Torna in libreria Fascismo di ritorno di Franco Ferrarotti, corredato da una puntuale prefazione di Matteo Albanese.
Nel 1972, nel pieno della stagione italiana della “strategia della tensione”, Franco Ferrarotti ragiona in su quanto “fascismo è rimasto” non solo nelle istituzioni ma nella società, nella psicologia di massa degli italiani e nella loro cultura. Ferrarotti si pone il problema della modernità del fascismo e, forse più ancora, del neofascismo: la ricerca, in momenti di crisi, di una figura guida, di un “salvatore” delle sorti comuni sono davvero sentimenti ancestrali e primordiali quasi impossibili da sconfiggere? Se il fascismo non se n’è mai andato, si chiede, come si può costruire un sistema di valori che superi gli assunti di quel regime? Nei brevi capitoli di questo pamphlet l’autore prima affronta il tema definitorio di “cosa è il fascismo”, poi esamina il rapporto tra il fascismo e gli interessi dominanti dell’epoca e l’uso spregiudicato dell’ambiguità come tecnica della conquista del potere, per chiedersi infine come mai il neofascismo ricompaia a decenni di distanza dalla fine della dittatura e come si possa andare oltre il fascismo.
Particolarmente interessante è il capitolo sull’uso dell’ambiguità come tecnica per conquistare il potere che ha permesso al fascismo di attirare il sostegno della borghesia medio-piccola e di parte del sottoproletariato stesso mentre di fatto proteggeva e favoriva i grandi potentati economici
Cosa dava il fascismo a queste fasce popolari da portarle a costituire quella base sociale di consenso effettivo senza la quale nessuna dittatura è possibile?
Certamente non gli dava vantaggi economici, anzi: la borghesia medio-piccola fu spinta verso una fase di proletarizzazione dalla perdita di potere d’acquisto conseguente alla rivalutazione forzata della lira, specie negli anni 1926-27. E allora? Ferrarotti risponde con qualcosa che sembra anticipare il tema delle ”identità nazionali” richiamato di continuo dalle destre europee di oggi.
Dice Ferrarotti: «Con le propagande simmetricamente correlative dell’antibolscevismo e del nazionalismo e con il richiamo costante all’interclassismo, tipico della concezione corporativistica dello Stato, il fascismo ha dato ai ceti medio-inferiori il senso di una “appartenenza sociale” che essi percepivano minacciata e uno scopo ideale che funzionava come momento di legittimazione.»
Nella sua prefazione, Matteo Albanese, pur indicando i limiti di questo breve saggio, coglie nell’attualità delle domande che Ferrarotti si poneva cinquant’anni fa le ragioni di questa ristampa, concludendo che «… se, sul piano teorico, rimangono delle debolezze, per il lettore di oggi, dovute al contesto nel quale il testo è nato, rimane innegabile che i punti salienti della discussione sulla natura ed il ruolo del neofascismo sono ancora uno spunto imprescindibile per chiunque si approcci ad un soggetto tanto complesso».
Nell’ultimo capitolo Ferrarotti affronta il tema del superamento del fascismo e conclude che un superamento reale è possibile solo con il passaggio delle istituzioni pubbliche «dalla democrazia di facciata ad una vera democrazia di partecipazione».
Al lettore dire se in questi cinquant’anni siamo andati in quella direzione o in quella opposta.