Il paradosso della politica progressista tra promesse disattese e ambizioni surreali
Nel clima surreale e parossistico della chiusura della Festa dell’Unità dell’8 settembre 2024, il Partito Democratico e la sua leader Elly Schlein si trovano a navigare tra promesse ambiziose e realtà contraddittorie, in uno scenario che ricorda, per certi versi, il disorientamento e la frammentazione evocati da Marcello Veneziani nel suo editoriale “L’8 settembre” pubblicato su Il Tempo il 7 settembre 2017. Veneziani descriveva quell’8 settembre del 1943 come il simbolo della perdita di un’identità nazionale, dell’egoismo individualista e del tradimento delle responsabilità collettive: “Resta lo spaesamento, anche nel senso etimologico di perdita del Paese. Resta la desolazione, anche nel senso di perdita del suolo. Resta la fine dello Stato, alibi sontuoso per il sisalvichipuò dell’egoismo e del familismo” (Il Tempo, 7 settembre 2017).
L’analogia con la situazione odierna del PD non è solo un esercizio di stile ma una lente attraverso cui leggere la parabola di Schlein e delle sue recenti dichiarazioni alla Festa dell’Unità. La leader ha sottolineato la necessità di creare “una piattaforma condivisa per governare” e di stringere “una alleanza con chi non vota”. Tuttavia, l’appello all’unità e alla costruzione di un’alternativa sociale, per quanto nobile, si scontra con la realtà di un partito ancora diviso e incerto sulle sue reali capacità di incarnare il cambiamento.
Così come l’Italia dell’8 settembre ’43 si frantumò in molteplici fazioni incapaci di riconciliarsi, il PD sembra replicare una frammentazione interna che mina la sua coesione e credibilità. Schlein si trova a dover comporre un mosaico complesso di istanze e visioni, che però rischia di apparire come una serie di promesse vuote e di slogan senza sostanza. Come evidenziato da Veneziani, “Il senso civico fu sostituito dal senso cinico, e lo Stato dai Partiti, la fede dall’ideologia” – un parallelismo che mette in luce l’assenza di un progetto realmente condiviso e coerente che possa sfidare il governo attuale con una proposta di governo concreta e solida.
Le contraddizioni si manifestano chiaramente quando Schlein parla di un partito “più unito che mai” mentre evita di affrontare con decisione le critiche interne e le domande sul possibile ritorno di figure come Matteo Renzi. L’incapacità di superare i rancori del passato e di creare un fronte realmente coeso si configura come una riedizione di quell’“Italia divisa in quattro” evocata da Veneziani. In questa prospettiva, l’8 settembre di Schlein non rappresenta solo un momento di celebrazione politica, ma il simbolo di una leadership in cerca di un’identità chiara e di una direzione che ancora sfugge.