Daniele Gigli, Fuoco unanime, Postfazione di Francesco Napoli, Raffaelli Editore, Rimini 2015, pp. 94, € 12,00. ISBN: 9788867920983
Lo scorso dicembre l’editore Raffaelli ha pubblicato un libro piccolo ma che mi pare un miracolo, come è l’uomo quando è uomo.
La prima raccolta poetica di Daniele Gigli è frutto di un lungo lavoro, solo talvolta emerso in qualche breve pubblicazione; che questa raccolta riprende e incardina, dando forte unità a cicli apparentemente conchiusi in se stessi. Come ha sintetizzato Alessandro Rivali, questo testo è, al tempo stesso un poema, un quaderno di traduzioni e una profonda lettura del nostro tempo.
Francesco Napoli, nella Postfazione, rileva come «a ognuno di questi passaggi Gigli ha esercitato un costante, quasi ‘furioso’ sforzo correttivo, apportando passo dopo passo revisioni e ritocchi adeguati al rinnovarsi del proprio bagaglio composto da una maturità poetica sempre crescente e dall’affinarsi della conoscenza dei meccanismi della poesia (quella autentica)» (p. 89). E, poco oltre, cita Ezra Pound: «Scriver bene è scrivere con perfetto controllo: lo scrittore dice esattamente ciò che intende». Il lessico, nettissimo e preciso, prevalentemente duro, e la padronanza del ritmo divengono strumenti di grande forza espressiva. Nulla è fuori posto, niente è di troppo.
Gigli non fa mistero della sua passione per T.S. Eliot («una profondità e ampiezza di comprensione dell’uomo rarissima»), di cui è anche traduttore. E una sezione di queste raccolta – Mercoledì delle ceneri – è proprio una «versione-esecuzione» di Ash-Wednesday. Cesare Cavalleri, presentando questo testo su «Avvenire» (20 gennaio 2016) scriveva: «questo basterebbe a rendere memorabile il libro. «Esecuzione» non nel senso di esecuzione capitale (come certe traduzioni che decapitano l’originale), ma in senso musicale, come un direttore d’orchestra che «interpreta» lo spartito musicale «ad mentem auctoris». Il confronto con la traduzione ormai classica di Roberto Sanesi (1961), che ebbe l’avallo dello stesso Eliot, è inevitabile e il merito di Gigli è di averci dato un testo italiano del tutto autonomo, diverso».
Napoli riferisce ai versi di Gigli un’affermazione di Eliot: «La poesia non è un modo di liberare l’emozione, ma una fuga dall’emozione; non un’espressione della propria personalità, ma una fuga dalla personalità. Ma, naturalmente, solo coloro che hanno personalità ed emozioni sanno cosa significa voler fuggire da queste cose» (p. 91). Fuggire per farsi carico di uno sguardo sulla realtà vero e corale. Gli è insopportabile, per la sofferenza che ne deriva, l’uomo svuotato dalla ricerca di senso. Come dice Rivali (in «Il Sussidiario» del 28 gennaio 2016) «il tarlo che morde la sua poetica è la ricerca della vita autentica [ […]]. A Gigli interessa il segreto (e lo sguardo) di chi vuol ricostruire dopo lo sfacelo. La capacità di sognare e di perdonare anche dopo il disastro (magari interiore)».
«Cade, s’inabissa l’occidente/ si dissolve, muore sotto i cieli alti di pietra-luce in ore cave./ Sull’acqua-marmo allucinano gli occhi,/ senza punto si moltiplica lo sguardo, cede l’orizzonte senza tempo» (Cade, s’inabissa l’occidente, p. 22).
Che esito avrà tanta pena? L’irredimibile desiderio di felicità che tutto sembra smentire? La poesia di Gigli, in alcune sezioni maggiormente, come in quella che dà titolo alla raccolta, è molto vicina alla mistica. Oggi ancor più, forse solo la poesia e la preghiera riescono a ridare un peso e un volto alla realtà […]
Alla «Madre delle madri/ Signora degli afflitti e degli inconsolati», che ha portato «in grembo il fuoco del divino» implora: «Riportaci nel fuoco.// Al punto inesprimibile,/ nella perfetta sintesi di pieno e vuoto,/ dove il passato trova compimento/ e cessa lo spavento del futuro. [ […]] Al fuoco ustorio del silenzio, al fuoco unanime del desiderio» (p. 51).
No, la poesia non è irrilevante […]