Il mare

di
Cesare Pavese

tempo di lettura: 8 minuti


Masino era ormai un grand’uomo. Alto, un po’ sardonico, spigliato – anche troppo a parole – dove arrivava lo sentivano. Guadagnava molti soldi, divertendosi e senza nemmeno pensarci. È cosí che si fa.

Ma era destino che in febbraio dovesse sentir caldo. Gli andò bene un antico disegno – tanto bene che benché avesse deciso (all’inglese e alla piemontese) di non scomporsi mai, passò l’intero pomeriggio di capo d’anno a saltellare e fischiare per le strade.

La riuscita era questa. Il suo giornale in vena di modernità aveva deciso per l’anno nuovo di interessarsi di quanto avveniva nel mondo. Cominciavano a parergli provinciali le asciutte comunicazioni della United Press e addirittura volle pubblicare corrispondenze inedite, dai quattro punti cardinali.

Lo scopo era di sorbire agli assidui lettori notizie etniche ed esotiche escogitate nei paesi «piú significativi per la futura civiltà del domani». E scelsero la Scandinavia, la Russia, gli Stati Uniti e l’Argentina. Ma quattro corrispondenti costavano troppo. Gli assidui lettori potevano aspettare. E decisero che l’Argentina confina cogli Stati Uniti e la Russia con la Scandinavia. Uno in Europa quindi e uno in giro per l’America.

Scelsero due vecchioni: un fanatico ibsenista e antico critico teatrale, per l’Europa del Nord e un professore d’economia politica, che non sapeva l’inglese, per l’America.

Tutto era deciso. Nel giornale si guardavano con invidia i corrispondenti che arrivavano in automobile a conferire col direttore e uno, il professore, si faceva sorreggere per salire le scale, da tanto era reumatico e ansimante.

Il giornale annunciò le corrispondenze con grandi pubblicità e promesse agli assidui lettori. Poi all’ultimo momento i due fortunati si presero un raffreddore che passò in influenza, che rovinò in polmonite; e alla fine dell’anno erano morti o in agonia.

Nel disorientamento Masino colse l’attimo. Filò dal direttore, gli ricordò il servizio in Francia, accese negligentemente una Chesterfield, ne offerse una al direttore, e si propose per partire anche domani.

Il direttore ascoltava.

Masino ragionò: «So l’inglese benino, anzi so l’americano. Il cinematografo è un’arte di là. Credo di averLa sempre soddisfatta nelle mie corrispondenze. L’America è giovane. Ci vuole un giovane. Anzi ho un’idea. Perché passare dall’Atlantico e perdere una corrispondenza? Con poca spesa in piú si può mandare il corrispondente per il Pacifico e ricevere notizie sulla Sonda e su Tahiti. I romanzi di Conrad hanno messo di moda la Sonda… sí le isole olandesi sotto la Cina».

Due giorni dopo Masino riceveva l’incarico.

Seguendo la stessa felicità di improvvisazione, il direttore aveva pure designato un giovanetto per la Svezia. – Creda a me, – spiegava Masino, – Ibsen interessa sí e no. Quel che ci vuole è uno sportivo. Quello è il paese degli sci…

I due nuovi fortunati si conoscevano appena. Un giorno che uscirono dalla direzione insieme, dove il capo aveva spiegato loro come intendeva la modernità: – L’Italia, soprattutto. Fare confronti, frequenti. Qualche parola esotica. Dà il tono. Ma l’Italia, l’Italia, il fascino di Roma… – uscendo insieme Masino che non era mai cosí intraprendente come quando non conosceva una persona, propose un bicchierino insieme per beneaugurare. Disse poi ingenuamente: – Per un pezzo non berremo piú il grappino, sorbiamoci l’ultimo.

Il giovanotto per la Svezia – fin allora un corrispondente sportivo di prima qualità – era un biondastro muscoloso, tutto spellato dalla montagna.

— Da bere se ne trova dappertutto.

S’interrogarono poi sugli equipaggiamenti. Lo svedese diede molti consigli: – Per esempio, – spiegò, – ci sarebbero molti al mio posto che si porterebbero dietro gli sci, in Svezia.

