Flavio Ermini, Il Matrimonio del Cielo con la Terra (materiali per un atlante), Edizioni d’arte Félix Fénéon, Ruvo di Puglia (BA) 2010, € 30,00 – ISBN: 9788863670134
«La carta del mondo» di Laurent Fries abbraccia e accoglie i versi del poeta Flavio Ermini in un susseguirsi di luci ed ombre. Nascita e morte vengono a significare un universo dove la «soggettività» dell’autore si dilata nella parola poetica che costantemente cerca l’approdo ad una catarsi dell”io’ e ne tenta il dissolvimento. Il piano visivo interviene a livello dei contenuti e accresce la potenza espressiva dell’opera evidenziandone le valenze segrete e l’inesplicabile aura metafisica.
Le liriche appaiono a formare isole intorno alla terra e ne costituiscono immaginari arcipelaghi; le cartelle si aprono ad una simultaneità compenetrante spazio e tempo in una dimensione ignota, pre-esistente, aurorale, estranea all’io e verso «altro da sé». «La parola poetica richiede un esilio dall’usura, un’attenuazione della luce, un’incessante interrogazione della parola che vorrebbe coincidere con l’originario àperion, per coglierne l’inesausta potenza» (così sostiene lo stesso autore in un’intervista di qualche tempo fa).
Nell’Atlante, Gondal rimanda all’episodio di quando le sorelle Bronte ricevettero in regalo dal padre una scatola di soldatini e ne scrissero le avventure in piccolissimi fogli cuciti a formare un libro-francobollo. La pagina si snoda in forma di tessere in versi, isole anche esse, posizionate nel mare navigheranno dove le porteremo per ricrearsi altrove variando nello spazio ma non nel tempo dove sempre si rigenereranno ad un nuovo assetto. Un disordine generosamente ordinato dal poeta per essere messo a fuoco come foto armonizzate con i lettori nel desiderio di cogliere, nel matrimonio del cielo con la terra, un’osmosi di parole che come stanze si aprono a differenti percorsi: «In questo edificio, le stanze sono/ fragili involucri che celano il/ ricordo di una presenza ritenuta/ insostituibile. Pochi sono tornati dall’esilio».
«Nei tratti dove la luce sembra/ dispersa per sempre, si/ percepisce uno spazio vuoto./ Ogni zona d’ombra è un luogo/ dove si svolge una battaglia».
L’incisiva modalità del poeta che alterna ampi enjambement ad una estrema sintesi strutturale, segna il respiro della lettura e la guerra perde l’ordinarietà del suo significato per diventare paradigma dell’esilio della parola, nomade in cerca di oasi o di esili dai quali si misurano dilatate assenze popolate di pre-esistenze strappate al cielo e portate a terra o viceversa radicate nell’esilio terreno teso ad una ricerca «altra da sé».
Se, come scrive l’autore, «la verità è la direzione del/ nostro sguardo verso ciò che ci/ ha fatto essere tutto quello che/ siamo e tutto quello che siamo stati», allora, la polisemia del testo apre allo sguardo del lettore molte forme di ricerca, di ipotesi, di lettura, di empatico coinvolgimento. Ed è per questo che le liriche scritte in cartoncini e non collazionate a guisa di libro possono essere suggeritrici di differimenti, spostamenti dell’io fino a «volere ad esso meno bene» e preferire invece un viaggio nel quale nessuna meta è esclusa nell’accoglienza dell’alba sempre a noi preesistente. Karlsàr infatti che il mondo greco intendeva come «Colonne d’Ercole», viene a significare «acque dell’uomo» ed è confine labile verso un altrove di gran lunga preesistente all’uomo. «Laddove visibile e invisibile/ s’incontrano, si comincia a/ distinguere il principio che/ determina gli eventi. Questa/ esperienza della percezione/ impone un altro inizio». Ed altro inizio suggerisce il poeta proprio nella scelta de «la carta del mondo» di Laurent Fries datata 1522 entro la quale custodisce la sua anima; un’epoca che vive della centralità e della conquista dell’uomo insieme alla percezione della caducità, del proprio esistere finibile scolpito sulle tormentate superfici michelangiolesche a presagio delle tonalità scure e sofferte di Caravaggio.