Le osservazioni che seguono intendono solo mettere in evidenza alcuni sviluppi successivi al testo di Peano, scaturiti da esigenze di ampliamento del concetto di probabilità (come ad esempio nella formulazione delle “quote” delle partite di calcio oppure nelle previsioni meteorologiche), senza che questo naturalmente implichi alcuna imprecisione (o peggio) nel testo del grande matematico con cui abbiamo a che fare. Solo un’altra precisazione (credo utile soprattutto a chi è poco addentro a questioni di carattere matematico). In matematica, le premesse da cui si parte possono essere quali si vogliono, con l’unica condizione che esse stesse (oppure le deduzioni che se ne possano trarre), non siano contraddittorie (oppure non conducano ad affermazioni contraddittorie). Il matematico gode quindi di ampia libertà nello stabilire le ipotesi da cui si dipana il ragionamento, con la sola limitazione detta.Ma se le ipotesi debbono fare da fondamento a qualche teoria fisica e se se ne vuole dedurre qualche affermazione riguardo al mondo “reale”, è necessario che queste ipotesi in qualche modo rispecchino i fatti. Faccio un solo esempio (i competenti mi perdoneranno le semplificazioni). Se una scatola è contenuta in un’altra, ognuno capisce che quella interna ha un volume minore. Ebbene, invece, nella teoria della misura (un’ampia branca della matematica, che fa peraltro da fondamento all’attuale teoria della probabilità), potrebbe ben accadere che abbiano lo stesso volume! Tutto questo solo per dire che il Peano matematico aveva ben il diritto di postulare quanto esposto nel suo scritto.
Veniamo dunque al testo in esame.
Peano osserva nella sua nota che la definizione di probabilità in uso ai suoi tempi sia affetta da un evidente circolo vizioso (e riporta a sostegno l’opinione di due altri illustri matematici, Poincaré e Borel). Intanto, una delle opinioni riportate (quella di Borel) dice che “Cette définition renferme en apparence un cercle vicieux”, dove mi pare però non del tutto secondario l’inciso “en apparence”.
Peano prosegue poi con la sua definizione di probabilità, che poi altro non è che il classicissimo rapporto casi favorevoli/casi possibili (supposti questi ultimi in numero finito). Per i non matematici interessati, vale forse solo la pena fare l’esempio del dado. Qual è la probabilità che esca, ad esempio, 3 nel lanciare un dado? Niente di più facile: quanti sono i casi favorevoli? Naturalmente, uno solo: l’uscita del 3. Quanti sono i casi possibili? Naturalmente sei, corrispondenti alle facce del dado. Dunque la probabilità che esca 3 è data dal rapporto 1/6, cioè circa il 16,7%. Fin qui tutto bene e credo nessuno si sentirebbe truffato se una scommessa sul numero 3 venisse pagata 6 volte la posta, né lo scommettitore, né il banco.
Ma che accade se il dado è truccato? Se per esempio la faccia opposta al 3 fosse artificiosamente appesantita, in modo da far uscire il 3 stesso molto più frequentemente rispetto al normale? È possibile in questo caso una definizione “realistica” della probabilità di uscita del 3 (si ricordi quanto premesso, a proposito di una teoria fisica che voglia rendere ragione dei fatti “reali”)? Certo, la definizione proposta dal Peano (benché formalmente ancora utilizzabile) non credo sarebbe ritenuta equa da nessuno e nessun banco vorrebbe pagare sei volte la posta, se non al prezzo di perdere sistematicamente nel lungo periodo!
Simili ed altre osservazioni avrebbero nel tempo portato ad altre definizioni di probabilità, definizioni cioè che possano tenere conto anche del caso appena descritto. Fra queste, quella presente nella cosiddetta teoria “soggettivistica” (o “soggettiva”), il cui fondatore fu il nostro Bruno De Finetti. Detto in modo semplice, secondo questa prospettiva la quantificazione della probabilità di un evento è un fatto “soggettivo”, sostanzialmente dipendente dal discernimento e dalle informazioni disponibili al soggetto che la stima. È proprio secondo questo criterio che vengono ad esempio formulate le quote comunemente usate per le partite di calcio, che infatti variano da un bookmaker all’altro. (Attenzione: in questo caso c’è anche però da tenere in conto che i valori di probabilità attribuiti agli eventi sono sempre leggermente “a sfavore” dello scommettitore, altrimenti non ci sarebbe vantaggio a fare il “banco”! Ma qui e nel seguito prescindiamo da questo aspetto.)
In sostanza, il criterio prevalente per la formulazione della probabilità di un evento non ripetibile (come il risultato di una partita di calcio) non può certo essere quello di Peano (altrimenti i segni 1, X e 2 dovrebbero avere ciascuno probabilità 1/3, per tutte le partite!), ma deve piuttosto rispondere alla seguente domanda: un operatore sufficientemente competente e avente a disposizione il maggior numero possibile di informazioni, quanto sarebbe disposto a pagare ad uno scommettitore per ritenere equa la scommessa, sempre che ovviamente quest’ultimo possa scegliere le alternative? O, reciprocamente, analoga domanda può porsi dal punto di vista dello scommettitore. Facciamo un esempio, sempre riferendosi ad una partita di calcio. Immaginiamo che il bookmaker attribuisca all’1 probabilità 50%, all’X 40% e al 2 10%. Una scommessa perfettamente equa dovrebbe pagare, in caso di vittoria del giocatore, il reciproco di tali percentuali (tali reciproci sono comunemente detti “quote”) e cioè 2 volte la puntata per l’1 (il reciproco di 50/100=1/2 è 2/1 = 2), 2,5 volte per l’X (il reciproco di 40/100 = 2/5 è 5/2 = 2,5), 10 volte per il 2 (il reciproco di 10/100=1/10 è 10/1 = 10).