— E già che non vanno, – sghignazzò Masino.

Al banco lo svedese non volle il grappino ma chiese il cherry-brandy. – Di dov’è lei? – chiese Masino. Difatti era romano.

— Sa, che intenzioni ho io? – disse Masino. – Il mondo è tutto uguale. Faccio gli articoli prima di arrivare sul posto e negli articoli ci metterò sempre il tabarino, le danze e i marinai. Cosí non sbaglio.

Ma lo svedese aveva altre preoccupazioni che letterarie.

— È un giornale fottuto il nostro. Sessanta lire di diaria e stipendio normale. Noi italiani siamo sempre straccioni.

Quel che assorbiva di piú Masino, sul treno verso Genova, era il pensiero che tra un mese sarebbe stato nell’Oceano Indiano a scoppiare di caldo – e vedere lí i finestrini agghiacciati, e fuori alberi brulli e nebbia.

«Chi sa se patisco il mal di mare? Voglio vedere. Dico di no, che non lo patisco – no – e poi basta mangiare».

Il treno era passato da Alessandria. Gli era spiaciuto a Masino non passare per Bandito. Dare un’occhiata al suo paese. La collina un po’ bassa. I suoi ritani. «Sono sciocchezze».

Però il Po l’aveva passato. Non visto, per la nebbia, ma sentito al rimbombo del treno. Quello era l’ultimo legame. Ricordò Hoffman che gli invidiava, senza dirlo, quel viaggio. Il grande Hoffman che restava nel suo buco.

«Be’, tutto è lo stesso. Sarebbe meglio mi sposassi a Bandito con una bella ragazza e non mi muovessi piú di là».

Il consiglio di Hoffman. Maledetto, lo perseguitava anche nel mondo. Sorrise per liberarsi dai pensieri.

Nel vagone non si scoppiava di caldo. Masino viaggiava in terza per guadagnarci i primi soldi. Aveva già il biglietto per il piroscafo a Genova. Aveva già il baule là, tutto fatto. Piu nessuna preoccupazione. E sul treno s’annoiava.

La campagna fuori non aveva nessun interesse. L’ultimo viaggio in Piemonte che avrebbe dovuto esser fantastico, era solo noioso.

Fuori gli alberi sparivan nella nebbia. Parevan disegni in grigio su cartone. Alle sei di sera, d’inverno, non si può veder molto.

Ancor un’ora. Il treno imboccò i Giovi. Qui Masino si chiuse nel paletò, accese una sigaretta e fissò a terra. Non aveva compagni di viaggio.

L’Oceano Indiano. Singapore. Il Pacifico. Poi S. Francisco. Panama. Niente avventure, come andare a Cavoretto. Ma il mondo era bello.

Cercò di sonnecchiare per sopire il noioso fervore intimo e l’ansia.

Non piú parlare italiano. Ma era bello il Piemonte. Maiale! bello è andare altrove. Cosi si fa, Masino.

I Giovi durarono un pezzo. Si scendeva ormai, verso il mare.

Quando sbucarono era buio, ma si sentivan le colline. Salí qualcuno. Masino era in piedi. Fra poco Sampedena.

Masino andò nel corridoio a fumare. Ma per camminare, per muoversi, per calmarsi. «Non fare l’idiota, Masino».

Un finestrino era aperto. Masino aspirò guardando innanzi nel senso del treno. Voleva sentire l’odore del mare. Questo l’aveva sempre fatto, arrivando alla costa, ma non l’aveva mai sentito. Il giorno dopo, invece, svegliandosi uno ci si trovava tuffato e respirava con gusto.

Lumi, sbattacchiamenti e voci, ormai, alle fermate. C’eran quasi. Sampierdarena. S’indovinava a destra un gran vuoto, ma era buio. L’odor salso, ecco, era quello. Sí. No. Non importa. «Lo sentirò anche troppo. Ma come corre questo treno. Pensare che la fa tutti i giorni questa strada».

