Un’umanità ritratta impietosamente, quella di Anton Cechov, eppure amata. Un umorismo sottile, una comicità sullo sfondo dei suoi drammi presente fin dai suoi primi lavori, pubblicati sulla rivista umoristica Schegge del 1892, che è pungente ma non velenosa. Influenzato dallo stile grottesco di Gogol, presto se ne allontana e il suo umorismo diventa malinconico, se non amaro. Come dice lui stesso, l’arte per essere onesta, non può fare altro che rappresentare l’uomo così com’è, nella sua banalità quotidiana, oppresso dalle vicissitudini o da un ambiente sociale asfittico, ma incapace di sottrarsene, e quindi condannato all’infelicità. Dall’amore non corrisposto nei personaggi del Gabbiano (1895) alle disillusioni delle Tre sorelle (1900) alla passività di Ivanov (1887). Eppure lui non si è mai definito pessimista, anzi vedeva l’’uomo degli anni a venire più felice, più consapevole, anche grazie alla letteratura, che con realismo lo aveva messo di fronte a se stesso e ai difetti della civiltà contemporanea. Una Russia zarista in piena crisi, quella di fine Ottocento, di cui racconta l’incapacità di affrontare la realtà e il ripiegamento su se stessa, mentre è proprio in questa contesto che erompe la grande letteratura di Turgenev, Dostoevskij, Gogol, di Cechov stesso. A dimostrazione che il meglio dell’arte fiorisce proprio nei contesti sociali e politici difficili e non il contrario e che questa contraddizione fa parte del ciclo della storia e quando tutto il travaglio di un’epoca riesce ad essere sublimato in opere d’arte, può vincere la morte e quindi anche il pessimismo. Cechov ha portato sulla scena l’uomo comune, ha spogliato la scena teatrale di ogni azione impetuosa e travolgente, rinunciando alla tentazione di sedurre lo spettatore con la rappresentazione del dramma e del pathos. Una rottura con la tradizione che segna il passaggio verso una visione più introspettiva, con lunghi silenzi e nessun protagonista. Ogni personaggio è funzionale all’economia del dramma cechoviano. Non ci sono più orpelli, fronzoli, decorazioni, tutta la rappresentazione diventa sobria, essenziale. L’umanità dolente di Cechov rappresenta lo smarrimento della società russa di fronte ai cambiamenti sociali e culturali. Gli alberi abbattuti, nel finale del Giardino dei ciliegi del 1903, in scena un anno prima della morte dello scrittore, rappresentano la volontà di rompere con il passato, piuttosto che la tristezza per la scomparsa di un mondo che non c’è più.