Titolo: Caos calmo, di Aurelio Grimaldi, 2008
Con: Nanni Moretti, Valeria Golino, Isabella Ferrari, Alessandro Gassman, Blu Yoshimi, Hippolyte Girardot, Kasia Smutniak, Denis Podalidès, Charles Berling, Silvio Orlando, Alba Rohrwacher, Manuela Morabito, Roberto Nobile, Babak Karim, Beatrice Bruschi, Antonella Attili, Sara D’Amario, Cloris Brosca, Tatiana Lepore, Stefano Guglielmi, Anna Gigante, Valentina Carnelutti, Nestor Saied, Dina Braschi, Ugo De Cesare, Ester Cavallari, Roman Polanski.
Il dramma di Pietro Paladini (Moretti) non è raro nel contesto attuale, in cui difficile è smaltire il dolore per la perdita di una persona cara – più difficile quanto più si è inseriti in un meccanismo di vita che sembra privarci dei sicuri riferimenti tradizionali, la religione oppure una vera coscienza laica dell’esistere. Al protagonista del film (dal romanzo di Sandro Veronesi, Premio Strega 2006) viene a mancare la moglie, proprio nel giorno che lo ha visto impegnato, insieme al fratello Carlo (Gassman), nel generoso e rischioso salvataggio di due donne in mare. Tornando a casa dalla spiaggia, ancora turbato e affaticato per l’impresa, Pietro vede che c’è la Croce Rossa e realizza di essere rimasto vedovo. Claudia, la figlia di 10 anni (Yoshimi), piangendo gli grida: «Papà, dov’eri papà?». Cala sull’uomo una cappa che lo isola dal mondo. Gli sembra di non poter fare altro che stare vicino alla figlia, leggerle storie la sera, accompagnarla a scuola la mattina; aspettare lì, nel giardino fuori dal cancello che si riapra il portone delle elementari e Claudia riappaia cercando il suo papà. Pietro non si muoverà per tutto il giorno. La prima volta resta in macchina per un momento, poi smania e deve uscir fuori. Si siede su una panchina. E ritaglia il suo mondo, lo ristruttura portando in primo piano aspetti rimasti sommersi sotto le «urgenze» quotidiane. Le giornate del manager (Pietro è dirigente di un’azienda nel settore della comunicazione) si dissolvono in una dimensione interiore, che viene a sostituire gli impegni del «lavoro». E’ una posizione poetica tutt’altro che debole, produttrice di senso laddove le giornate «normali» dei più sembrano piatte, o magari segnate da inesprimibili grumi di sentimenti contrastanti. Pietro, su quella panchina, dilata il tempo e prende contatti «nuovi» con tanti dettagli che lo incoraggiano a coltivare l’ «ozio». Lo vanno a trovare amici e parenti (colorite le visite di Silvio Orlando, Valeria Golino e dello stesso Gassman), ma Pietro resiste. E’ una specie di sciopero, il suo, che lo impegna in attività «altre», minori e più vere, come anche il solo sguardo d’intesa con una persona che passa e che ritorna, che entra con ciò stesso nella sfera sensibile di un uomo ironico e solo, sempre più «scocciato» dalle piccole convenzioni. Ora, se tutto questo si traduce nel corpo e nello sguardo di Moretti, nella sua voce ammicante, in quel suo mantenersi in bilico tra pace e guerra, tra docile assenso e feroce condanna morale, tra masochismo e ira, tra rifiuto e presa di coscienza, si passa dalla letteratura al cinema, con i «tempi» del cinema, in un film tracciato dallo sguardo e dal respiro del protagonista, che dall’inizio alla fine non esce mai dall’inquadratura eppure invita di continuo lo spettatore a guardare fuori dal quadro, dove le cose suggeriscono altre cose e dove i ruoli sono tutti da definire. Il regista ha rispetto dell’attore e non è poco, dirige lasciando fare, secondo una lezione propriamente italiana e non indifferente a un realismo nuovo, post-Nouvelle Vague. Lascia fare, Grimaldi, anche quando la scena cede ad una naturalezza non richiesta e dissonante (il convulso erotismo tra Pietro ed Eleonora/Ferrari, troppo vero per essere «vero»). E’ un prezzo che si può pagare se poi la metafora rientra in sé, concedendo a Pietro il privilegio del riscatto esistenziale e a sua figlia il sollievo di un padre non più panchinista.