Intervista al regista e direttore della Scuola di Teatro Colli di Bologna fondata sul Metodo Stanislavskij
Attore, regista, docente universitario e direttore della Scuola di Teatro Colli della città felsinea, Emanuele Montagna in questa intervista fa un affondo critico sulla situazione generale del teatro in Italia, sulla qualità delle programmazioni e delle produzioni. Spunto delle riflessioni riportate è stata la recente intervista all’attore e regista Massimo Popolizio pubblicata sulla rivista Rolling Stone Italia l’8 gennaio scorso, dal titolo “Se sei fascista sei ignorante? Sì, allora siamo ignoranti” firmata da Gianmarco Aimi. Con il pluripremiato attore, doppiatore e regista allievo di Luca Ronconi, che ha portato in scena Ibsen, Goldoni e molti altri ancora, Montagna afferma di condividere molte delle sue affermazioni circa la tendenza a sacrificare il teatro professionale di alto livello. Sia per renderlo più accessibile al pubblico sia per un malinteso senso del politicamente corretto. Un teatro omologato, insomma, poco audace, appiattito su temi sociali importanti trattati in un modo che tuttavia non affascina, non commuove e non smuove.
Le considerazioni di Montagna spaziano dal rapporto tra teatro e amministrazioni locali alla preparazione degli attori, dalla figura del regista oggi alla necessità di portare sul palco figure storiche legate alla Resistenza e al Risorgimento, per sensibilizzare il pubblico su tematiche sempre attuali.
A proposito dell’intervista di Massimo Popolizio sulla rivista Rolling Stone, sei d’accordo in linea di massima su quanto affermato a proposito del clima culturale che si è creato in Italia negli ultimi anni? Che il teatro di qualità è in declino, che la tracimazione del politicamente corretto ha finito spesso con il soffocare la creatività e che questa decadenza rispecchia quella del Paese stesso?
Emanuele Montagna: “Pienamente d’accordo con quanto affermato da Popolizio. Oggi se vuoi mettere in scena Pirandello o Shakespeare, o hai da investire soldi privati o devi essere direttore artistico di qualche circuito teatrale. E per diventare direttore artistico è d’obbligo passare attraverso militanze politiche o appartenere ai cosiddetti salotti buoni, conoscenze personali. Il teatro di qualità è decisamente in declino da anni. E poi, in questo clima di decadimento culturale, emerge la dilagante idea che per diventare attori professionisti, il teatro sia inutile… basta avere la faccia tosta di salire su di un palco, come affermava Eduardo. Tutti aspirano alle fiction solo perché danno notorietà o anche solo riconoscibilità, ma ci vuole poi un interprete per comprendere qualcuno/a che spiaccichi due parole in un italiano decente e con un minimo di articolazione”.
Sul teatro in Italia, Popolizio ha descritto anche una situazione a macchia di leopardo, con città sensibili e piene di iniziative interessanti e di livello e altre in cui l’offerta dell’intrattenimento di qualità langue…
E.M.: “Ancora condivido le affermazioni di Popolizio circa la situazione a macchia di leopardo. Ci vogliono amministratori pubblici illuminati per creare novità culturali…ed io ne vedo sempre di meno. Oggi, un certo modo di intendere la cultura (non il mio!) è quello di accostare l’esperienza teatrale al mondo, per esempio, Lgbtq+, o al drammatico mondo della immigrazione. Se non tratti questi argomenti, non ti considerano, non ti ascoltano nemmeno. Questi due temi monopolizzano da anni le tematiche teatrali da Nord a Sud. Attenzione! Non voglio essere frainteso. Possiamo e dobbiamo affrontare anche queste tematiche, è un dovere farlo! Ma non solo queste tematiche. Se io recito Dante, o Shakespeare, o Pirandello, o Osborne, o Pinter, o Bogosian, o Genet, o Mishima etc affronto le tematiche sociali e cosmopolite dell’intera Umanità”.
Questa situazione secondo te trova conferma nelle città in cui lavori e hai lavorato? Che tipo di esperienza hai avuto?
E.M.: “Ahia Ahia! Domanda spinosissima ed imbarazzante. In questi due o tre anni ho trovato un nuovo fermento culturale e nuovi orizzonti emotivi nella città di Ravenna. Merito di un vicesindaco, Eugenio Fusignani, anche Presidente della Fondazione Ravenna Risorgimento. Grazie a questa Fondazione abbiamo potuto produrre L’Attesa di Valeria Magrini sulla Morte e la Vita di Anita Garibaldi, magicamente interpretata dalla straordinaria Asia Galeotti che, con questo testo, vince il secondo posto nel prestigioso Premio Wanda Capodaglio. Grazie alla stessa Fondazione abbiamo ricordato nel grandioso Teatro Alighieri i 700 anni della morte di Dante con il mio Dante Esoterico e le musiche del maestro Franco Eco. Prossimamente a Cervia, il 16 febbraio prossimo, andremo in scena con il testo, Liberté – La decapitazione di Targhini e Montanari, da me scritto e diretto e sempre prodotto dalla stessa Fondazione. Sempre in Romagna, a Verucchio, per la giornata della Legalità in maggio, ritornerà in scena Marco Pantani – Storia di un linciaggio di Andrea Maioli, due anni fa prodotto dall’Ordine degli Avvocati di Padova. In poche parole, lì dove non entra in campo il settore pubblico ma le produzioni sono quelle provenienti da fonti private non politicizzate, solo in questi casi ci sono margini di manovra e la Cultura cresce e prospera”.
