Il quieto sonno della nazione, di Alessandro Cartoni
La recente edizione dell’esame di Stato conclusivo del corso di studi delle scuole secondarie superiori proponeva quale argomento del saggio breve di ambito storico-politico un bilancio dei valori attuali della nostra Costituzione. Complice il sessantesimo anniversario dell’entrata in vigore, al candidato si chiedeva inoltre di analizzare il rapporto della carta fondatrice «con la società italiana». La traccia era corredata di materiali variamente tratti da opere e interventi di giuristi, presidenti in carica, uomini politici e politologi blasonati. Tuttavia, nonostante quelle che si potrebbero definire buone intenzioni, l’impressione che se ne traeva era quella, ancora una volta, edulcorata, retorica, vagamente ideologica che circonda sempre le iniziative istituzionali. Sottolineando le virtù della Carta e le potenzialità programmatiche dei suoi principi si lasciava volutamente in ombra il «punctum dolens» del problema e cioè il suo vasto, diffuso, generalizzato e attualissimo tradimento. Il fatto cioè che la Costituzione, carta fondatrice della convivenza democratica, risultato di uno sforzo collettivo che ha unito la tradizione cattolica, laica e socialista, oggi rifulge proprio perché appare la grande assente dalla vita concreta del Paese.
Per un paradossale rovesciamento una traccia del genere non ha fatto che riproporre l’incapacità della scuola ad affrontare, oltre le urgenze della nazione, anche una corretta e civile educazione alla democrazia. Perché senza realtà e verità la democrazia è solo il fantasma di se stessa. Dunque la soluzione ministeriale del «parlarne perché fa bene» non solo rischia di lasciare tutti insoddisfatti, insegnanti studenti e famiglie, ma insinua il legittimo dubbio che celebrare la costituzione oggi, contanto di analisi universalistica dei suoi elementi, corrisponda nei fatti a lasciare tutto com’è, a riprodurre apologeticamente lo status quo del presente che si concretizza in una atmosfera di diffusa illegalità e di disperato, e disperante, qualunquismo.
Alla fine non si sfugge al sospetto che al futuro cittadino medio, sfornato dalla scuola italiana, non rimanga che condividere il quieto sono della nazione, vale a dire una vita da pallido suddito, invasa per metà dalla celebrazione ipocrita degli anniversari e per l’altra dalle nefandezze di uno Stato spesso complice, assente o troppo ingombrante.
Una piccola speranza viene però da un testo coraggioso e intenso che ci è capitato di leggere ultimamente e che ci ha colpito col suo disarmante «contenuto di verità», si tratta dell’antologia noir per i sessant’anni della costituzione «La legge dei figli» edita da Meridiano Zero nel 2007 e curata egregiamente da Sabina Marchesi e Lorenzo Trenti. La sorpresa sta nel fatto che gli scrittori che vi scrivono, scegliendo tutti un caso esemplare di tradimento della Costituzione, oltre che scrittori prestigiosi ( già editi da case editrici famose) sono anche fedeli servitori dello Stato; si tratta infatti di magistrati, ispettori, giudici o funzionari che hanno il gusto e la passione dello scrivere. Dentro il canovaccio del «paradigma negativo» ognuno di loro ha illustrato con una storia esemplare l’inabissamento di uno degli articoli della Costituzione: dal diritto al lavoro alla inviolabilità della libertà personale, dalla libertà di voto alla libertà di opinione, dal diritto all’assistenza alla progressività del sistema tributario.
Ne viene fuori un ritratto assai oscuro del Paese che ha il pregio di non alterare o edulcorare la realtà dei fatti ma ricostruisce storie di tutti i giorni – le stesse che spesso abbiamo deciso dinon vedere o dalle quali ci siamo ritratti inorriditi – e che vedono coinvolte persone che subiscono o impongono il seppellimento dei valori costituzionali. Dentro queste atmosfere di amoralismo abominevole, o utilitarismo forsennato, oppure opportunismo senza freni, gli autori decidono di non sognare lo Stato che non c’è, ma di descrivere l’aberrazione reale che si sostituisce allo stato. Non vi è dunque apologia o retorica ma intensa testimonianza di quello che esiste. A conti fatti dunque la luce negativa della Costituzione rifulge proprio attraverso la fenomenologia concreta della sua vacanza, del suo continuo inabissamento, della sua dolente o feroce sparizione. Lo Stato, alla fine, o la legge che ne è l’essenza, diventa la casella vuota o lo spazio bianco da riempire con la forza del desiderio, dell’utopia o della nostalgia, cioè con la necessità di un «non-ancora» che diventa possibile.Come spiega Giancarlo De Cataldo, magistrato e scrittore, nella introduzione al volume, «questa antologia è ( […]) un grido d’allarme, un grido lacerante, ma un grido rivolto alle nostre coscienze, non disperate: la Costituzione, anche in mezzo a tutto questo nero che ci circonda, è ancora possibile».
Per chiudere il cerchio tornando all’inizio: forse nelle scuole sarebbe di maggiore utilità, invece che mandare a memoria l’inno di Mameli o le note presidenziali, leggersi questo libro coraggioso e farlo funzionare come un’analisi dell’Italia reale. Ci illudiamo che tale lettura possa indurre un soprassalto di coscienza, un umanesimo del grido, un’indignazione vera, un’attitudine al dissenso. Effetti, che per ora, nel sonno quieto della nazione, sono di là da venire, ma che questo volume contribuisce, ne siamo certi, a rendere più vicini.
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