Osserviamo che il banco ha tutto l’interesse a non barare, perché è vincolato dalle seguenti due condizioni:
- la somma delle probabilità degli eventi deve essere 1 (nel nostro caso: 50/100+40/100+10/100 = 100/100 = 1), che corrisponde alla certezza (uno dei tre segni deve necessariamente uscire!)
- lo scommettitore è libero di scegliere fra le alternative (nel nostro caso, 1, X o 2).
Dunque, se ad esempio volesse pagare l’1, invece che 2 volte, solo 1,5 volte, sarebbe costretto ad aumentare una o entrambe le altre due quote (per il primo vincolo), col rischio che lo scommettitore potrebbe scegliere l’X o il 2, venendo pagato, nel caso azzecchi la scommessa, più di quanto lo stesso banco ritiene equo!
Quindi, nelle ipotesi di “onniscenza” del banco, nel lungo periodo sia il giocatore sia il banco stesso resterebbero senza perdite né guadagni. Questo esempio serve solo (almeno, spero…) a spiegare la visione “soggettivistica” della probabilità, ma naturalmente nella realtà non solo nessun banco è onniscente, ma soprattutto (e questo spiega perché alla lunga il banco vince sempre) le quote non sono affatto eque nel senso spiegato sopra!
In questa prospettiva, hanno senso anche le domande del tipo: “che probabilità c’è che domani piova”? Domande di questo tipo sono invece esplicitamente escluse da Peano, come “prive di senso”. Ci si potrebbe anche domandare: si potrebbe in qualche modo attribuire un carattere di “oggettività” alle probabilità così attribuite? Prendiamo proprio ad esempio quello delle previsioni meteorologiche, semplificandole solo all’alternativa pioggia/non pioggia. Immaginiamo che il servizio meteo preveda che domani pioverà con il 70% di probabilità (e dunque non pioverà al 30%). Se il giorno dopo non piovesse, il meteorologo potrebbe sempre affermare: “Beh, si è verificato l’evento previsto al 30%…”. Ma in questo modo, qualunque cosa avvenga, potrebbe sempre dire di averci azzeccato! Che scientificità può avere una tale previsione, che risulta sempre soddisfatta, qualunque cosa avvenga? Ma le cose non stanno proprio così. Immaginiamo di prendere in considerazione, per la stessa località, dieci giorni (naturalmente, tutti diversi e quasi certamente non consecutivi) in cui le previsioni di pioggia/non pioggia siano sempre date al 70% e 30% per il giorno successivo e immaginiamo anche di trovare, controllandolo sperimentalmente, che sia di fatto piovuto solo sei giorni su dieci. Possiamo poi ripetere l’esperimento su cento giorni e per esempio trovare che è piovuto 66 giorni su 100; poi su mille giorni, per i quali è piovuto 669 giorni su 1000, e così via.
Penso sia chiaro dove vogliamo arrivare: se il limite (all’aumentare dei giorni presi in considerazione) del rapporto (giorni di pioggia)/(giorni) è proprio 70/100 (o se preferite, 7/10), allora potremmo dire di avere a che fare con un ottimo meteorologo. Chi non ha dimestichezza col concetto di limite, può più semplicemente pensare che il rapporto detto si avvicina sempre più a 7/10, all’aumentare dei giorni considerati. In tal modo possiamo controllare se la probabilità attribuita alla pioggia sia stata correttamente valutata. Naturalmente, possiamo farlo solo a posteriori!
Per concludere, io credo che Peano qui non provveda ad operare una necessaria distinzione, fra attribuzione di una probabilità ad un evento e modalità per giungere ad una tale attribuzione. Il caso di eventi equiprobabili (l’unico da lui considerato) è infatti solo un caso particolare, nel quale il metodo di Peano è perfettamente aderente alla realtà. Ma come si può fare a stabilire l’equiprobabilità fra eventi, senza cadere nel circolo vizioso denunciato dal nostro autore? Non resta che una strada: ricorrere a considerazioni extramatematiche (come per le partite di calcio). Sempre nel caso del dado, pare evidente che se il dado è perfettamente regolare e di materiale omogeneo, non si vede alcuna ragione per attribuire maggiore probabilità di uscita ad un numero piuttosto che ad un altro e questo ci porta a ritenere che la classica definizione di Peano sia qui perfettamente accettabile. Ma appunto questa convinzione deriva da riflessioni sul dado (e magari anche su altro, come la superficie del tavolo su cui viene gettato, ecc.), che nulla hanno a che vedere con la matematica.
Extramatematiche, appunto.