A proposito dei cinema vuoti e dei teatri pieni, invece, vuoi dire qualcosa?
E.M.: “Sinceramente io credo solo in parte alla storia dei cinema vuoti. Quando le case di produzione cinematografiche hanno il coraggio di osare, le sale si riempiono. Il caso più eclatante è ovviamente il film strepitoso della Cortellesi. Ma è una goccia nel mare magnum del Cinema italiano che continuo a definire (per fortuna non sempre) asfittico e ripetitivo nei temi e negli interpreti che recitano noiosamente sempre sé stessi e sempre negli stessi ruoli… il buono, il brutto, il cattivo, il drogato, il gay, il macho, il poliziotto borgataro, il medico ospedaliero, il coatto romano che parla il romanesco anche quando l’azione si svolge in Egitto o in Nepal…quasi come se la lingua parlata nella capitale sia diventata il nuovo italiano. Decisamente meglio la Fiction italiana rispetto al cinema. Ultimamente ho visto su Rai Uno il bellissimo film Tv La Storia della Archibugi, interpretato magistralmente da Jasmine Trinca ed ispirato al romanzo di Elsa Morante. In questa storia, finalmente il romanesco ha una sacrosanta giustificazione (la vicenda si svolge nella Roma bombardata della seconda guerra!) e diventa lirismo allo stato puro. È inevitabile! Quando un prodotto cine-televisivo funziona, è sempre perché ci recitano attori che provengono dal teatro. Ma in Italia non la pensano sempre così. Guardate le produzioni Netflix. Analizzate il successo di Peaky Blinders, de La Casa di carta, di Black Mirror etc etc…il cast nella maggior parte dei casi proviene dal teatro”.
La figura del regista è entrata in crisi secondo te negli ultimi decenni con l’emergere di creazioni e produzioni che sono frutto di collettivi piuttosto che di compagnie teatrali tradizionali?
E.M.: “Ho settantadue anni. Mai ho creduto alla regia collettiva sin dagli anni Sessanta/Settanta. Credo sì in un gruppo coeso e propositivo ma con un solo nocchiero che governi la nave e che si prenda la responsabilità di firma. Se non possiedi il carisma necessario, lascia perdere la regìa. Dittatura? No! Lo chiamerei piuttosto…rispetto dei ruoli. Lo stesso rispetto che pretendo nella mia Accademia, la Scuola di Teatro Colli in Bologna e che fondai quarantaquattro anni fa. Spesso mi capita di leggere nei cartelloni o nelle recensioni o nelle presentazioni di spettacoli teatrali, mi capita di leggere nomi che non conosco ma che vengono decantati come registi europei di grande e provata bravura. E sono spettacoli spesso prodotti da importanti centri di produzione teatrale, quindi finanziati dallo Stato italiano. Allora decido di andarci a teatro per assistere a tanta grandezza ma…resto sgomento in primis nel non riuscire a sentire(le mie orecchie funzionano benissimo) il recit degli interpreti; nel vedere luci che non sono governate da un light designer ma da un approssimativo elettricista da festa paesana; nel non emozionarmi su vaghe tematiche sociali, prive di sostanza e trattate superficialmente. Sai, sono cresciuto avendo come esempio Carmelo Bene, Leo De Berardinis, Manuela Kusterman, Gigi Proietti, Massimo Castri, Giorgio Strehler, Vittorio Mezzogiorno, Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, Peter Brook, Harold Pinter, Eduardo…e se non conosci nulla di tutta questa gente, non puoi fare il regista. È dal passato che trovi nuovi stimoli per il futuro”.
Veniamo al lavoro attualmente in scena, Liberté. Come è nato e si è sviluppato?
