(voce di SopraPensiero)

«Finzioni» a metà degli anni cinquanta ha fatto conoscere Jorge Luis Borges in Italia, nella storica traduzione di Franco Lucentini del 1955 uscita per Einaudi. Una raccolta di brani complessa e densa di riferimenti letterari su autori classici e contemporanei allo scrittore argentino, dal Don Chisciotte raccontato descrivendo gli sforzi nel lavoro di traduzione di Pierre Menard, a Herbert Quain di cui viene analizzato il valore letterario. Nel resto dell’opera prevalgono le componenti legate al genere fantastico. Si inizia con una storia di fantascienza dedicata al pianeta di Uqbar, portatore di una cultura capace di stravolgere ogni nostra sicurezza, per arrivare al thriller, presente in una forma originale ne «La morte e la bussola», passando per altri brani dove regnano come si annuncia nel titolo le finzioni, intese come una visione alternativa della natura umana e della storia. Un libro su cui è doveroso ma non semplice riflettere, che spazia dalla filosofia ai temi sociologici, questi ultimi sviluppati con una particolare sensibilità nel brano che, ad oltre mezzo secolo dalla comparsa di «Finzioni» nel patrimonio letterario europeo, resta il racconto più noto della raccolta, «Funes, o della memoria».

A metà degli anni quaranta, quando la cultura occidentale era ancora caratterizzata dal razzismo e dall’intolleranza nei confronti di ogni forma di diversità rispetto al canone dei «perfetti» membri della famiglia tradizionale, lo scrittore argentino propone un personaggio portatore di un messaggio assolutamente controcorrente, da cui emerge una particolare sensibilità per la disabilità. Al tempo era un concetto estremamente innovativo in ambito sociologico, anche nei Paesi democratici dove si esiliava la diversità in ogni sua forma, di frequente con metodi non meno violenti di quanto facessero i regimi totalitari di estrema destra.

Il narratore, mentre procede a cavallo con l’amico Bernardo, vede per la prima volta Ireneo Funes in un giorno di pioggia, intento a sfuggire al diluvio procedendo a passo veloce su un marciapiedi rialzato dal terreno. La posizione rende facile notare le sue scarpe di corda, il primo particolare che il lettore è chiamato a considerare, prova della modesta estrazione sociale del protagonista. I due cavallerizzi chiedono a Ireneo l’ora e ricevono una risposta di sfuggita, ma esatta; senza guardare né l’orologio, né il cielo per orientarsi con la posizione del sole, Funes è in grado di stabilire l’ora esatta, attenendosi alla sua innata capacità di ricordare, tra le altre informazioni, il costante calcolo mentale dei minuti trascorsi.

Dopo tre anni il ragazzo, travolto da un cavallo selvaggio, perde completamente l’uso delle gambe ed è costretto a vivere chiuso in una stanza. L’incidente al tempo avrebbe rappresentato una tragedia inaccettabile per una famiglia di umili origini in qualunque luogo del mondo, anche nei Paesi caratterizzati da un maggiore sviluppo, ma il potenziamento delle abilità mentali che avviene nel protagonista stravolge questa comune convinzione. Ireneo dimostra di essere in grado di memorizzare le informazioni e di analizzare la realtà a un livello che va ben oltre il consueto. Il narratore giunge a sostenere che l’incidente visto nelle sue conseguenze può essere giudicato persino una fortuna. In Funes si manifesta una compensazione: la totale immobilità spinge la sua mente, già da prima caratterizzata da un quoziente intellettivo superiore alla norma, ad aprirsi in modo ulteriore.

Nell’insieme delle finzioni e delle vicende fantastiche che Borges offre al lettore, questa storia rappresenta la finzione maggiore, ma non sul piano fisiologico, perché nella disabilità la valorizzazione delle capacità restanti è un fenomeno costante e oggi ampiamente testimoniato, ma in chiave storico-sociale. Perché a metà del XX secolo per l’opinione comune un ragazzo paralizzato era uno storpio, senza alcuna opportunità di riscatto, come una persona deforme era solo uno scherzo di natura da esibire in un circo. Sul tema basti ricordare l’indimenticato capolavoro cinematografico di Tod Browning «Freaks». Lo scrittore argentino rivela una sensibilità ancora prematura, che però non troppo tempo dopo sarà riconosciuta e sempre più accettata nel mondo civilizzato. Saranno proprio gli orrori della seconda guerra mondiale, l’olocausto e la bomba atomica, quest’ultima con le sue conseguenze sulla popolazione giapponese attraverso le radiazioni nucleari, a insegnare la lezione già contenuta nel racconto «Funes, o della memoria». Un richiamo al rispetto dei diritti umani e all’accettazione della disabilità. Non certo un’accettazione passiva, ma nell’ottica di valorizzare le qualità di chi è diverso. Una lotta verso ogni forma di pregiudizio.