I lumi di stazioni eran sempre piú frequenti. Tutti in piedi, come all’arrivo di qualcuno. Cominciava il balletto d’arrivo sugli scambi di Porta Principe. «Quanta gente. Di dove è sbucata? »

Dopo cena, dall’albergo vicino alla stazione Masino uscí a fare due passi. Tutto il movimento delle strade lo confondeva. Andare a vedere il porto? «No, è stupido. E poi, l’ho già visto l’altr’anno».

C’era solo da passare un po’ di sera e camminare e poi tornare, dormire, cercar di dormire. Domani far tutto. Rivedere i documenti. Salire a bordo. «A quest’ora domani non sarò piú a passeggiare per le strade».

Masino aveva un’idea. Andarsi a sedere in un caffè straniero, del porto, – inglese – e ascoltare la gente, i marinai. Al cinema no, durava troppo. E poi, dov’erano i cinemi di Genova?

Ma dov’era il caffè?

Masino arrivò, sempre guardandosi indietro per ritrovare poi la strada, in una grande via che dall’altra parte aveva i moli. Si sentivan sirene muggire. Ma la nebbia accecava anche qui. « Siamo a Londra», pensò Masino.

S’incamminò per quella via. Guardava le insegne. Una tedesca. Niente. Odiava il tedesco.

Un negozio che in vetrina aveva ramponi. Bello. Ma è finito il tempo dei ramponi. Le balene ora le ammazzano a cannonate. Che freddo faceva! Chissà il mare com’è freddo.

Finalmente Masino trovò una Sailor’s Inn. «Chissà se si può entrare liberamente? Coraggio. Dovrò entrare in tanti posti, da padrone». Masino entrò.

Vide ragazze che servivano tra i tavoli e ne sentí una parlare genovese. Si andò a sedere sogghignando.

Guardò intorno. C’era cinque o sei operai luridi che mangiavano salame. Un marinaio col maglione beveva vino rosso. In fondo c’era l’altare delle bottiglie.

S’avvicinò la ragazza e per parlare inglese Masino gridò «Whisky».

Venne il whisky, un bicchierotto da medicine.

Masino era a posto. Tutto il mondo è lo stesso. Si tenne il suo inglese ed accese una macedonia.

Entrò altra gente, marinai, scaricatori – qualcuno parlava davvero incomprensibile. La taverna era piena. Fumo e voci. Tutto contento Masino capí che un marinaio là al banco chiedeva dove si poteva dormire. Si sforzò tra i rumori e capí anche che la ragazza faticava a rispondere. Sogghignò un’altra volta.

Cominciava già ad averne abbastanza e pensava a dormire. In quel momento entrò un negro, gigantesco – finalmente – stracciato, con un berretto di lana in capo. Quello era certamente un marinaio.

Masino si alzò e si avviò al banco per pagare. Anche il negro venne al banco. Disse il negro alla ragazza che si aggirava là dietro severa in faccia: – I ’m gwine to sail to morro. A boàre –. Masino capí la pronuncia barbarica e fu soddisfatto, tanto che, preso bene l’abbrivo, propose con pronuncia negra imparata sui libri:

— Wanna glass o’ beer, sailor?

Miracolo. Quell’altro si volse e capí. O almeno rispose:

— Yea.

La ragazza non capiva e attendeva. Masino le disse in italiano: – Pago un whisky per me; una birra al signore.

Scodellata la birra, Masino la spinse verso il negro che lo guardò. Non capiva. Allora Masino:

— It’s for you.

Il negro rise e prese il bicchiere.

— T’ your health, – brontolò Masino. L’altro, bevuto che ebbe a metà, guardò la ragazza, guardò Masino, poi bevve di nuovo. Masino provò a chiedere:

— Where are you from?

Il negro non staccò il bicchiere dalle labbra.

— Goody, – disse poi. E tese la mano a Masino.

— Good-by, – disse Masino.

Una mano nuda, da scimmia.

— S’ long, – rispose l’altro e se ne andò.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il mare
AUTORE: Pavese, Cesare

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

TRATTO DA: Racconti / Cesare Pavese. - Torino : Einaudi, [1994]. - 525 p. ; 20 cm.

SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)