La poesia di Maria Grazia Coianiz si compone di parole relativamente semplici, cucite attraverso una sintassi scorrevole che lascia al lettore il piacere di apprezzare il testo tutto d’un fiato, per apprendere tra le righe la passione e il dolore conosciuti e narrati da chi scrive. Una lettura appagante a cui inevitabilmente segue la riflessione, perché per l’autrice la poesia è prima ascolto e poi riflessione, quest’ultima sulle vicende dell’esistenza tra la tristezza, che ha caratterizzato lo scorrere delle situazioni e ha forgiato la sua anima, e la gioia.
In “Anima nuda” (Giuliano Ladolfi Editore, 2014) Maria Grazia Coianiz raccoglie e dona al lettore la sua vita, narrata rivelando i sentimenti più intensi, legati ai momenti degni di trovare uno spazio tra i versi in un racconto poetico che procede non per ordine cronologico, ma ripercorrendo i tratti salienti di una formazione più emotiva che letteraria. Emerge la dicotomia tra rassegnazione e speranza, o vista in termini più poetici che esistenziali tra la bellezza esteriore e l’introspezione come superamento di ogni rapporto con persone e oggetti che possono far male. Dall’oscurità da cui nasce la poesia si affaccia la figura del marito, ma ancora più incisivo e presente è il riferimento al Divino. L’altro elemento ricorrente è la Luna ispiratrice nell’atto della riflessione, esercizio della mente dovuto anche dalla natura metaforica di parte della scrittura di Maria Grazia Coianiz, che nel mettere a paragone scopre la parte più intima dell’oggetto poetico.
La silloge si divide in capitoli, se vogliamo chiamare così le varie parti scandite da brevi introduzioni in versi, a iniziare dal primo gruppo di liriche dedicate alla perdita di un bambino appena nato. Sono versi semplicemente intensi e toccanti, dove al dolore della madre costretta a cedere quella parte di sé riversata nel neonato, si affianca il ricordo che nella tragedia viene ugualmente conservato con dolcezza. “È volata lieve / sulla tua spalla, (la morte) / hai fermato il respiro / per ascoltarla.” Da notare l’assonanza nel suono della a nelle parole spalla e ascoltarla, uno dei tanti esempi che rivelano la cura dell’autrice per la musicalità del verso. Nella mente l’immagine del piccolo non è alimentata dal dolore o dal risentimento, ma da tutto l’amore che ha potuto donare nel suo breve passaggio, rimasto persino nella sensazione degli odori che richiamano la sensibilità poetica “Di te mi è rimasto l’odore, / acuto, / di candidi gigli stampati / negli angoli delle pareti…”
L’uso efficacie della metafora si ripropone nella sezione successiva, in cui fin dai versi introduttivi si fa riferimento a un Dio inteso non solo come semplicemente il Bene nell’alternarsi delle vicende umane, ma come luce – concetto di memoria dantesca – che guida l’autrice fuori da un bosco – allegoria del dolore – per sollecitarla al cambiamento. Maria Grazia Coianiz avverte vicino a sé la Divinità, cerca la Sua vicinanza e per riuscire in questa impresa essenziale offre a Dio il sentimento più puro che ha potuto salvare attraverso i suoi versi, l’amore “Ecco, Signore, il nostro amore …” e successivamente “…l’amore che Aroldo ha raggiunto e conquistato / che Grazia ha scoperto / e coltivato.” Insieme Dio e l’uomo, quasi come un’entità mista tra materia e spirito, devono riportare la pace, devono comunicare con la natura e l’uomo deve rendersi consapevole di far parte di essa “…fai di me, Signore, / foglie di pioppo nella sera…” e riconoscere alla Divinità il suo ruolo assoluto “…sei genitore e genitrice insieme.”, ossia creatore ed educatore.
La riflessione sulle emozioni pure, però, è solo un volto della dicotomia alla base della poetica di Maria Grazia Coianiz, capace anche di apprendere gli aspetti dell’animo umano più negativi fatti emergere dai comportamenti che distinguono la nostra debole quotidianità, come l’ipocrisia nascosta dietro il freddo gesto di donare solo pochi centesimi, senza empatia per la sofferenza altrui “In tasche affondano / dita gelide di indifferenza / stringendo spiccioli / di calcolata generosità…” Il bisogno di comprendere la tristezza delle vicende umane torna nell’interessante componimento dedicato ai bambini ebrei che furono internati durante il secondo conflitto mondiale nel campo di Terezin, lasciando testimonianza del loro passaggio negli scritti e nei disegni conservati come memoria dell’Olocausto. Prevale ancora una nota il dispiacere per non sentirsi, nemmeno a livello emotivo, pronta e abbastanza forte per partecipare alla tragedia rievocata dalla memoria storica “Delicatamente, vergognandomi / ho deposto il mio sasso / poi mi sono allontanata…”
Nella consapevolezza dell’autrice di farsi portatrice di dolore, si impone nei versi successivi una nuova spinta verso la desolazione nel tentativo di raccontare l’amore come percorso personale, prima vissuto con entusiasmo per infine delineare anche di questa esperienza gli aspetti che consumano ogni ottimistico istinto alla felicità. In un componimento costruito su alcuni ossimori “Riempiva la vista / l’umido gelo…” o “…nel silenzioso / ovattato candore…” l’unione dell’amore è paragonato a un panorama nevoso che parla alla poetessa, ma oltre l’amore diviene delusione, specialmente se rivolto a un uomo che non sa apprezzare la purezza di questo sentimento, per esprimersi con le parole di Maria Grazia Coianiz “Non c’era poesia / nei tuoi occhi avidi / che spiavano la mia fanciullezza…”, fino a rifiutare ogni passione con il sopraggiungere del risentimento. Allora il momento dell’amore autentico diventa solo l’inizio di un rapporto sentimentale, quando si è ancora capaci di unirsi con leggerezza e dolcezza, “Fu tocco leggero / non presa di possesso / ma supplica / di non sfuggire…”, oppure è solo nell’attesa che si alimentano i sentimenti per l’altro prima della disillusione, riscoprendo l’importanza della solitudine come momento poetico, altro tema centrale della raccolta. Nel silenzio della notte l’autrice coltiva il desiderio di evasione destinato a donare l’attesa libertà, volteggiare serena tra la natura e perdersi nella poesia che la natura stessa ispira per ritrovare una propria dimensione esistenziale è l’unica soluzione al controsenso dell’esistenza, che consuma il cuore e la mente.
Parte delle liriche raccolte in “Anima nuda” sono state riproposte dall’autrice nel volume “Un nemico da accogliere”, breve raccolta pubblicata come riconoscimento per essere giunta al terzo posto alla VIII edizione del concorso “Parole e poesia”. Oltre a essersi messa in evidenza in diversi altri concorsi l’autrice ha pubblicato le sue liriche su varie riviste letterarie, tra cui “Orizzonti”, “Habere Artem”, “Colori”, “I deserti dell’anima” e “Rinnovi”, e su antologie di autori contemporanei. Con “Anima nuda” ha ottenuto il primo posto ai premi “Firenze capitale di Europa” e “Sulle orme di Lèopold Sèder Senghor”, rispettivamente nel 2014 e nel 2015