E.M.: “Come dicevo qui di sopra, Liberté nasce da una idea di Eugenio Fusignani che, dopo il grande successo de L’Attesa, ha voluto ricordare, dopo Anita Garibaldi, un episodio poco noto del nostro Risorgimento: la vicenda di due giovani Carbonari di origini cesenate, Angiolo Targhini e Leonida Montanari, che, senza processo, furono decapitati a Roma in Piazza del Popolo nel 1825, quando governava Papa Leone XII. Non è roba vecchia come potrebbero obiettare quei registi europei di cui sopra. Ma è la riscoperta delle nostre radici, dei nostri eroi, come Zamboni e De Rolandiis, come Ugo Bassi, come Mazzini, Garibaldi, Cavour, senza i quali oggi noi non saremmo una Nazione, una Patria. Abbiamo il dovere di mantener viva la memoria dei grandi del Risorgimento, esattamente come facciamo con i martiri della Resistenza. A giorni andrà in onda sempre su Rai Uno la fiction Mameli. Al di là del risultato finale, è giusto che il servizio pubblico si faccia carico di questi prodotti storici”.
Dalla Scuola di Teatro Colli, è uscita la giovane compagnia Ganimede, ora in tournée con Antigone. Quali raccomandazioni dai a chi si appresta a iniziare questo percorso una volta usciti dalla scuola? Quali errori evitare e quali strategie consigliare per lavorare bene e insieme?
E.M.: “I miei ex allievi non hanno bisogno dei miei suggerimenti. Più che altro, dei miei stimoli. Li inviterò ad andare avanti con grinta e determinazione, preparandosi a sconfitte e trionfi. Li spingerò sempre ad essere più professionali e a lavorare con impegno ed umiltà. Ecco…questo è il punto focale: l’umiltà. Esistono scuole di teatro, finte accademie teatrali, laboratori etc etc nei quali questa parola, umiltà, è stata soppressa, rimossa, annientata. Il mio suggerimento ai miei ex allievi, a quelli attuali e a quelli futuri è: riscoprire l’umiltà! Che non vuol dire chinare il capo dinanzi a tutti. Bensì riscoprire negli anfratti più profondi delle nostre anime il perché siamo attori, registi, autori di teatro. l’umiltà rende grande l’umanità. Ma se proprio sono costretto a dare un consiglio…ecco, cari giovani colleghi, investite sulla vostra Formazione anche da un punto di vista di management. Non è un caso che la Compagnia Ganimede abbia avuto come produttore la neonata casa di produzione cinematografica Aleo Film, fondata appunto da un nostro ex allievo che in Liberté interpreta uno dei due giovani martiri risorgimentali”.
Non posso non farti questa domanda a proposito della tua lunga carriera teatrale: il riconoscimento come Commendatore della Repubblica Italiana nei giorni scorsi su investitura motu proprio del presidente Sergio Mattarella… Come hai vissuto questa gratificazione?
E.M.: “Fino a pochi giorni fa non ne sapevo niente ed ho pensato che fosse uno scherzo. Poi, dopo una telefonata dal Quirinale e dalla Prefettura di Bologna, ho preso atto della veridicità della cosa. Che dire? La felicità è stata enorme per due motivi differenti. Il primo perché mi veniva riconosciuto per meriti artistici e dopo quasi cinquanta anni di carriera e per tutti gli enormi sacrifici profusi fra didattica e produzioni. Il secondo perché la carica di Commendatore non è di natura politica, ma lavorativa. Le direzioni artistiche dei teatri si dispensano su iniziativa politica ed i contributi vengono erogati sulla base di partecipazione ai cosiddetti bandi sui quali preferisco sospendere ogni giudizio. La nomina a Commendatore su iniziativa del Presidente Mattarella, fortunatamente, non ha nulla a che vedere con tutto questo. È una nomina che sa di pulito, di meritocratico e… scusatemi se, rispondendo a quest’ultima domanda, io sia stato poco umile”.
Note biografiche
Emanuele Montagna si è formato all’Accademia d’Arte Drammatica dell’Antoniano di Bologna, specializzandosi successivamente sul Metodo Stanislavskij-Strasberg negli States. Tra i premi ricevuti: nel 1993 il Premio Giosuè Carducci per il Teatro e nel 2003 il Premio internazionale Rodolfo Valentino per la Comunicazione, mentre nel 2008 ha vinto il Premio dell’Avvocatura Veneziana “Carlo Goldoni”. Laureato in Giurisprudenza, ha insegnato Tecniche di Comunicazione della persuasione al dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara dal 2001 al 2015. Direttore e interprete di numerosi spettacoli teatrali, ha lavorato anche in tv: nella fiction televisiva La Squadra su Rai 3, nella fiction Pietro Mennea, la freccia del sud, sceneggiato da Simona Izzo e diretto da Ricky Tognazzi nel 2015. Ha diretto e interpretato il film Sono viva, credo… del 2005, diretto da Giovanni Bonicelli sulla strage di Marzabotto.
a cura di
Anna Cavallo
Cover: una scena di Liberté. Da sx:Martina Valentini Marinaz, Miryam Belfiore, Giovanni Soave e Alessandro Leo – photocredit Scuola di Teatro Colli