(voce di Luca Grandelis)

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa recensione di Marco Candida.copertina frutta fresca

Frutta fresca per verdure marce
Di Paolo Merenda
(Edizioni Il foglio)
Il poliziottesco scritto da Paolo Merenda dal titolo Frutta fresca per verdure marce invita a chiedersi forse un po’ capziosamente: «In questo romanzo c’è più più frutta fresca o verdura marcia?» oppure «Il titolo allude a uno scambio tra autore e lettore? È il lettore il portatore avariato di verdura marcia?». A parte questo piccolo divertissement, le centoventuno pagine scritte dall’autore alessandrino sembrano certo presentare i connotati giusti per meritarsi l’aggettivo, spesso abusato, di fresco. Quelle di Merenda sono pagine fresche perché rinverdiscono, servendosi della rivoltella della parodia, il genere del poliziesco all’italiana, riuscendo in un compito difficile; e sono brillanti perché utilizzano una forma originale: centoventidue pagine divise in quattro parti, ciascuna spezzettata in dodici capitoli ognuno dei qualilunghiuna pagina e mezza, massimo due pagine e mezzo. Ogni autore, se si guarda bene, ha la sua intelligenza, e l’intelligenza di Paolo Merenda è stata quella di capire che per raccontare una storia che si regge in gran parte su stereotipi di genere la forma breve è la più efficace: essendo già noto al lettore gran parte di ciò che viene raccontato non sono necessarie molte pagine per rendere i personaggi vivi, le storie vere. Bastano poche linee, quelle essenziali, è tutto come per magia si anima e funziona. Non è questione di tecnica o di capacità: è qualcosa di molto più ineffabile, si chiama intelligenza, sensibilità. E Paolo Merenda ha il dono di possederla. Sentite qua: «Mascio è alle prese con un nuovo giro di coca. Sembra che nel noto locale Meffone Rock Cafè ci sia un tale Franchino che rifornisce tutta la clientela. Alcuni di questi in delirio di onnipotenza si schiantano nel viale che porta dal paesino del locale alla vicina cittadina del commissario. La soffiata è arrivata dal suo amico contadino, che è rimasto assiduo frequentatore di locali e concerti metal, al contrario di Mascio che non ha più vita sociale da quando è sbirro». È a pagina 15 ed è l’attacco del capitolo 5 – due pagine e mezza. Come si vede bastano queste poche parole è già si possono rintracciare agevolmente le coordinate della storia, poche righe è già risuonano le parole di molti altri romanzi e pellicole cinematografiche. Dire di più sarebbe un appesantimento quasi intollerabile. Merenda riesce a dire, in ogni paragrafo, tutto ciò che c’è da dire: e ogni volta le parole si amplificano nella mente del lettore, si potrebbe persin dire che la storia di Merenda si racconta attraverso altre storie che il lettore già conosce, ha udito, visto, letto, anche solo orecchiato. Storie di prostituzione, traffici illeciti, malaffare, commisari […] quelle cose, il tutto condito in salsa punk e metallara e tanta ironia. Pagina 67: «La combriccola è diretta a Pinarella di Cervia dove, in un noto locale, ci sono sempre concerti metal e punk. L’occasione ghiotta è il ritorno dei D.r.i., storico gruppo fondatore del genere crossover, ossia incrocio tra metal e punk. Il nome Dirty Rotten Imbeciles deriva dagli insulti che il padre di uno di loro rifilava ai ragazzini mentre provavano a Huston, in Texas, nei primi anni Ottanta. La band è stata ferma un bel po’, il chitarrista Spike aveva un cancro dal quale per fortuna è guarito in poco tempo. Mascio li ha visti da ragazzino insieme al contadino quando erano in tourcon i Corrosion of Conformity, ai tempi del disco “Thrash zone». Pagina 105: «La Shadow dancer agency, agenzia investigativa privata, prende forma e il nome si propaga tramite un sito ultra moderno, flyers distribuiti alla fiera di S. Baudolino e volantinaggio selvaggio in buca. Il nome è un degno tributo al videogioco del ninja col cane, perfetta rappresentazione dello stato d’animo di Mascio, che da investigatore privato si sente un po’ ninja [ […]] Il primo caso non tarda ad arrivare. Mascio lo nominerà Crediamo in Dio S.p.a., parafrasando il secondo album dei Dead Kennedys […]». Pagina 57: «Il commissario torna a casa camminando, sta costeggiando la ferrovia tipo Stand by me. Dopo un paio di chilometri si imbatte in una casetta, forse l’ex proprietà di un capostazione. Entra nella baracca in pieno spirito Goonies e trova un panorama da voltastomaco: oltre a un divano sfondato e quattro sedie arrugginite, pareti tappezzate di pagine di pornazzi, schizzate di sangue e sicuramente anche [ […]] Il pavimento è ricoperto di preservativi, siringhe, tabacco e cartine».
La cosa forse più interessante di questo romanzo pubblicato per Il foglio letterario è che si percepisce una resonnance piuttosto stupefacente tra realtà e finzione. In questo senso. La realtà che Paolo Merenda racconta lui sembra conoscerla bene, di prima mano. Tuttavia il romanzo è anche una parodia degli stereotipi del genere poliziesco. Allora com’è che Merenda fa la parodia di stereotipi del poliziesco e però questi stereotipi contemporaneamente si adattano alla realtà che lui conosce e ci narra – e che mediamente siamo in grado di riconoscere anche noi? Come è possibile che Paolo Merenda faccia la parodia di stereotipi di un genere e dia l’impressione nello stesso tempo di riuscire a fotografare quello che succede nella realtà? Viene da pensare per rispondere a questo interrogativo che forse molte delle relazioni sociali (che in questo caso riguardano punk, spacciatori di droga, droga, prostitute brasiliane […] ) che si costituiscono nella cosiddetta realtà sono già finzioni. Ecco perché è possibile questo rispecchiamento, questa eco, tra stereotipi di genere e realtà sociale: senza approfondimenti, senza caratterizzazioni, senza addentrarsi in tali relazioni, colte nei loro tratti essenziali, come, abbiamo detto, a Merenda riesce benissimo di fare, non c’è differenza, le relazioni si percepiscono come finzioni, sono stereotipi.