanellìi prolungati e dal grido: Signori! Ma, signori!
— Questo è il babbo! — esclamò Lello fermandosi, quasi il babbo avesse gridato per loro.
Tra la stanza della Commissione e quella dove i bambini si trovavano in quel punto, c’era di mezzo soltanto un salotto; e il battente rimasto aperto lasciava vedere Aldo che, appoggiate le mani all’uscio, rizzato su la punta dei piedi, guardava dal buco della serratura.
Irruppero, attratti da forza irresistibile; e nello stesso istante, come se la loro entrata fosse servita di segnale, irruppe nella sala della Commissione un tumulto straordinario di voci, di scampanellate, di strepito di seggiole smosse, di passi confusi, di usci sbatacchiati, insomma di persone che scappavano via e che pareva s’inseguissero, quantunque la voce del commendator Scalandri tentasse trattenerle, gridando a squarciagola: Signori! Ma, signori!
Poi non s’intese più niente. I bambini erano rimasti lì atterriti, specie gli Scalandri; avevano dipinta in viso la paura che non fosse accaduto qualcosa di male al loro babbo.
Aldo, che non s’era accorto della loro presenza, si voltò tutt’a un tratto e appena li vide esclamò:
— Buffi quei signori! Sono andati via leticando; c’è mancato poco non facessero a pugni.
Nessuno fiatò. Il silenzio succeduto al tumulto li aveva sbalorditi. Ma Aldo, che s’era messo di buon umore, s’avvide di un tavolino apparecchiato in un angolo, e l’additò spalancando gli occhi.
Il tavolo era ingombro di piatti ricolmi di paste, di vassoi con biscottini e dolci d’ogni sorta, di vassoi con bicchieri e bicchierini, dì bottiglie di marsala, di bottiglie di rosolio belle e stappate, di vassoi con sigari e sigarette.
Tutti. si accostarono meravigliati; neppure i bambini Scalandri sapevano niente di quell’apparato di tante belle cose mangiabili e bevibili, e guardavano, ammiravano, con l’acquolina in bocca, senza che nessuno osasse stendere la mano.
Ma quel demonietto d’Aldo non faceva mai le cose a mezzo.
— Tutto questo è per noi, ora che quei signori se ne sono andati!
E presa con due dita una pasta di cioccolata, l’addentò, esclamando subito:
— Buona!
Gli altri esitarono un momentino; poi, come travolti a un tratto dall’esempio di lui, si precipitarono sui diversi piatti, soffocando gli scoppi di risa provocati dallo strano caso, mangiando, anzi divorando a gara paste e dolci, saltando dall’allegria, reprimendo in gola, con paste su paste, i gridi di gioia che avrebbero voluto sprigionarsi dai loro cuoricini riboccanti di felicità in faccia a tanta abbondanza di cose ghiotte. Si spingevano, si urtavano, si contendevano la presa di questo o quel dolce, di questa o quella pasta, quasi tutta quella grazia di Dio fosse stata raccolta lì unicamente per loro.
Poi Aldo, che brillava dalla contentezza per la riuscita della sua impresa, afferrò pel collo una bottiglia di marsala, riempì solennemente sette bicchieri, quanti erano loro; e levato in alto il suo, disse:
— Alla salute della Commissione!
E lo bevve d’un fiato, strizzando gli occhi con una smorfia.
Trincarono tutti, senza badare a quel che facevano, inebriati anticipatamente dell’avventura, immemori del babbo, della mamma, della zia, incoraggiati dal gran silenzio attorno che faceva parere disabitata la casa, quasi, babbo, mamma, zia e persone di servizio fossero corsi dietro quei della Commissione per attrapparli.
E bevvero e ribevvero, e tornarono all’assalto delle paste e dei dolci. Ormai non si sapevano più frenare; e dopo il marsala, venne la volta del rosolio. Tutti erano accesi in viso, con gli occhi luccicanti; e già parlavano ad alta voce, già ridevano chiassosamente, quando Aldo, preso il vassoio con le sigarette, si mise ad offrirle attorno dicendo:
— Vogliono fumare?
Per sè prese un sigaro e l’accese, e porse il fuoco agli altri, che cominciarono a tossire dopo poche boccate di fumo.
Poi fece un gesto per imporre silenzio, s’accostò all’uscio, girò il pomo, e spinto indietro il battente gridò:
— Signori della Commissione, passino, passino!
Si precipitarono attorno al tavolino, insediandosi tumultuosamente, contendendosi il campanello, brancicando i fogli, brandendo le penne, urlando, schiamazzando, come avevano udito urlare e schiamazzare, mentre Aldo gridava: — Ma, signori! signori! — scampanellando da ossesso.
E proprio ossessi parvero alla signora Scalandri, alla zia e al commendatore accorsi subito alle grida:
— Bambini, bambini! Che è mai! Zitti! Cheti!
Si, zitti! cheti! Le carte volavano per aria, il calamaio veniva rovesciato sul tappeto, il campanello, staccatosi dal manico, andava a cascare sul pavimento.
Alle macchie di crema e di rosolio che si scorgevano sui vestiti di tutti, la signora Scalandri, capì quel che era avvenuto e corse ad accertarsene. Tornò subito ridendo, e anche un po’ spaventata del male che l’orgia di paste, di marsala e di rosolio e di sigarette poteva produrre ai bambini.
— Hanno bevuto il marsala! Sono ubriachi! Hanno mangiato dolci e paste! Dio che indigestione! Hanno anche fumato!
E il commendatore, che era ancora furibondo per la scena di quei signori della Commissione, e voleva scapaccionare i monelli, scoppiò in una gran risata esclamando:
— Tutte a un modo le Commissioni! Maledetto chi l’ha inventate!
I bambini però pagarono cara la loro disobbedienza; dovettero stare otto giorni a letto, e invece di dolci e marsala, ingoiare disgustose medicine.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: La commissione
AUTORE: Capuana, Luigi
DIRITTI D'AUTORE: no
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TRATTO DA: Il drago e Cinque altre novelle pei
fanciulli / Luigi Capuana. - 2. ed. - Torino : G. B.
Paravia, 1907. - 95 p. ; 20 cm.
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)