Renato Marengo, Lucio Battisti: la vera storia dell’intervista esclusiva, Edizioni Coniglio, Roma 2011, pp. 176, € 14.50
«personalmente non ho mai amato partecipare a dibattiti o «funerali televisivi» di famosi personaggi scomparsi che ho conosciuto, per il solo presenzialistico gusto di dire «c’ero anch’io». Ma lì quella volta, per cinque giorni con Battisti – c’ero realmente solo io».
Così scrive Renato Marengo al quale dobbiamo questo testo dalla forte sovraesposizione emotiva che ben coniuga dialoghi e silenzi vissuti accanto al grande Battisti. La formulazione spesso scontata dell’intervista trova la strada dell’incontro e del non previsto. Il Mulino di Anzano del Parco, pur per un succedersi di fatti inaspettati, permette a Marengo di narrarci l’entrata nel «sacrario» della sala di registrazione di Mogol e Battisti e il nascere in pre-anteprima mondiale di «Anima Latina». Il mito Battisti era in silenzio totale da cinque anni ma non per rimanere nel tempo-senza tempo come la migliore tradizione avrebbe richiesto ma per una forte crisi, dis-connesione con se stesso profonda, esistenziale, artistica. «La speranza spezzata/ è la tua eredità./ fallimento di una vita/ di coraggio e viltà/ ed avrai come vanto/ una nuova condanna/ ti diranno che il vento è/ il respiro di una donna/ per far sì che un lamento, uno solo, copra ogni tormento di un velo».
La conversazione conosce «i suoni ed i rumori del Mulino» che si raggiungeva con una strada sterrata, ce lo racconta Pascoli e nel ricordo, la torta alle noci di sua moglie ed il cibo tipicamente genovese costituiscono insieme con le note un raccolto gustato di parole e battute; per questo l’intervista apparirà alla sua uscita frutto di una complicità d’amicizia della quale non si sveleranno i segreti ma comunque vissuta senza programmaticità tanto che è il tempo del suo «accadere» a diventare protagonista del testo. Il tempo trascorre non immemore ma consapevole, per Renato Marengo e le pagine del suo libro si riempiono del suono dei ricordi, ascolti, compagnie, eventi fortuiti, stima, affezione nello stile di un accadimento in fieri che fotografa le partiture del testo, dell’anima, delle anime e di «anima latina» penetrata dal silenzioso fragore del tempo che scadrà in «separazione naturale». «Se ne andrà molto presto./ Qualche frutto/ lo darà ancora […]/ Generosa talvolta com’è la natura./ Ah! Se avessi il tempo per amarti un po’ di più».
Scrive Marengo: «quell’intervista è diventata storica, sia per circostanze in cui è stata raccolta, sia perché ha testimoniato la «mutazione» artistica di Battisti proprio mentre avveniva; e anche perché io non ero un grande estimatore del genere e quindi per niente attratto da lui come personaggio […]scoop involontario ma destinato comunque a fare epoca».
Era stato Battisti a sostenere che «un musicista, se la propria musica comunica ed emoziona realmente, non ha nulla da spiegare e null’altro da aggiungere a quello che si ascolta nei suoi lp».
Quasi certamente il viaggio in Sudamerica farà invece dire all’artista: « […]quando ero tornato in Italia non sopportavo più il modo di intendere la musica e il ruolo del musicista nella nostra società […]in quella parte del mondo nessun musicista si poneva sopra ai suoi colleghi […]per loro, le canzoni erano l’unica speranza, la medicina per ogni sofferenza […]», e proprio in «Anima Latina» intense e scultoree nel loro sopravvivere con una tenacia che rasenta la più forte ostinazione al vivere, vibrano le musiche e la rincorsa di un pallone «dentro gli occhi dei bambini denutriti/ […]per finire nel grembo di grosse mamme antiche/ dalla pelle marrone». Ed anche il tentativo di «raffreddare gli elementi sonori più caldi e tipici della cultura latina con l’uso dell’elettronica» non potrà tacere della crisi di Battisti che emerge all’ascolto, nella polifonia di molteplici strumentazioni, in una voce che appare e si rarefà in alcuni momenti dando luogo ad una sorta di flamenco, ad una musica che copre la parola quasi che «essa» non fosse più in grado di definirsi.
L’intervista dell’avvincente storia dell’incontro di Marengo e Battisti è riportata integralmente alla fine del testo: «Già dalle prime parole [ […]] mi sono reso conto che Battisti scendeva dal trono fasullo della leggera per collocarsi tra i musicisti [ […]] consapevole del rischio di perdere il grosso pubblico ma anche con la certezza di dare, [ […]] ciò che rende interessante il discorso è il fatto che Battisti sia passato dal sentimentalismo, dal l’effettismo vocale ad una forma di creatività musicale in un momento di crisi di idee, di gusto e di significati».
Per chi, come me, viveva i suoi vent’anni allora, questo libro ha donato un’immersione totale nel sogno e nella crisi di quegli anni, ai giovani di oggi sarà d’invito ad una visione completa di un uomo-artista che seppe cambiare se stesso e rimettersi in gioco pur nella consapevolezza dei rischi che tale «mutazione» avrebbe comportato.