Giuseppe D’Emilio intervista Giancarlo Giaccani, autore di “La pimpinella, la gramaccia” (Edizioni l’Obliquo, 2002), raccolta di poesie gratuitamente scaricabile dalla biblioteca del “Progetto Manuzio”.
Quando hai cominciato a scrivere poesie?
Come molti, ho scritto poesie durante l’adolescenza; l’impegno politico, in seguito, mi ha frenato, ed ho ripreso a scrivere con continuità solo in età relativamente avanzata. Del resto, ho sempre coltivato la poesia come fosse un “tradimento”, uno “scarto” rispetto agli impegni quotidiani, lavorativi e non. Quella poetica, quindi, è sempre stata per me un’attività soprattutto notturna: è meglio “fare notte” che “fare giorno”, anche se la poesia ha la presunzione di “fare giorno”, di gettare un fascio di luce sulle cose, sul reale.
Quali sono, se ci sono, i tuoi poeti di riferimento?
Sono stato folgorato dagli Ossi di seppia di Montale…
Quando?
Verso i vent’anni. Prima mi interessava di più la filosofia, poi ho capito, grazie anche alla folgorazione montaliana, che spesso la filosofia compie giri di parole per esprimere una “verità” che la poesia è in grado di dire con una parola, percorrendo traiettorie brevi.
Altri autori?
Tra i viventi amo Fabio Pusterla, di cui leggo tutto. Seguo anche il lavoro di Franco Scataglini, anche se non riesco a comprenderlo fino in fondo; di questo poeta condivido l’idea della “residenza”: una poesia che prenda spunto da esperienze relative a un luogo concreto, fisico, per allargarsi all’universale; l’universalità, del resto, è un’altra ambizione della poesia. Mi piacciono inoltre Caproni e Cardarelli.
Altri poeti marchigiani, tuoi corregionali?
Credo che, per quanto mi riguardi, il percorso più interessante sia quello compiuto da Francesco Scarabicchi.
Una domanda da manuale: come nascono le tue poesie?
Per lo più casualmente: tutto può originare poesia; quello dei cinque sensi che più mi stimola a scrivere è la vista che, direttamente o indirettamente, mi suggerisci immagini e pensieri (sarei tentato di usare la parola “emozioni” se non fosse ormai abusata, troppo generica… da cioccolatini). Ci sono cose che vedo e che -così dico a me stesso- mi fanno “rizzare i peli delle mani” e che, quindi, mi sollecitano come uomo fatto di cervello e di cuore, certo, ma anche di ossa, sangue e carne.
Parlaci ora de “La pimpinella, la gramaccia”, il tuo ultimo lavoro che, gentilmente, tu e le Edizioni l’Obliquo avete messo a disposizione di “Liber Liber”…
Gentili siete stati voi a pubblicare la mia raccolta! È bello per me che la poesia sia presente anche in Rete, visto che non ne ho una visione elitaria: se parte dall’uomo e dalla sua vita, la poesia deve essere disponibile a tutti gli uomini; credo del resto che se la poesia parla d’altro che non sia l’uomo (in senso lato) non serva.
Cosa intendi per “altro”?
Mi riferisco soprattutto a quei testi poetici che si attardano su virtuosistici esercizi di stile che, spesso, non sono altro che giochi di parole.
Mi trovi d’accordo. Torniamo al libro: il titolo “La pimpinella, la gramaccia”…
Si tratta di due erbe, una, la delicata pimpinella, come la poesia ha come un timore, un pudore, a manifestarsi; l’altra, l’infestante gramaccia (termine locale per indicare la gramigna n.d.c.), col suo suffisso peggiorativo dà l’idea del ruolo di pungolo testardo che la poesia può -forse deve- avere. Insomma: le due piante rappresentano i due poli dell’attività poetica.
Parlaci delle scelte stilistiche da te operate in questa che, probabilmente, è la tua raccolta più importante.
Ho cercato di usare termini “densi” attraverso i quali condurre il lettore in luoghi fisici e, tra molte virgolette, sentimentali, nei quali proporgli il mio modo di “sentire”: non chiedo infatti solo comprensione, ma, se e quando possibile, condivisione.
E dal punto di vista metrico, come ti regoli?
Non seguo molte regole, pur cercando, ovviamente, ciò che per me è un aspetto importantissimo: la musicalità. Non amo, infatti, le poesie “dissonanti”.
In genere, essendo piuttosto pigro, prediligo le poesie brevi. Nella raccolta ce n’è una composta da un solo verso, un endecasillabo…
Oggi, che ruolo ha, o dovrebbe avere un poeta?
Mi ritrovo in quello che ha scritto Roberto Galaverni ne Il poeta è un cavaliere Jedi: il poeta è un eroe che difende, in nome dell’umanità, la possibilità di esprimersi e di condividere l’espresso; una poesia civile, quindi, della civiltà intesa come comunità; un cavaliere in lotta contro l’omologazione, dunque.
- Il libro “La pimpinella, la gramaccia” di Giancarlo Giaccani si può scaricare gratuitamente dal sito di Liber Liber: vedi https://www.liberliber.it/biblioteca/g/giaccani/;
- Inoltre, si può acquistare qui: http://www.edizionilobliquo.it/autori/giaccani_g.html.
Giancarlo Giaccani è nato nel 1951 a Montemarciano (AN), dove vive e dove spera di morire, anche perché, dice, “non ci sono ospedali…”.
Attualmente insegna materie letterarie presso l’istituto “Panzini” di Senigallia.
Approfondimenti e link
- Edizioni l’Obliquo , http://www.edizionilobliquo.it/
- Centro studi “Franco Scataglini”, http://www.scataglini.it/
- Fabio Pusterla su Wikipedia, http://it.wikipedia.org/wiki/Fabio_Pusterla
- Francesco Scarabicchi, http://www.pequodedizioni.it/schede/scarabicchi.html
- Roberto Galaverni e Massimo Raffaeli, Il canto magnanimo (vedi http://www.pequodedizioni.it/catpages/perc_06.html), PeQuod, 2005
Autori citati presenti sulla libreria online Webster, partner di “Liber Liber”:
- Roberto Galaverni, Il poeta è un cavaliere Jedi, Fazi, 2006: http://www.webster.it/BIT/8881127245/ASI/337441
- Franco Scataglini, La rosa, Einaudi, 1992: http://www.webster.it/BIT/8806127721/ASI/337441
- Fabio Pusterla, Folla sommersa, Marcos y Marcos, 2004: http://www.webster.it/BIT/887168396X/ASI/337441
Questa intervista è presente anche nella sezione di “Liber Liber” dedicata alla scuola, https://www.liberliber.it/progetti/liberscuola/.